#inunfuturoprossimo: 4th round

17 aprile 2014

Lorenzo Spallino
2012/2017
Published in
6 min readFeb 8, 2017

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Giovedì 17 aprile si è tenuto l’ultimo degli incontri del ciclo In Un Futuro Prossimo, dedicato all‘evoluzione del ruolo degli enti locali nella gestione del territorio e dell’ambiente.

Erano con noi Emanuele Boscolo (Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell’Università degli Studi dell’Insubria), Giuseppe Cosenza (Direttore Area Programmazione e sviluppo del Comune di Como), Ada Lucia De Cesaris (Vice sindaco del Comune di Milano) e Andrea Villani (Dipartimento di Economia Internazionale, delle Istituzioni e dello Sviluppo Università Cattolica).

Di seguito la traccia che è stata inviata ai relatori in vista dell’incontro.

Arrivederci al prossimo anno.

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La fine di un percorso. L’apertura di nuovi orizzonti.

Arriviamo alla fine del percorso avviato parlando di cittadini e servizi digitali con Michele Benedetti, Giovanni Fazio e Cosimo Carbonelli, proseguito parlando di linguaggi delle pubbliche amministrazioni con Giovanni Acerboni, Angelo Caruso di Spaccaforno, Jacopo Deyla e Paolo Garavaglia, e continuato nello scorso incontro trattando di flussi procedimentali e verifiche della qualità dell’azione amministrativa con Alessandro Colombo, Renato Ruffini e Giuseppe Tomarchio.

Nessuno degli incontri proposti si è concluso mostrando un esito. Tutti hanno offerto un percorso, aperto degli scenari, costretto i relatori a confrontarsi.

Il territorio, i territori

Oggi parliamo di territori con Emanuele Boscolo, Giuseppe Cosenza, Ada Lucia De Cesaris e Andrea Villani. Parliamo dell’evoluzione del ruolo degli enti locali nella gestione del territorio e dell’ambiente. Parliamo degli effetti derivanti dai nuovi paradigmi di tutela del territorio non urbanizzato.

Credo dovremmo partire delimitando i nostri territori, quelli del lessico che oggi useremo.

Come tutti i termini ^esplosi^ nell’uso comune, oggi il termine territorio ha molte accezioni. Possiamo dire che oggi territorio è un’espressione polirematica, ossia una locuzione il cui significato non è desumibile da quello delle parole che la compongono. La Treccani ne parla a proposito di Geografia, Storia, Diritto, Arti Visive, Scienze Demo-Etno-Antropologiche , Archeologia, Lingua, Religioni, Economia.

Insomma: il territorio — che deriva dal latino territorium, che a sua volta deriva dal termine territor che significa “possessore della terra” — ha lasciato i suoi confini relazionali fissi e ben definiti per espandersi un po’ ovunque. Anche all’interno delle realtà più restie al cambiamento, l’espressione non è più utilizzata con riferimento a realtà spaziali ma a elementi dai contorni più indefiniti, come l’appartenenza, il senso di identità, piuttosto che significati tradizionali che rimandano alla nozione di possedimenti, porzioni di suolo o di acque, di appartenenza di un animale, di una persona, di un’organizzazione o di un’istituzione.

E forse è proprio dalla appartenenza che possiamo ridefinire i confini lessicali di oggi, abbandonando il riferimento geografico per abbracciare quello dei sistemi che fondano la conoscenza, la percezione, la rappresentazione e la costruzione della coscienza identitaria di una collettività insediata.

In quest’ottica, il territorio costituisce un riflesso dell’azione sociale.

La rappresentazione del mondo

Scriveva Luigi Mazza sul domenicale del Sole 24 di qualche anno fa, che il declino delle città è il declino delle elites, perché sono queste a determinare la forma del futuro costruito, perchè è il costruito delle elites forti a essere segno vivo della loro consistenza. La riflessione di Mazza ha il merito di aver evidenziato ciò che diamo per scontato: ossia che la forma della città sia in qualche modo casuale o al di là alla nostra sfera decisionale.

Sono i rigidissimi regolamenti edilizi del Barone Haussmann che, imponevano regole forti sull’altezza e l’architettura degli edifici che hanno determinato l’immagine della Parigi di oggi, emblema e modello della città occidentale per tutto il 900. Immagine oggi fatta propria dall’immaginario collettivo mondiale, veicolata in diversi film di Hayao Miyazaki.

Scrive Natalino Irti in un volume appena pubblicato, che la soluzione dei problemi non può essere affidata ai tecnici, ma spetta ai politici. Perché la politica è mediazione nel senso alto del termine, perché senza politica non c’è progettualità.

