28 maggio 1983 — Inaugurazione Monumento alla Resistenza Europea (@ Archivio Antonio Spallino)

Antonio Spallino e il Monumento alla Resistenza Europea

27 maggio 2023

Lorenzo Spallino
Published in
9 min readMay 26, 2023

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Le vicende che portano alla realizzazione del Monumento coprono un arco di tempo non indifferente: si parte dalla delibera del 18 aprile 1977, con cui il Consiglio comunale approvò il bando di concorso per la sua realizzazione, e si arriva al 28 maggio 1983, quando il Monumento venne inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini.

A sx: il Presidente Pertini a Villa Olmo al convegno internazionale “La Resistenza, l’Europa” / Dx: da archivio storico della Presidenza della Repubblica.

Sono sei anni non semplici, ai quali va aggiunto il tempo necessario per consolidare politicamente la proposta. Erano i tempi del proporzionale: se è vero che i poteri di sindaco e assessori erano maggiori rispetto ad ora, è anche vero che non c’era decisione che non passasse dal confronto, anche aspro, sia tra maggioranza e minoranza, sia all’interno della stessa maggioranza.

Papà teneva molto a questo progetto, dal cammino non facile. Pensate solo al fatto che, emesso il bando e nominata la commissione giudicatrice, questa decise, l’8 marzo 1978, di non ammettere alcuno dei 34 progetti presentati perché “non adeguati”. Il 18 maggio 1979 che la Giunta incaricò lo scultore milanese Gianni Colombo della progettazione del monumento e fu necessario attendere il 1982 per avere le autorizzazioni del Magistrato del Po e del Genio Civile.

Chi ha avuto esperienze nella pubblica amministrazione sa cosa significa questo lasso di tempo. Sa come, in politica, il fattore temporale giochi un ruolo determinante perchè anche il migliore dei progetti scolorisce man mano che il tempo passa, sino a quando ci si ritrova a domandarsi se abbia ancora senso realizzarlo.

Come disse papà in un affollato incontro pubblico del febbraio 1992 (Etica e prassi):

Nelle istituzioni l’usura maggiore non è provocata dal volume di lavoro, né dalla sua intensità: è data dall’usura quotidiana che viene dal misurare lo scarto tra l’intuizione e il vederla realizzata

Va anche detto che la determinazione con cui la Giunta di allora gestì il progetto si inseriva in un solco ampiamente segnato e da cui era difficile discostarsi: tra la documentazione di allora ci sono tre pagine dattiloscritte dedicate alla cronologia delle iniziative del Comune di Como per la Resistenza. Convegni, esperienze all’estero, pubblicazioni che partono dal 1955 per arrivare al 1975, quasi a ricordare alla stessa politica che da quel solco non ci si poteva allontanare, fosse anche solo per inerzia.

La realtà è, come sempre, complessa e dai contorni non così netti. Le proposte di ANPI di realizzare un’opera che esaltasse la Resistenza sono dei primi anni ’50. Nessuno poteva sapere, scrisse Giusto Perretta — direttore e poi presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta — che quello fu in realtà “l’inizio di un lungo processo alla Resistenza”, nel quale più d’uno contestò, a seconda del momento, che un’opera del genere era troppo presto per realizzarla piuttosto che troppo tardi.

Passarono i Sindaci Terragni e Piadeni, fino a quando Lino Gelpi bandì un primo concorso che non portò a nulla di fatto. Fu in quella occasione che si cominciò a parlare di ubicazione del monumento poiché questa, evidentemente, condizionava il tipo di opera che si voleva realizzare.

Contestatori e oppositori del monumento ve ne furono, come è giusto che sia. O anche solo semplici portatori di visioni legittimamente diverse. Tutto va messo in conto, senza farne una questione personale o di mani alzate. Così venne gestito il processo, anche politico, che portò alla realizzazione del monumento. Come disse papà in quel fortunato incontro del 24 febbraio 1992:

Non ho mai creduto nel possesso della verità da parte delle mani levate più numerose delle altre. E mi sono proposto […] di cercare di motivare le mie convinzioni al mio interlocutore, anche perché può accadere che sia lui a persuadermi che ho sbagliato. Se io parlo per alzate di mani non parlo con nessuno, parlo con il vuoto, parlo con il potere”.

Diverse furono le posizioni, per così dire, non allineate. Tra queste vale la pena citarne almeno due, culturalmente distanti tra loro. Penso alla nota del 9 dicembre 1977 con cui l’Ordine degli Architetti comunicava al Sindaco di non avere alcuna intenzione di nominare un proprio rappresentante nella Commissione Giudicatrice non avendo lo stesso Ordine dato “la propria preventiva approvazione al bando di concorso”.

