Anything to Say? Un monumento al coraggio di dire la verità

Intervista a Davide Dormino, autore della scultura che ritrae Snowden, Assange e Manning

CILD
8 min readDec 1, 2015

L o scorso aprile, durante il Festival Internazionale del Giornalismo, abbiamo organizzato alcuni incontri concentrandoci molto su privacy, sorveglianza di massa e ruolo dei whistleblower.

Due incontri hanno avuto particolare riscontro: un panel su privacy e sorveglianza di massa (dove per la prima volta Edward Snowden si è rivolto a un pubblico italiano) e uno sul ruolo dei whistleblower.

In quei giorni abbiamo anche conosciuto l’artista Davide Dormino, che ci ha raccontato di una sua scultura itinerante dedicata a Snowden, Julian Assange e Chelsea Manning dal titolo “Anything to say?”. La scultura, in quel periodo, stava per iniziare il suo viaggio da Berlino, e, da allora, ha toccato diverse città europee.

Dormino parteciperà alla presentazione del libro “Quando Google ha incontrato WikiLeaks” il prossimo 4 dicembre a Roma, durante la fiera Più libri Più liberi. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare dell’opera e di questo viaggio.

Berlino, 1° maggio 2015. La prima presentazione pubblica di Anything to say? (Fonte: DavideDormino.com)

Perché hai scelto di concentrarti sui whistleblower? Da dove è venuta l’idea?
Il progetto ha avuto inizio insieme a un mio amico, Charles Glass, giornalista statunitense che ha passato la vita a viaggiare intorno al mondo per proteggere la libertà d’informazione. Ed è questo il valore centrale della mia opera d’arte: sapere la verità su quello che succede nel mondo.
Io e Charles abbiamo iniziato a parlare della possibilità di fare qualcosa a proposito del coraggio di queste tre figure simboliche, e infine ci siamo decisi: abbiamo avviato un crowdfunding per il progetto e ideato modi per portare l’opera in giro per il mondo. Man mano molte persone si sono unite a noi: è iniziata così.

Iniziamo dal “corpo”, dai materiali: perché hai scelto proprio il bronzo?
Quando ho iniziato a pensare a questo progetto, ho immediatamente deciso che la cosa più importante era realizzare qualcosa di estremamente chiaro, che mandasse un messaggio molto preciso al pubblico. Per questo ho scelto di raffigurare le tre figure di Assange, Manning e Snowden in maniera molto tradizionale, con uno stile quasi ottocentesco.

Inoltre, ho scelto il bronzo perché è un materiale che resiste al tempo: tutti i monumenti al mondo sono infatti realizzati o in bronzo o in marmo. È una tecnica molto antica: basta guardare Wikipedia per vedere come già nell’antichità l’uomo abbia usato il bronzo per fabbricare armi.

Insomma, per me la cosa più importante era essere chiaro: quello che vedi è quello che è.

Quindi ci sono tre individui in piedi su altrettante sedie e una quarta sedia, vuota, accanto a loro. Quando le persone si trovano di fronte alla scultura, capiscono immediatamente che devono mettersi in piedi sulla sedia vuota — e questo è importante.

Un’altra componente importante di quest’opera artistica è la volontà di informare le persone. Per questo motivo, in genere c’è un pannello che accompagna la scultura spiegando tutto quello che c’è da sapere su Assange, Manning e Snowden. Molte persone ancora ignorano chi siano, e noi vogliamo farglieli conoscere. Li ho scelti perché sono degli eroi contemporanei: questo vuol dire che sono ancora vivi, e che noi dobbiamo proteggerli — perché loro rappresentano la verità, componente fondamentale della nostra libertà. Solo conoscendo la verità possiamo sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato.

La sedia è la chiave simbolica dell’opera…
Una sedia vuota è come una domanda, e le persone che si mettono in piedi su di essa hanno l’opportunità di chiedersi perché lo stanno facendo. Il grande potere dell’arte è proprio quello di coinvolgere le persone portandole a farsi delle domande, o darsi delle risposte, sulla propria vita.

Una sedia dovrebbe essere qualcosa di comodo, ma quando siamo comodi siamo anche fermi. Per questo, l’idea di un’azione, e cioè il mettersi in piedi su quella sedia, il vedere qualcosa di diverso, qualcosa che ci vogliono nascondere: insomma, guardare oltre il muro, questa è l’idea.

