Colpa d’Alfredo

prima o poi lo uccido… lo uccido!

Adriano Pugno
uonnabi
8 min readAug 9, 2017

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Illustrazione di Stefano Zitto*

Mirko era un bambino biondo scuro o castano chiaro, col dente spezzato e una strana tendenza a raddoppiare le g. Gianni ricordava benissimo il modo in cui era stato concepito: tornavano da una cenetta di coppia con i Foruccio, avevano mangiato del pesce e Gianni aveva chiesto al cameriere di portare via quella bottiglia, che sapeva di tappo. Katia lo aveva rimbrottato mentre col piede scavava sopra le sue caviglie, nei pantaloni un po’ attillati del gessato da sera di suo marito. Qualche ora dopo, le mani attaccate alla ringhiera del letto, gli aveva ordinato “sborrami nella figa Gianni cazzo”, e lui aveva obbedito con un’eiaculazione perfino modesta. Forse perché non c’era abituato a certe richieste, o a certo frasario. Non che non lo apprezzasse, anzi, ma quella fu la prima e l’ultima volta, soprattutto con la nascita di Mirko e la drastica diminuzione dei rapporti.

Questo è il figlio del demonio, ha impossessato tutti, porca puttana.

Quell’estate Katia aveva proposto un villaggio vacanze, ispirata dalle fotografie che quella sciapa della Foruccio inseriva quotidianamente sui social. Le didascalie “che bello il mare”, “finalmente un po’ di vacanza” “e chi c’ammazza a noi?”. E lui aveva detto subito di sì, Gianni che odiava gli animatori, che sognava di vederli impiccati, i cadaveri ciondolanti al ritmo di Mueve la colita arriba arriba. Mirko però ci poteva andare con gli animatori, poteva giocare con i bambini, diventare un campione di palla prigioniera e imparare a fare dei pessimi lavoretti di cartapesta. Insomma, poteva serenamente togliersi dalle palle. Gianni aveva un bisogno tale di farsi sua moglie in santa pace che si era persino messo a dieta, comprando yogurt magri con lo 0,001 di grasso, di zucchero, di una di quelle cose che insomma fanno ingrassare. E con lo 0,001 col cavolo che ingrassi.

Ma la giornata era cominciata male, malissimo. Mirko, Mirko con la kappa, non aveva gradito il pupazzino dei Gormiti regalato da papà.

“Non lo voglio, non mi piace no no no!”

“Dai, ma come non ti piace, li vedevi sempre, hai pure le figurine di quei caz..volo di Gormiti”

“Tutti giocano con Ben 10, sarò l’unico con i Gormiti, nessuno vorrà giocare con me! Sei cattivo! Non mi vuoi bene!”

“Ma non esageriamo, non ci giocate neanche con i pupazzi! Fatevi un bagno che è meglio, vi fa bene, vi rinfresca e almeno…”

“No! Voglio Ben 10 come Alfredo!”

“Chi è Alfredo adesso?”

“Voglio Ben 10!!!”

“Ora ti prendi due schiaffi Mirko, vedi che mi hai stufato! Basta!”

“Dai Mirko, papà si è sbagliato, porta pazienza.”

“Ah, gli dai pure ragione a questo ingrato! Complimenti!”

“Voglio Ben 10! Come quello di Alfredo!”

La discussione era durata qualche altro minuto con poche varianti e qualche rischio di colluttazione, finché Mirko dal nulla aveva dato un urlo ed era uscito saltando verso Alfredo e gli altri suoi amici di villaggio. Davanti a loro un animatore parlava come un coglione con problemi di autostima e veniva ascoltato dall’unica ragazza con gli occhiali.

Se ne erano andati in spiaggia, Gianni e Katia. Gianni, Katia e la crema solare. Katia era riuscita a passare un po’ di crema a Gianni, con gesti arrabbiati e i soliti scongiuri contro la cocciutaggine del marito. La resistenza di Gianni era stata di un minuto e trentotto interminabili secondi. Poi, come un’intuizione improvvisa, si era divincolato per dirigersi verso la spiaggia, masticando un vaffanculo. Aveva dapprima camminato normalmente, con un’andatura coerente alla sua età e al suo status, poi aveva cominciato a correre. Un’illuminazione, forse la sabbia che scotta. O magari il desiderio del mare.