Nota 9.12.1977 Ordine degli Architetti al Comune di Como (la sottolineatura è di papà)

E penso ai Radicali Comaschi che nel 1980 — all’indomani dello stanziamento dei fondi per la realizzazione del monumento — lanciarono una petizione parlando di “spreco di capitali pubblici” che meglio avrebbero potuto essere impiegati, “in opere di gran lunga più utili o semplicemente fruibili da tutti i cittadini”, come “dotare la città di un teatro”, “devolvere i fondi alla biblioteca comunale”, “dotare la città di spazi verdi”, devolvere i fondi a una organizzazione internazionale per lo sviluppo del Terzo Mondo o utilizzarli per ristrutturare un edificio del Comune da adibire a “centro sociale per giovani e anziani”.

Il volantino dell’Associazion Radicale Comasca: le sottolineature sono di papà, come l’annotazione “Avv. Jaconianni”, a significare che andava trasmesso all’assessore.

Il che conferma una regola aurea delle pubbliche amministrazioni: ogni volta che si decide di realizzare qualcosa che va al di là dell’ordinaria amministrazione, c’è sempre qualcuno che sa perfettamente come andrebbero gestiti i processi ma soprattutto a cosa andrebbero destinate le risorse.

Una buona sintesi di quello che una parte della città espresse allora è ben sintetizzato in una lettera aperta che l’ANPI, per mano di Giusto Perretta, indirizzò al quotidiano La Provincia il 5 dicembre 1979 all’indomani della indicazione dei giardini a ridosso della diga foranea come sede definitiva del monumento.

Scriveva con tratto ironico Perretta:

“Si è allarmata l’opinione pubblica paventando il pericolo della deturpazione del paesaggio prima, poi con quello della stabilità della diga e, successivamente della distruzione del verde pubblico, facendoci scoprire?-?con letizia- un impensato così grande amore per la nostra città, del quale non possiamo non rallegrarci.”
Lettera aperta ai direttori de La Provincia e del Corriere di Como, 5.12.1979

Sì, perché scartate via via le collocazioni di viale Giulio Cesare, piazza Verdi, villa Geno, piazzale della stazione di San Giovanni, quando ci si concentrò sull’area a lago piuttosto che sulla diga stessa, tramite un percorso di memoria, sorsero obiezioni che spaziavano dal sacrificio del verde pubblico alla stabilità stessa della diga.

“Sfugge […] alla nostra comprensione come mai una diga così fragile e quasi pericolante, possa invece essere percorribile da intere vivaci scolaresche o gruppi di gitanti.”
Lettera aperta ai direttori de La Provincia e del Corriere di Como, 5.12.1979

In realtà, come in numerosi altri casi — e ce ne sarebbero di esempi in questa città –allarmismi e preoccupazioni nascondevano, male, la speranza che il monumento non si realizzasse.

Nato dal desiderio di celebrare la Resistenza in una città che la Resistenza preservò ostinatamente dalla distruzione che il passaggio delle ultime truppe naziste e fasciste poteva comportare, il monumento venne sviluppato e realizzato abbracciando i valori della Resistenza europea, di cui sono memoria le frasi dei condannati a morte e le pietre dei campi di concentramento.

La prima traccia di questo afflato compare nel verbale della conferenza dei capigruppo del 19 aprile 1979, dove si legge:

“SPALLINO: suggerisce che vengano apposte anche delle scritte in versione originale inerenti agli eroi della Resistenza europea.”

E, conoscendo l’affetto di papà per suo padre — il senatore e ministro Lorenzo Spallino di cui proprio oggi ricorre la scomparsa il 27 maggio 1962 — non furono sicuramente estranee alla scelta le righe che nel 1955 scrisse il nonno in occasione del primo decennale del 25 Aprile dove, per delineare il significato e valore della Resistenza, invitò a leggere le parole contenute nelle lettere di due condannati a morte: Franco Balbis, giovane ufficiale torinese condannato a morte nell’aprile 1944, e don Aldo Mei, fucilato il 4 agosto 1944.

“Bisogna leggere queste ed altre lettere per avere indelebilmente luminoso il concetto di ciò che ha significato e significa la Resistenza, che giganteggia nel tempo, esaltandone l’Idea, la sete di giustizia, l’amore alla libertà, la difesa della umanità, la devozione alla Patria.”
Sen. Lorenzo Spallino, “La Resistenza deve diventare materia di amoroso studio nelle scuole”, Corriere della Provincia, 25 aprile 1955.

Così, quando, il 25 aprile 1982, l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Giovanni Spadolini, inaugurò la posa della prima pietra del Monumento, erano presenti i rappresentanti delle più diverse espressioni della resistenza europea, a testimonianza di come la stagione della resistenza corale dei popoli europei all’annichilimento totalitario fosse stata l’espressione più alta e drammatica dell’uomo del secolo scorso calpestato “non importa come, non importa da chi”, come scrisse papà nel discorso con cui diede il benvenuto al Presidente del Consiglio.