Ricordate il film “L’Attimo Fuggente”, con Robin Williams? Lui era l’insegnante di un gruppo di giovani poeti, che a un certo punto sale su un tavolo e chiede ai ragazzi: “Venite qui e mettetevi in piedi sul tavolo: cambiate il vostro punto di vista”. Per me, quello che è importante è proprio cambiare il nostro punto di vista, uscire dalla nostra comfort zone. Assange, Manning e Snowden hanno fatto questo, hanno detto la verità e ora ne stanno pagando il prezzo.

Il coraggio è di un altro pianeta?

L e loro scelte fuori dal comune hanno messo i tre whistleblower in evidenza davanti al mondo: obiettivi, ormai al centro dell’attenzione indipendentemente dalla loro volontà.

Nell’opera vestono però allo stesso modo, quasi una sorta di uniforme. “Vengono da un mondo diverso, è come se avessero viaggiato da un’altra galassia” ci spiega Davide quando glielo chiediamo.

I tre protagonisti di “Anything to say?” sono considerati eroi da molti, ma vengono additati come traditori dai propri governi. Anzi, guardando la scultura, con tre persone in piedi sulle sedie, si potrebbe quasi pensare a una pubblica esecuzione.

Ma non è così, ci spiega l’autore:

Basterebbe mettergli una corda al collo e chiamarli traditori. Ma il significato è un altro: loro stanno lì, fermi, fieri di quello che hanno fatto. Gli altri possono dire e pensare quello che vogliono, possono anche puntare il dito contro di loro, dandogli dei traditori.

Non importa: loro si sono alzati in piedi, hanno fatto una scelta e lo dimostrano al mondo.

In questo senso, è ancora più forte la scelta di far viaggiare l’opera, di metterla a confronto con i cittadini nelle piazze di tutta Europa.

“Le reazioni delle persone del pubblico sono molto naturali: si mettono in piedi sulla sedia, fanno e condividono foto,” spiega Dormino, “L’arte pone una domanda ed è una domanda che risuona in tutto il mondo: “Chi sarà il prossimo eroe che salirà vicino a loro per proteggerli?”.

Ginevra, davanti al Palazzo delle Nazioni Unite e all’opera The Broken Chair (Fonte: Anything To Say?/Facebook)

Nel suo studio (che ci mostra attraverso la webcam durante la nostra chiacchierata) vediamo il progetto della scultura nella sua evoluzione, dai primi disegni ai modelli e alle foto dell’opera.

Come hai deciso il percorso di viaggio del tuo monumento itinerante? Vi è un qualche significato dietro la scelta, ad esempio, di Berlino come prima tappa?
Avevamo qualche idea sui posti dove andare. A dire il vero, la prima scelta era Parigi, poi sono stato contattato da diverse persone che volevano che portassi l’opera a Berlino, così siamo riusciti a organizzare la partenza da lì. Ovviamente la scelta finale del 1 Maggio ad Alexanderplatz, a Berlino, aveva un forte valore simbolico, sia per la data che per il posto.

La mia volontà è quella di portare il monumento in spazi pubblici, soprattutto nelle piazze più importanti e simboliche del mondo: ad esempio, a Parigi è stato nel Beaubourg, dietro al Centre Pompidou, e cioè uno dei centri culturali e artistici più importanti del mondo. Poi Strasburgo per il World Forum for Democracy del Consiglio d’Europa.
Ora vogliamo andare a Bruxelles, Barcellona ed in tante altre città; l’idea è quella di una scultura “virale”.

Chi di noi proteggerà i whistleblower?

Anche in questo viaggio non sono mancati episodi spiacevoli: lo scorso settembre, durante la tappa parigina, alcuni “writers” hanno imbrattato la scultura.

“Mi sono detto: non hanno capito. È normale che questo possa succedere, e ho comunque deciso di non predisporre personale di sicurezza perché avrebbe significato ingabbiare un’altra volta Assange, Manning e Snowden, ed io voglio invece che siano le persone a proteggerli”.