Mare, distesa di infinito e indifferenza. L’orizzonte da qualche parte, l’intuizione di qualcosa al di là, che qualcosa ci deve pur essere, alla faccia di quelli che la terra è piatta, come quel campione NBA.

Mare con gente dentro, gente fuori, città ed economie intorno. Mare al mattino, al tramonto, per l’aperitivo. Mare di notte, le sdraio degli stabilimenti nascoste, gli amanti imbucati, le torce delle guardie come stelle che sì, ti illuminano, ma ti cacciano pure.

Il mare di Gianni, di tutti noi che qui, adesso,

“eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeh!!”

Un urlo, acuto di brufoli in fieri, di indignazione. Allarme che bombarda la spiaggia, che ai bagnanti del lido fa pensare ai collegi, agli schiaffoni, a qualsiasi forma di educazione spiccia che spenga quella cosa. Quella cosa chiamata Mirko. Mirko con la kappa.

“Papà voglio Ben 10! Ben teeeeeeeeeeeeeen!”

“Stai zitto, guarda che ti do uno schiaffo se urli di nuovo, va bene? Te l’ho detto prima, non ce lo abbiamo e non ci sono negozi. Lasciami nuotare in pace!”

“Alfredo ha le patatine di Ben 10!!!”

Una motosega su Alfredo. A partire dalla testa, che immaginava riccia e rossiccia, a scavare nel cranio fino a provocare schegge d’ossa, degli occhiali che volano a chilometri, fino ad arrivare al basso e tagliare in due perfette metà il basso ventre di quello stronzetto collezionista di cagate coi superpoteri.

“Papààààà mi senti? Voglio Ben 10!”

“Pensavo a cose di lavoro, basta con queste stupidaggini!”

“Voglio le patatine di Ben 10!! Andiamo al bar, andiamo dai!”

Gianni sentiva gli sguardi di una spiaggia intera verso di lui. Sguardi imploranti, sguardi che chiedono, intimano tutti la stessa cosa: accontentare quel cagacazzi, portarlo via, prendergli quelle benedette patatine, qualsiasi cosa santo cielo ma lontano.

Gianni si levò dal mare, un Poseidone che lascia il suo regno, e si avviò lentamente verso l’ombrellone. Qualcosa nel suo cervello era riuscito a mettere il muto alle parole di Mirko, forse quella sabbia che attecchiva ai piedi bagnati di sale.

Uno sguardo di taglio a Katia, come a darle la colpa, il peso di tutto. Di tutto tutto. Le gocce che cadevano sul borsone, aperto con entrambe le mani, maledetta cerniera. Le monete, raccolte insieme, che scottavano sulla mano. Le infradito piene di sabbia. E i due che camminavano verso il chioschetto, l’unico della spiaggia. Un passo di Gianni, ciondolato ma in qualche modo rispettabile, valeva tre dei passetti veloci di Mirko, sette o otto parole mitraglia, un’imprecazione a mezza bocca.

Arrivarono al chioschetto tre minuti dopo, rallentati dal sole, dal caldo e da quell’insieme di carne umana che riempiva la spiaggia. In fila avevano sei persone davanti, un gruppetto di sedicenni. Una cantava una vecchia canzone, forse dei Modà, magari gli Studio 3. Gli altri parlavano di un locale lì vicino, sicuramente migliore di quello del giorno prima, carino ma vuoto, vuoto peso.

“Buongiorno, vorrei un pacchetto di patatine!” disse Gianni, finalmente.

“Le patatine di Ben 10!”.

“Sì, come dice mio figlio, le patatine di Ben 10 per piacere”.

“Guardi, le abbiamo finite”.

“No, non può farmi questo. Non davanti al bambino”.

“Come, scusi?”

“Voglio le patatine!!!” accusò Mirko.

“Guardi” disse il barista, che guardava soltanto Gianni “abbiamo le patatine rustiche, le amica chips e quelle al pomodoro. Anche quelle dei Gormiti”.

“Papà io i Gormiti non li voglio voglio Ben 10!”

“Guardi, i Gormiti meglio non dirli neanche. Senta, ma non può dare un’occhiata in magazzino?”

“Non siamo un negozio di scarpe” abbozza lui, il sorriso fuori luogo di chi non ha capito mai “solo quello che c’è qui”.

