Una cosa divertente che non farò mai più

19/20 settembre 2020

Lorenzo Spallino
2017/2022

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Da due anni la cooperativa Tikvà organizza Bellezze Interiori, festival dedicato alla scoperta dei giardini segreti di Como.

Per l’occasione le persone possono accedere liberamente a luoghi normalmente chiusi al pubblico, come nel caso del giardino pensile sulle mura spagnole di via Volta 66, dove abbiamo lo studio.

Negli spazi svelati il Festival organizza spesso eventi: nel nostro caso, il 19 e 20 settembre 2020 abbiamo accolto i visitatori di Bellezze Interiori con una mostra di fotogiornalismo dal titolo Nothing is real, un percorso a più voci nel quale cinque autori internazionali (Victor Dragonetti, Eba Khamis, Carlo Pozzoni, Carolina Rapezzi, Diego Ibarra Sanchez, Danila Tkachenko) si sono alternati a cinque autori comaschi (Gin Angri, Simone Becchetti, Carlo Pozzoni, Filippo Taddei, Mattia Vacca) sul tema della rappresentazione fotografica e della sua percezione.

Quest’anno il Festival ha raggiunto i 1.100 visitatori paganti: per un giorno e mezzo in tempi di COVID direi che è un ottimo risultato. Diciamo la verità: un risultato straordinario.

Ok. Questa è l’introduzione per spiegare di cosa parliamo.

Adesso parliamo di cosa c’è voluto per arrivarci e del perchè non lo farò mai più, come recita il titolo che, ovviamente, cita uno dei più famosi lavori di David Foster Wallace.

La partenza

La prima mail di Bellezze Interiori relativa all'organizzazione dell’edizione 2020 è del 10 febbraio 2020: si parla di “tante novità e aggiustamenti” rispetto all’edizione 2019, dove me l’ero cavata con delle foto di papà tratte dal suo archivio.

Rispondo proponendo una mostra di fotogiornalismo qui in studio, composta, boh, diciamo da una decina di foto. Qual’è l’idea? Che i grandi nomi del fotogiornalismo ritraggono una realtà che quando te la trovi fuori dal portone di casa improvvisamente non sembra più così tanto affascinante come sulle pagine delle riviste, nonostante tutto sia collegato.

Penso alla foto che aveva scattato Simone Becchetti nel 2016 in occasione di #COMOSIAMONOI, una mostra collettiva dedicata ai giovani extracomunitari a Como, e contatto Mattia Vacca e Carlo Pozzoni che mi danno l’ok.

#COMOSIAMONOI, di Simone Becchetti (Como, luglio 2016)

Penso al pugno nello stomaco di Heba Khamis che avevo ammirato alla mostra al forte di Bard del World Press Photo a dicembre 2019 e che poi ho visto pubblicata sul numero del 24/29 aprile 2020 di Internazionale.

Black Birds, di Heba Khamis (Tiergarten, Berlino, luglio 2018)

Penso alla prima foto che ho comprato, quella di uno sconosciuto Danila Tkachenko (sì, è un maschio anche se si chiama Danila, anche io pensavo fosse una donna all’inizio), che non era ancora l’inarrivabile artista visuale che è adesso, quella delicata e incantevole serie che esplorava lo stato interiore degli individui nel periodo tra la fine dell’infanzia e il passaggio all’età adulta.

Transition Age, di Danila Tkachenko (Russia, 2012)

Contatto anche Gin Angri. Gin risponde, viene in studio e mi dice “Ti ho portato una chiavetta. Sono 150 foto”. Io gli dico: “Gin, non possiamo guardarcele tutte”. Ce le guardiamo tutte e scegliamo l’ultima, quella di Luna, un extracomunitario sotto il portico di San Francesco a Como. Gin mi dice: era quella che avevo in mente. Montano le polemiche sui senza tetto che stazionano all’ex chiesa di San Francesco. È la foto perfetta, l’icona.

Luna, di Gin Angri (Como, ex chiesa di San Francesco, novembre 2018)

È il 1° maggio quando scrivo a Luigi Cavadini, al quale chiedo un testo critico che mi arriverà puntualissimo. Nel frattempo succede di tutto: non bastasse il COVID, il 23 marzo cado in bicicletta per andare a recuperare i fascicoli di studio il giorno in cui Fontana decreta la chiusura degli studi professionali. Ulna e radio fratturati scomposti, ricovero, operazione e due piastre di titanio nel braccio con annessi chiodi in pieno COVID. Non metto l‘immagine della rx perchè c’è gente impressionabile.