Giovanni Spadolini alla posa della prima pietra del Monumento il 25 aprile 1982

Papà riversò la passione e lo scrupolo del bibliofilo nella ricerca e nella selezione delle testimonianze da inserire nel monumento, tanto da ricercarne gli originali per potere riprodurre la vivezza della calligrafia nelle lapidi.

Traccia sono le note con cui, nei primi mesi del 1980, scriveva — firmandosi ^Nino^, privilegio di pochi — al dr. Bortone, indimenticato direttore della biblioteca comunale.

Lettera a cui il direttore rispondeva segnalando di essere riuscito, “dopo non agevole ricerca”, a sapere che l’archivio di Giovanni Pirelli — curatore del volume “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana” — forse conservava qualche riproduzione di manoscritti di lettere di condannati a morte della Resistenza europea.

Di questo afflato è colmo il discorso che papà scrisse per l’inaugurazione, il 28 maggio 1983 (e sì, scrisse, perchè papà non permise mai a nessuno di scrivergli i testi. Mai).

Discorso celebrativo dei Sindaco di Como per l’inaugurazione del Monumento alla Resistenza Europea, 28.05.1983
Discorso celebrativo dei Sindaco di Como per l’inaugurazione del Monumento alla Resistenza Europea, 28.05.1983

Se questa era la parte, come dire, lieta, del tempo dedicato da papà al progetto, vi era anche una parte per così dire non lieta. Chi lo ha conosciuto sa che era quasi impossibile vederlo alterato. Riteneva che l’educazione e l’autocontrollo fossero, per un amministratore, le basi del porsi in pubblico. Lo ricordo invece addolorato e adirato per un episodio collegato alle vicende che portarono alla realizzazione del Monumento, ossia quando nel novembre del 1997 — a distanza ormai di anni dalla sua realizzazione — venne a sapere dell’invio, da parte di un avvocato comasco noto per le simpatie di estrema sinistra, di un plico contenente un centinaio di pagine di accuse rivolte a Giusto Perretta.

Rabbioso perchè La Provincia non aveva pubblicato una sua lettera, il collega decise di scrivere a Perretta sostenendo che questa non era stata pubblicata perché il giornale non aveva alcun interesse a mettere in dubbio l‘antistorica “tesi” dell’Istituto. Spero — continuava l’accompagnatoria — “che vi rendiate conto della gravità del Vostro atteggiamento”. Quanto a lui, comunicava che avrebbe combattuto le tesi dell’Istituto diretto da Perretta “per dimostrare che siete solo degli imbroglioni”.

Scrisse Perretta a papà nel 1997, informandolo di quanto avvenuto:

“Il periodo che sto attraversando è veramente penoso e non facile da superare, dato anche l’età ormai avanzata e la quotidiana visione di un mondo che non vuole assolutamente redimersi, dopo tanti disastri morali e materiali. Riconosco in una frase di mio padre “È PIÙ FACILE ESSERE BUONI CHE GIUSTI”, una grande verità. L’aver voluto dare un loro giusto posto nella memoria a personaggi come Luigi Canali, Giuseppina Tuissi e Giorgio Perlasca, mi ha procurato ripetuti attacchi dalla sinistra estrem
Giusto Perretta a Antonio Spallino, 9 novembre 1997

Papà era furibondo. Non concepiva che un uomo di legge potesse, al di là dell’orientamento politico, esprimersi in questo modo e soprattutto che si potesse rivolgere così alla persona chi si era preso il compito di creare e dirigere l’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta. So che scrisse al collega, non so cosa gli disse, ma so quanta fatica debba essergli costargli, lui che non ebbe mai una parola sgarbata verso un avversario. Mai.

Permettetemi di concludere con un ricordo affidatomi da una persona stimata da mio padre e che ha vissuto quegli anni.

Il giorno dell’inaugurazione del Monumento questa persona, che è un giornalista, era vicina a papà mentre si attendeva l’arrivo del Presidente della Repubblica. Nell’attesa, papà ricordò lo scritto di Eva Kafkova ed Ema Venda, due dei bambini di Terezín, ossia di due dei 15.000 minori ebrei che vissero nel Campo di concentramento di Theresienstadt tra il 1941 e il 1945.

“Vi preghiamo se voleste mandarci qualcosa, qualche vecchia scarpa. Se foste cosi gentile da mandarci un pezzetto di pane o qualche focaccia, accetteremo con gioia.”

Alla giornalista non sfuggì che mentre papà leggeva dai suoi appunti gli occhi gli si inumidirono per le lacrime.

Questo era l’uomo, quelli erano i tempi.

Tempi in cui, secondo le parole di papà, si insegnava ad avere “la pazienza e la serenità dell’accoglienza civile, del dialogo tra le culture”, così da “nutrire di competenza la linfa di verità che fluisce o muore nella gestione della città”.

Il Monumento alla Resistenza Europea ci tramanda anche questo.

Sta a noi raccoglierne l’insegnamento.

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