Ground Zero @ Paolo Pettigiani

Ground Zero

È stato il tragico attentato alle Twin Towers ad aprire le porte al Terzo Millennio, causando un vuoto materiale che riflette le profonde carenze culturali dell’occidente e segnando in maniera indelebile la percezione storico-sociale, architettonica e urbanistica di New York.
L’evento ha investito sia sul piano affettivo che pratico il tema della ricostruzione e gestione delle lacune: l’aspetto prevalente, immediatamente percepibile nel caso del vuoto lasciato dalle Torri Gemelle, è il suo essere necessariamente in relazione a qualcosa di altro da sé. Si tratta di una mancanza percepita negativamente che, come in un rapporto parassitario, non può esistere senza che esista anche ciò che, sul piano materiale, l’ha generata. A questo la società risponde con un meccanismo di difesa naturale: tenta di lenire la ferita.

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3 min readJan 18, 2017

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Ponendo la questione a un livello emozionale, si può notare come la mancanza generata da fatti così eccezionali e sconvolgenti faccia emergere alcuni di quei tratti tipici dell’uomo — la commozione, la compassione e l’impegno altruista — che ne nobilitano la natura e che in un periodo di alienazione emotiva e di indifferenza riescono a riscattarlo.

Tratto peculiare della lacuna è il suo essere un elemento strettamente legato al tempo, che ne costituisce una condizione di possibilità. La sua esistenza è subordinata all’esperienza di qualcosa che in precedenza era intatto, completo. Non è possibile percepire la mancanza di qualcosa senza conoscerne lo stato originario, sia questa all’interno di un quadro, di una scultura o di un monumento.

In questa prospettiva Reflecting Absence, il monumento realizzato dall’architetto Michael Arad in memoria delle Torri e che troviamo fotografato in queste pagine, si inserisce in modo singolare nel trattamento della lacuna. Non è difficile pensare che quello che era il simbolo del potere economico americano e del progresso sarebbe anche potuto essere ricostruito, se non addirittura rimpiazzato, da un nuovo edificio che, col passare del tempo, sarebbe diventato un nuovo simbolo e avrebbe soppiantato le vecchie torri.

Ma le vite umane che si sono perse e lo squarcio provocato da questo evento nell’ottusa serenità di tutto il mondo occidentale non potevano e non dovevano finire in secondo piano, in nessun modo e in nessun tempo. Reflecting Absence esprime con silenziosa risolutezza questa volontà: la scelta simbolica di non ricostruire ma di enfatizzare la mancanza che si è creata, una mancanza tanto più evidente a livello percettivo essendo nel cuore pullulante di grattacieli della città, gioca proprio sull’alterazione del rapporto figura-sfondo, potenziando quell’inversione gerarchica che porta la lacuna a ruolo di figura e relega il suo contesto a sfondo. L’essere altro rispetto a una condizione circostante, una materialità che è generata dall’assenza di materia, e il suo perdurare nel tempo come mancanza, garantita dal crescente divario che verrà a porsi tra la densità costruttiva in continuo aumento rispetto al volume nullo di Ground Zero, dona al monumento una potenza comunicativa fuori dall’ordinario, che senza dubbio rimarrà per molti anni a venire come simbolo e monito per le generazioni future.

Caso studio 2/3 del primo numero della rivista di 120g, online qui.

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