Parigi, settembre 2015 (Fonte: Anything To Say? / Facebook)

La tua è un’opera che parla, in un certo senso.
“L’anno scorso sono stato al Barbican a Londra in occasione del Logan Symposium a presentare il progetto. C’erano molti whistleblower e hacker, ho detto loro “questa mia scultura è la traduzione esatta di quello che voi dite”.

Può una scultura, attirando l’attenzione del pubblico, avere l’effetto di cambiare le cose?
Sono molto contento che il monumento sia ancora in viaggio, perché quello era il primo grande obiettivo. Il secondo sarebbe quello di riuscire, tramite la scultura, a cambiare un po’, in meglio, le storie di Assange, Manning e Snowden.

Questo è il nostro primo obiettivo. Se la scultura potesse cambiare un po’ la storia ne saremmo entusiasti. Ad esempio in Svizzera, a Ginevra, ora c’è una associazione che sta facendo pressione perché il governo dia asilo politico a Snowden. Io penso che questa sia una cosa splendida, e ne sono orgoglioso. Cambiare le cose, quello è il mio sogno.

L’arte può quindi educare il pubblico ed eventualmente spingerlo alla mobilitazione?
Abbiamo una scelta: accettare o no quello che il governo fa per noi. C’è un problema con la sorveglianza di massa, ma è difficile affrontarlo perché le persone hanno paura a esporsi. Tuttavia, ogni epoca ha i suoi eroi e grandi rivoluzionari, persone capaci di cambiare il mondo. Io credo che l’arte debba farsi carico della responsabilità di raccontare la realtà, e ho iniziato questo progetto perché sentivo la volontà viscerale di fare qualcosa per gli altri — perché iniziamo per noi stessi, ma alla fine quello che è importante è quello che condividiamo con gli altri.

Quando dici che il coraggio è contagioso, cosa intendi?
Questa è una frase che ha detto Assange e che io ho riadattato in “sii coraggioso perché il coraggio è contagioso”. Ci credo molto, è proprio questa la forza virale della mia opera.

Quando ho iniziato il mio progetto avevo in mente anche il valore del coraggio, perché penso che le persone coraggiose possano cambiare il mondo e che noi tutti dobbiamo saper essere coraggiosi nella nostra vita — e questo è infatti l’altro significato della mia opera d’arte.

Parlando del contesto attuale, quali sono le tue impressioni sugli attuali sviluppi politici e legislativi con le recenti leggi sulla sorveglianza adottate in Inghilterra, Francia e Stati Uniti? [nota: l’intervista è stata realizzata prima degli attacchi del 13 novembre a Parigi]
Ormai ogni giorno sui giornali si legge qualcosa a riguardo, se ne parla sicuramente di più che in passato, e questo è sicuramente un bene. Lo scopo della mia opera è proprio quello di fare luce su questo problema fondamentale, di farne parlare di più — perché dobbiamo imparare a difenderci, e questo è evidente.

Quindi le leggi di sorveglianza sono un passo indietro?
Questo è uno dei problemi che dobbiamo risolvere. È un dato di fatto che i governi statunitensi e britannici abbiano programmi di sorveglianza, ma questo avviene anche in Russia e in moltissimi altri paesi.

Pensiamo a quello che sta succedendo adesso con il TTIP. In Germania si fanno molte manifestazioni a riguardo, la gente scende in piazza, ma nel resto del mondo niente. Perché? Perché dobbiamo informare le persone su quello che succede. Bisogna fare informazione, perché quando siamo consapevoli siamo pericolosi, altrimenti siamo destinati ad essere pecore.

Qual è secondo te la strada verso la garanzia di maggiori libertà?
Libertà vuol dire essere libero di decidere per me stesso. Bisogna cominciare dalle piccole cose, dal rispettare il pianeta e le altre persone e cose.

Ci salutiamo con l’inevitabile domanda sui prossimi progetti…
Certo, ho sempre qualche progetto in cantiere! E si tratta sempre di qualcosa che sia un ponte. Qualcosa che ne unisce altre due, come le persone e la politica, in questo caso. Il mio scopo è sempre quello di connettere persone e cose. Al momento, sto lavorando all’idea di vulcano. Scoprirete di più molto presto.

(A cura di Camille Richard e Jessica Ruff)

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Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili — Italian Coalition for Civil Liberties. Creator @open_migration e @nonmelaspacci Co-founder: @19mmproject