Cantiere delle paratie, Como. Fonte La Provincia, 13.8.2022

Il processo è di per sè una pena

6 luglio 2023

Lorenzo Spallino
2017/2022
Published in
3 min readJul 6, 2023

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È del 18 giugno scorso la notizia, passata praticamente inosservata, che la Procura generale ha impugnato avanti la Corte di Cassazione la sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano ha ribaltato la decisione di primo grado del Tribunale di Como nel processo delle paratie.

Sotto il profilo mediatico tutto iniziò con una affollata conferenza stampa, quella del 1° giugno del 2016, quando la Procura della Repubblica di Como rese noti i dettagli dell’inchiesta “Mimose” che aveva condotto agli arresti effettuati in mattinata dalla Guardia di Finanza: quattro le persone arrestate, di cui due in carcere e due ai domiciliari.

Seguirono tre anni di copertura pressochè giornaliera, sino a quando il 15 luglio 2019 il Tribunale di Como, al termine di due anni di udienze, condannò sette imputati a complessivi 12 anni di reclusione: tra questi 4 anni a Pietro Gilardoni - che nel frattempo aveva trascorso 108 giorni di custodia cautelare tra detenzione al Bassone e domiciliari - per corruzione, turbativa d’asta e falso, 1 anno e 6 mesi a Mario Lucini per turbativa d’asta e falso, 1 anno e 3 mesi per il dirigente Antonio Ferro, 1 anno alla dirigente Maria Antonietta Marciano e 6 mesi al segretario comunale Antonella Petrocelli.

Nessun fondo, nessuna riflessione, solo interviste: su La Provincia del 18 gennaio mi permisi di dire quello che pensavano in molti. Ossia che, se questi sono i rischi che corrono i pubblici amministratori, il futuro delle città è fatto di amministrazione ordinaria e forse nemmeno quella.

La condanna non soddisfece la Procura che decise di appellare in quanto “Il Tribunale di Como, pur condannando gli imputati, ne ha inspiegabilmente ridimensionato le responsabilità, facendone dei ^delinquenti^ per necessità, costretti a commettere reati per finire l’opera”.

Appellarono, ovviamente, anche gli imputati.

Il 13 gennaio 2023 la Corte d’Appello di Milano ribaltò la decisione di primo grado.

Assolto l’ex Sindaco Mario Lucini dall’accusa di falso “perché il fatto non sussiste”, prescritte le imputazioni di turbativa e falso relative allo spacchettamento degli incarichi e la mancata rescissione il contratto con Sacaim, assolti tutti gli altri imputati, con due sole condanne confermate per un’imputazione non relativa alle paratie.

Riscontro mediatico modesto: l’intervista a Mauro Guerra del 17 gennaio, nella quale si invocava una ragionevole revisione della linea di demarcazione tra reati penali e errori amministrativi, ha di fatto posto fine alla dignità giornalistica dell’evento.

A metà giugno la notizia del terzo grado di giudizio, quello di Cassazione, promosso dalla Procura generale per le ipotesi di reato non prescritte: iniziativa che, inevitabilmente, costringerà le altri parti a proporre a loro volta ricorso.

Questa città attenderà il giudizio o, forse, se ne disinteresserà, come ha fatto (architetti in primis) per la soluzione architettonica del nuovo lungolago che, privato degli “orpelli” della soluzione originaria, mostra il desiderio di chiudere la questione a qualsiasi costo, cancellando la memoria del passato e scegliendo di non interrogarsi sul futuro.

Nessun commento, nessuna riflessione sul fatto che il ricorso impedisce di mettere la parola ^fine^ a una vicenda iniziata sette anni fa e che tra gli altri effetti ha avuto quello di cancellare dal panorama cittadino la novità che la vittoria di Mario Lucini nel 2012 aveva indubitabilmente portato con sé: l’aver coinvolto nella cura amministrativa della città persone ai margini della politica, quando non estranee, ma al tempo stesso attive nel tessuto vivo della comunità.

Questa estraneità permane e la difficoltà di coinvolgere persone che dai rischi dell’amministrazione hanno solo da perdere dovrebbe far riflettere tutti.

Nessuno chiede che non sia esercitata l’azione penale, tutti siamo convinti della doverosità della stessa, ma davvero senza sapore di polemica e con il massimo rispetto, così come questo racconto è iniziato con una conferenza stampa della Procura così era lecito, dopo la sentenza di assoluzione della Corte d’Appello, aspettarsi un’analoga iniziativa per illustrare le ragioni della scelta di ricorrere in Cassazione.

Perchè nessuno è estraneo a questa società e soprattutto perchè, come scriveva Piero Calamandrei, «il processo, e non solo quello penale, è di per sé una pena».

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