Stampa 3D—4D

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5 min readJun 1, 2018

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La stampa 3D nella macroscala è ancora utilizzata a un livello di prototipazione per la sperimentazione di tecniche, materiali e design: sono pochi gli esempi in cui viene impegnata per la costruzione di manufatti architettonici duraturi. Quale pensi che siano i maggiori limiti di questa tecnologia?

Forse vi starete aspettando un’argomentazione legata ai limiti tecnici delle macchine o dei materiali. Sicuramente c’è ancora molto da fare sotto questi punti di vista, ma penso che i limiti più grossi siano altrove, ossia che siano imposti dall’industria edile dei giorni nostri. L’edilizia è da sempre una delle industrie più lente nell’integrare innovazioni tecnologiche. Solitamente ci vogliono diversi anni prima che una nuova tecnologia o un nuovo metodo progettuale/costruttivo venga adottato. Basti pensare al percorso che la computer grafica e il rendering hanno dovuto fare prima di arrivare a essere usati come ai giorni nostri, o alla fatica che sta facendo il BIM a essere integrato. Tutto questo, però, è anche normale: costruire e soprattutto progettare per costruire richiedono tantissimo tempo e altrettante energie. Spesso, infatti, il tempo per ragionare e riflette è poco: bisogna inviare disegni, documenti, aggiornamenti, nel più breve tempo possibile. Questo implica necessariamente un rallentamento del processo di integrazione di nuove metodologie progettuali e produttive, privilegiando quelle già in uso dagli studi di architettura e dall’industria edile.
Quando si parla di stampa 3D, immaginaimo che sia sufficiente premere un pulsante per far partire un macchinario che, quasi per magia, farà nascere dal nulla un nuovo prodotto, nel nostro caso una costruzione. Purtroppo la realtà è ben diversa da questa visione futuristica. Quello della stampa 3D è un processo che richiede tempo in ogni sua fase. In quella progettuale, perché è necessario tenere conto delle caratteristiche architettoniche, strutturali, produttive, materiche, ambientali, di assemblaggio. In quella produttiva, perché i materiali utilizzati dovranno sempre e comunque rispondere alle leggi della fisica. Ecco, partendo da queste considerazioni si può iniziare a capire cosa comporti davvero voler portare la tecnologia della stampa 3D nel mondo dell’architettura e ci si può immaginare quali siano le difficoltà nel riuscire a svilupparla su larga scala. Si tratta di un vero e proprio modo di pensare, progettare, ingegnerizzare, che deve entrare nella testa dei progettisti non come sostituzione alle tecniche tradizionali ma come metodo alternativo che, a seconda dei casi, può risultare di preferibile utilizzo. È solo una questione di tempo: la stampa 3D richiede l’acquisizione di nuove competenze da parte di progettisti e tecnici. Ma questo è il punto meno dolente di tutta la questione: dopotutto, se un professionista capisce che uno strumento sarà utile nella sua attività, cercherà di acquisirlo non appena ne avrà le possibilità.

Nel campo dell’edilizia, la robotica per la stampa 3D è utile principalmente per il deposito di materiale on-site e per la produzione di elementi prefabbricati da assemblare. La stampa 4D, grazie alla ricerca sui materiale, sembra invecce avere le potenzialità giuste per portare nuova vita a questa tecnologia. Credi che il “self-assembly”, grazie ai materiali programmabili, possa raggiungere anche il campo delle costruzioni?

Sicuramente c’è tantissimo potenziale nel 4D, in particolare per i rivestimenti esterni di un edificio. Già oggi esistono sistemi responsivi che alterano la pelle degli edifici, vere e proprie membrane che si muovono tramite impulsi elettrici, meccanici, aerobici o liquidi, e che permettono di ottimizzare i consumi, l’aerazione e la quantità di luce che entra nell’edificio. È sufficiente collegare il sistema in rete, fornire informazioni riguardo la posizione geografica, il periodo dell’anno, le condizioni ambientali in tempo reale e il gioco è fatto. Guardando oltre, però, il self-assembly di strutture prodotte con tecnologie additive sarà una svolta epocale, soprattutto in quelle casistiche dove l’intervento umano risulta difficoltoso. Se avessimo necessità di costruire una qualsiasi struttura su di un pianeta extraterrestre, ci converrebbe spedire un container con dentro macchinari e materiali che, in completa autonomia, potranno muoversi e autoassemblarsi. Qualche anno fa lavorai sul tema del soft-robotics. Ecco, sono convinto che buona parte del futuro si trovi lì.

Le stampanti 3D esistono ormai da diversi anni, eppure ancora non sono state immesse nella produzione industriale per motivi di sicurezza. Questo ha sì favorito il florido sviluppo di una cultura maker autonoma e indipendente, ma ha anche “relegato” questa tecnologia a un livello di ricerca svincolato dalle leggi di mercato. Qual è, secondo te, lo scenario futuro? Siamo ad un punto di svolta (per l’entrata nelle industrie di queste macchine)?

Dire che le stampanti 3D non sono entrate nel giro della produzione industriale non è corretto. La stampa 3D è utilizzata per la prototipazione a livello industriale dagli anni ’80, periodo in cui sono stati depositati i primi brevetti. Negli anni successivi, con l’ottimizzazione delle tecnologie, è stata utilizzata anche per la produzione di piccole serie. La ragione per cui se ne sente parlare da relativamente poco tempo consiste nell’importante avanzamento di progetti low-cost e open-source, i quali hanno distrutto le barriere di costo e know-how che l’industria aveva imposto, riscuotendo successo su larga scala. In questo modo, una volta per tutte, la tecnologia additiva è diventata accessibile a tutti. Questo ha permesso a ricercatori e Università di studiare e migliorare i processi di produzione senza dover essere vincolati a marchi e aziende di grandi dimensioni, facendo avanzare un tipo di ricerca più genuino e aperto alla sperimentazione. Nel momento in cui, però, si vuole fare un salto nel mondo industriale, bisogna sempre iniziare a rispettare dei parametri standard. Giustamente, ci dobbiamo confrontare con il mondo delle certificazioni, sia per le macchine che per i materiali. Per quanto riguarda l’architettura e l’edilizia, la sfida dell’immediato futuro riguarderà proprio questo tema: raggiungere degli standard qualitativi che, a prescindere dalle dimensioni e dalle innumerevoli variabili, possano dare garanzia di ottenere risultati validi per l’utilizzo dei pezzi prodotti. Questo consentirà di ottenere elementi di qualità utilizzabili senza problemi per la costruzione di strutture e rivestimenti, cosa che attualmente costituisce il motivo principale per cui la stampa 3D in situ non sta ottenendo molti consensi dall’industria. D’altro canto, ci avvicineremo sempre più alla prefabbricazione in ambienti controllati.

Giulia Grassi intervista Alessandro Tassinari

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