La foto perfetta non l’ha fatta un umano. Ma sono gli umani a interpretarla.

24 aprile 2020

Lorenzo Spallino
2017/2022

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Ha fatto molto discutere la foto scattata da un drone del Comune di Rimini nel corso di controlli per verificare che le disposizioni eccezionali per il Coronavirus fossero rispettate.

La foto rappresenta un uomo sdraiato su una catasta di materiale, presumibilmente di un stabilimento balneare, mentre prende il sole sull’arenile deserto, attorniato da due uomini della Polizia Locale arrivati con dei quad.

L‘immagine è stata ripresa sul Web fino a essere rilanciata dalla Bbc sul suo profilo Instagram, dove ha raccolto più di 50.000 ‘like’.

Non si tratta, ovviamente, dell’unica foto scattata nel corso del controllo: ce ne sono altre, molto più ordinarie, disponibili sul sito del Comune di Rimini (link), il quale ha dato particolare enfasi alla attività della Polizia Locale, i cui droni

hanno setacciato parchi e spiagge per segnalare in tempo reale agli agenti operanti a terra le persone che si trovavano illecitamente sulla spiaggia e nei parchi pubblici.

Il video dei controlli è disponibile sul canale Youtube del Comune.

L‘immagine (perchè si tratta di un fermo immagine, non di una fotografia in senso stretto) ha goduto di una forte veicolazione non tanto perchè rappresenta uno spiegamento, giustificato o meno poco importa, delle forze dell’ordine del Comune di Rimini quanto perchè rispetta più di una delle regole fotografiche.

La prima regola, detta ‘dei terzi’, dice che per ottenere un’immagine ben bilanciata è necessario che gli elementi importanti dell’inquadratura siano collocati alle intersezioni delle due linee verticali e di quelle verticali distribuiti ai terzi dell’inquadratura.

A sx, foto di Steve Mc Curry / A dx The Fighting Temeraire’ di J.M.W. Turner (1838)

In quest’ottica, il soggetto non è (o non dovrebbe essere) inquadrato al centro dell’immagine, oppure troppo vicino ai margini.

Nel nostro caso la foto di Rimini è perfetta.

Il soggetto verso cui si dirigono gli agenti fa parte dello sfondo ed è l’agente ritratto con maggiore movimento ad essere collocato all'intersezione tra la prima linea verticale e la prima orizzontale.

Perfetto è anche il rispetto delle linee guida, ossia delle line presenti nell'inquadratura che ^guidano^ lo sguardo dell’osservatore verso uno o più punti di interesse nell'immagine, in genere posizionato in uno dei punti chiave secondo la regola dei terzi, nel nostro caso il volto stupito del malcapitato.

Anche la regola del contrasto tra soggetto e sfondo (secondo cui tanto maggiore è il contrasto, tanto più sono esaltate la dinamicità dei soggetti e la drammaticità dell’immagine) è ampiamente rispettata: non c’è un cielo a distogliere l’attenzione di chi guarda, il bianco dei quad e di caschi degli agenti è esaltato dal sole alto all'orizzonte, così che le ombre sono praticamente assenti, e contrasta con il tortora della sabbia, che a sua volta esalta il dettaglio azzurro dei pantaloni del soggetto colto in flagrante.

Ma queste, in fondo, sono tecnicalità.

Come ha sottolineato la rivista RollingStone, “nonostante sia stata fatta per caso, la foto dei controlli sulla spiaggia di Rimini ha un equilibrio perfetto, come la copertina di un album disegnata dallo studio Hipgnosis”, specializzato nella creazione di copertine per album musicali e famoso per aver lavorato per Led Zeppelin, Yes, Genesis, UFO, Peter Gabriel, Emerson, Lake & Palmer e The Alan Parsons Project. Così, per dire.

Sembra una scena del noto videogame statunitense, il frame di una puntata di Black Mirror, invece è solo la realtà, che in questi mesi si sta rivelando molto più avvincente di un film di fantascienza. Una foto scattata quasi per caso da un drone, con l’unico intento documentaristico di mostrare il lavoro della polizia durante il lockdown, riesce a raccontarci molto di più di quanto vorrebbe: una realtà distopica, dove qualsiasi spostamento è vietato in nome della prevenzione, dove anche prendere il sole in una calda giornata d’aprile diventa un crimine di gravità assoluta. E intanto il confine tra libertà del singolo e sicurezza collettiva diviene sempre più labile.

É vero e non è vero: l’immagine è sì distopica (nel senso che descrive o rappresenta una realtà immaginaria del futuro) ma ha anche un forte richiamo simbolico, nella misura in cui ripropone il veicolatissimo contrasto tra l’equipaggiato tutore dell’ordine di cui non è dato vedere il viso e il comune cittadino, a volto scoperto e forte solo della sua ordinarietà.

Come in una delle foto vincitrici del World Press Photo 2017, scattata il 9 luglio 2016 a Baton Rouge, la capitale della Louisiana, dove centinaia di persone protestarono contro le violenze della polizia americana contro i neri (v. La storia della foto della manifestante a Baton Rouge).

Foto Jonathan Bachman,

Guardate la pulizia e l’aggressiva bellezza del quad in forza alla Polizia Locale, il vestiario degli agenti, il casco immacolato sotto un sole ormai estivo, le divise perfettamente eguali, la pistola nella fondina, i guanti neri: non c’è un centimetro della loro pelle esposto al sole. Guardate come l’ondeggiare delle braccia sottolinea il passo deciso dell’agente a sinistra.

E poi guardate la persona che prende il sole: è a torso nudo, indossa dei jeans, ha la camicia arrotolata sotto il capo a mo’ di cuscino, si è accorto da poco dell’arrivo degli agenti, solleva appena la testa verso di loro, forse si era appisolato, guarda gli agenti che sono a un passo da lui. Non ha scampo, non può scappare, forse non vuole nemmeno farlo.

Forza vs. inermità, azione vs. immobilità, autorità vs. obbedienza.

Questo suggerisce l’immagine, questo ha colto la gran parte dei commentatori sui social.

C’è però una lettura meno evidente e sotto traccia che non può essere ignorata, pena una eccessiva semplificazione.

Come scrive Gregory Currie nel saggio Fotografia come mediazione (Raffaello Cortina Editore, 2013),

si potrebbe dire che c’è una differenza tra vedere le fotografie e vedere i termometri, la quale spiega perchè il primo, ma non il secondo, è un modo di percepire.

Il che dovrebbe ricordarci, come disse Christian Caujolle al Festival di Internazione del 2017 (link), che la fotografia

non è la realtà, ma un punto di vista, che ha sì un collegamento concreto con la realtà, ed è quindi uno spicchio di realtà ma non la verità.

Ogni immagine è interpretazione: il taglio, le regole di composizione, la gamma dei colori sono strumenti, è il nostro cervello che li interpreta. Ci fanno velo la nostra sensibilità, i nostri errori, le nostre stesse esperienze.

L’errore non sta nel leggere ciò che la gente ha letto nell’immagine (l’utilizzo spropositato della forza pubblica, l’ossessiva ingerenza delle forze dell’ordine nella libertà personale, la sproporzione tra il comportamento del cittadino e l’attività di controllo, forse anche l’irragionevolezza delle norme) ma scegliere, tra altre, di esibirla per dimostrare l’impegno delle forze dell’ordine nel controllo del territorio.

Ignorando il fatto che la forza comunicativa di un’immagine può anche dipendere dall'autore, ma che l’interpretazione spetta al lettore.

E quindi, sì, ha ragione RollingStone: l’immagine di Rimini riesce a raccontarci molto di più di quanto vorrebbe.

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