“Senti, poco da fare lo spiritoso. Questo è un problema”

“Mi scusi?”

“Voglio il Ben 10!”

“Ecco, mio figlio è disperato perché ha visto altri bambini uscire da qui con quello stramaledetto Ben 10 e lui dovrebbe essere l’unico in tutta la spiagga a cuccarsi i Gormiti?”

“Senta, cerchiamo di portare le cose al loro ordine di idee”

“Alfredo ce l’aveva il Ben 10! Lui sì e io no!”

“No” continua Gianni, fermo “qui c’è un problema e bisogna risolverlo”.

“Senta facciamo così. Io gliene tengo da parte uno per mercoledì, che arriva il carico…”

“Io lo voglio oggi! Subito papà!”

Lo voleva subito. Così aveva stabilito Mirko con la kappa. E così successe. Miracolosamente, perché di miracolo si trattava, Gianni trovò un pacchetto di patatine di Ben 10, dello stramaledettissimo Ben 10. Un appunto velenoso al cameriere, servito col sorriso per non rovinare il momento: Mirko che ululava di piacere stabilendo in maniera insindacabile che lui, Gianni, era il papà migliore del mondo. I genitori dietro, quei babbioni col fisico da pensionato, potevano prendere appunti sopra l’insulsa settimana enigmistica: con un padre così, i poteri di Ben 10 potevano accompagnare solo.

Questo era il film di Gianni, che proiettava nella sua mente in HD dolby surround per non dare attenzione alle critiche di Mirko, Mirko con la kappa. Critiche al chioschetto, al barista, a suo padre, alla sua sfortuna, al suo destino di rimanere l’unico bambino sulla faccia della terra senza Ben 10 e senza un padre che potesse fare qualcosa a riguardo.

La camminata della vergogna, incredibile coincidenza, fece tappa proprio davanti all’ombrellone dell’infaustissimo Alfredo. Lo aveva detto Mirko, con una nota denigratoria che Gianni non aveva voluto recepire. Alfredo non c’era, e neanche i suoi genitori. Non erano in acqua, non erano sul campo di beach volley, sembravano praticamente volatilizzati. Magari erano andati a comprare qualcos’altro da mettere sul conto morale di Gianni, di quel mentecatto di Gianni che non sa anticipare le mode minori infantili.

Davanti al telo da mare più piccolo, un orrendo asciugamano con dei pesci giocattolo disegnati, c’era uno strano, minuscolo pupazzino. Aveva i capelli rossi e una specie di orologio che puntava su di noi, spavaldo. “Ben 10!” aveva sospirato Mirko, una quarantina di decibel più in basso del suo standard. Gianni quel minuscolo ditino non lo poteva sopportare proprio. C’erano dietro tutte le k, le rotture, i compromessi accettati e mai apprezzati. Voleva dargli un calcio, spedirlo in mezzo allo Ionio, lui e quel cazzo di ditino.

Ma si abbassò. Gianni si abbassò a guardare Ben 10. A guardarlo in faccia, come gli aveva sempre suggerito suo padre. E lui lo aveva ascoltato perché lui sì che era un figlio come si deve, a modo. Lo guardò, negli occhi e nel sorriso. Se ci vide qualcosa non lo disse a nessuno. Mirko lo guardava, forse stava berciando qualcosa. Gianni prese Ben 10, si guardò intorno, lo mise dentro il costume e proseguì verso il suo ombrellone.

Mirko non ci giocò mai, non lo guardò neanche, ma questo a Gianni importava poco. Tornato all’ombrellone, nel silenzio assordante di Mirko e negli occhi dubbiosi di Katia, glielo disse chiaro e tondo, a futura e roboante memoria:

Sono un padre meraviglioso.

Cazzo, sono un padre veramente meraviglioso.

Regalò un sorriso vago, si girò in maniera volutamente retorica, facendo perno sulla gamba destra, e saltellò verso l’abbraccio azzurro del mare.

*Stefano Risso, avvocato di professione e creativo col cuore. Diplomato al master in illustrazione editoriale Ars in Fabula ed. 2017, ha frequentato la Scuola di sceneggiatura Sentieri Selvaggi e il Laboratorio di scrittura creativa Rai Eri. Con gli occhi felici di un bambino triste, per la riscoperta della malinconia consapevole.

Lo trovate su Instagram e su Twitter come @stefanorissozitto

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