In questo intravediamo i segni della decadenza della pubblica amministrazione di oggi: nell’incapacità di costruire una rappresentazione del mondo, di raccontare il proprio territorio per definire uno statuto identitario, una lingua comune, un disegno condiviso. Nei volti di molti grand commis della macchina dello Stato si legge questo: la difficoltà di mobilitare risorse comunicative forti quali la memoria e la fiducia nel futuro, il non essere più in grado di governare cognitivamente lo spazio nel quale la nostra vita si svolge.

Questo non significa abbracciare visioni apocalittiche da fine del mondo, tipiche un tempo delle gerarchie religiose e oggi dei mezzi di comunicazione. Avere coscienza del problema e delle sue origini, collocarlo correttamente su uno sfondo sempre più in movimento, non significa abbandonare ogni speranza. Significa essere costruttivamente pessimisti come Maldonado. Significa comprendere, come Ernesto De Martino, che la fine di un mondo non è la fine del mondo.

La fine di un mondo. Le nuove ere.

Partiamo da qui. Dalla fine del mondo come lo conosciamo. Partiamo dalla rivoluzione incompiuta della legge urbanistica del 1942, dal progetto di legge di Fiorentino Sullo del 1942 sulle espropriazioni, da un legislatore che nel 2001, in piena riforma costituzionale, antepone la riforma dell’edilizia a quella dell’urbanistica, e collochiamo il tutto in uno sfondo in movimento. Come quando si era bambini e si stava sui treni a guardare il paesaggio: lasciamo che l’occhio rilasci il muscolo che governa il cristallino e abbandoni ciò che scorre in vicinanza, abbracciando i boschi e i campi in distanza.

Cosa vediamo? Vediamo il ritrarsi dell’elemento pubblico centrale nella pianificazione a favore dell’elemento privato. Vediamo nel contempo il tentativo degli organismi minori, gli enti locali, di occupare gli spazi lasciati liberi dai grandi attori. Sono questi, gli enti locali, soggetti analoghi ai primi mammiferi comparsi tra la fine del Triassico ed il medio Giurassico, che hanno fatto della adattabilità e del sangue caldo le armi vincenti che hanno permesso loro di dominare il mondo.

Erano organismi debolissimi, dalle abitudini quasi sicuramente notturne. Chi avrebbe detto che avrebbero dominato la terra? La maggior parte dei primi mammiferi avevano dimensioni e comportamento simili a quelli dei toporagni (Hadrocodium probabilmente non superava i 2 g di peso). Dopo l’estinzione di massa del Cretaceo, avvenuta 65,7 milioni di anni fa, i mammiferi diedero luogo, per un fenomeno di radiazione adattativa, ad una rapidissima diversificazione di forme e dimensioni, per andare a riempire le nicchie evolutive rimaste vuote.

E’ questo lo scenario che attende le pubbliche amministrazioni nel loro rapporto con il territorio? La scomparsa dei grandi attori centrali (i dinosauri) e il fiorire degli attori locali (i mammiferi)? Come nella rigenerazione urbana credo sia possibile individuare una possibile linea evolutiva dell’azione delle pubbliche amministrazioni che, lontano dagli eccessi degli anni ’80, punti a far evolvere gli idealismi degli anni ’60, dove sostenibilità, equilibrio del territorio, rispetto ambientale, valorizzazione dei centri storici erano le parole d’ordine. Senza scadere nel mito della bontà delle decisioni assunte in modo collettivo, ma senza ignorare i processi partecipativi e riconoscendo il peso della parte pubblica nella gestione delle trasformazioni urbane.

Non è possibile nascondersi la possibilità che la presa di coscienza da parte delle amministrazioni locali del fatto che solo un ruolo attivo nei processi di trasformazione può consentire loro di attirare risorse economiche preziose in momenti di scarsità delle stesse, possa generare conflitti tra enti locali e enti sovraordinati.

Essendo però un pessimista costruttivo e un convinto sostenitore della teoria dell’evoluzione anche nelle relazioni sociali, confido in scenari positivi. Perché diversamente assisteremmo soltanto ad nuove centralità, in sostituzione di quelle esistenti, ignorando e ritardando una evoluzione del diritto urbanistico assolutamente ineludibile. Il che rappresenterebbe l’evidente esito di un processo di degenerazione invece che di rigenerazione. Con quanto ne deriverebbe in termini di abbandono di ogni riflessione in ordine alla necessità che la tutela dell’inedificato non si trasformi in un vantaggio per i proprietari dell’edificato. E il pericolo che si mascheri la trasformazione dell’inedificato per occasione di giustizia sostanziale.

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