Lo spostamento a settembre

Intanto Bellezze Interiori viene spostato, si va a settembre con tutte le incognite del caso. Avendo tempo, mi dedico alle didascalie. Chiedo a tutti bio e descrizione foto, li traduco in inglese o dall’inglese. Nel frattempo mi innamoro di una foto di Carolina Rapezzi, italiana che vive a Londra. Le scrivo in inglese, poi in italiano, nel frattempo vedo un’altra sua foto con cui ha vinto il Sony Awards con un progetto che segue lo smaltimento dei nostri rifiuti elettronici in Africa, me ne innamoro. Lei la fa stampare a Firenze e da lì arriva. Uno spettacolo. Uno s-p-e-t-t-a-c-o-l-o.

Rashida, di Carolina Rapezzi (Accra, Ghana, novembre 2018)

Però le foto non bastano, sono ancora poche. A maggio mi ricordo del fotografo di Bellezze Interiori che passando in studio alla scorsa edizione aveva riconosciuto una foto di Diego Ibarra Sanchez di cui decido, dopo aver sentito la sua gallerista, Raffaella De Chirico, di inserire la ragazzina ucraina della serie Hjacked Education, pubblicata da National Geographic nel marzo 2019.

Scrivo a Domenico Peluso e mi faccio dare il nome: si chiama Filippo Taddei. Lo chiamo mentre sono in auto impegnato a superare un gruppo di ciclisti olandesi sulla Argegno-Schignano (come faccio a sapere che sono olandesi? solo se sei olandese ti vesti con delle tutine arancioni con scritte composte solo di consonanti). Parliamo anche di una possibile evoluzione della mostra come foto festival a Como tipo Rencontres d’Arles. Impossibile, dai.

Arrivano le foto

Siamo a giugno, finisce il lockdown: cominciano ad arrivare le foto e aggiorno tutti — italiani, inglesi, russi, spagnoli ecc. — sia dei testi che delle immagini che saranno presenti.

Arriva Carlo Pozzoni con l’emozionante Il quarto stato albanese, presa nel 2000 al funerale di un bambino albanese ucciso da un ragazzino suo connazionale.

Il quarto stato albanese, di Carlo Pozzoni (Mariano Comense, Como, aprile 2000)

Arriva Mattia Vacca, con i due compitissimi ragazzini cinesi, quanto mai up to date a proposito di riapertura delle scuole.

Primary education in rural china di Mattia Vacca (Scuola elementare di Baiyang, Prefettura di Lincang, Yunnan, China, 2011)

Le prendo, le porto dal grande Guglielmo Invernizzi e comincio a fare avanti e indietro da Alzate Brianza. Cambio i vetri di alcune e metto quelli museali, di cui divento un esperto e mi chiedo come abbia potuto fare senza fino a adesso. La cosa comincia a prendere forma.

Arriva anche Filippo Taddei, che dopo un paio di prove mi porta la sua foto con i due ragazzi che cercano di attraversare il confine serbo. Purtroppo Invernizzi ha chiuso baracca e burattini e quindi mi tocca cercare un altro corniciaio. Però la foto è proprio bella. La borsa gialla che galleggia mi fa morire.

The Game, di Filippo Taddei (Confine Croazia-Slovenia , 2018)

Il catalogo

Pubblico un pieghevole su Issuu con testi, foto e bio, lo faccio vedere a Pozzoni che mi dice: “Ma scusa, perchè non fai un catalogo?”. Già. Perché non faccio un catalogo? E che sarà mai?

Carlo mi presenta la sua grafica, Alice. Ci mettiamo al lavoro. Per fortuna so qualcosa di impaginazione e caratteri. Inizia la discussione. Quadrato o rettangolare? Carta 110 gr o 120 gr? Immagine di copertina o solo testo? E quale testo, in che formato? E il colore? Oh, ma le foto sono in formati diversi. Molte in 16:9 ma quella di Tkachenko sembra un grande formato di Ansel Adams. Alice propone allineate al bordo superiore ma alla fine le facciamo tutte centrate nella pagina di destra e pazienza se il testo a sinistra non è allineato con la foto. Sono decisioni … E il formato del libretto? Ovviamente rettangolare, salvo il dettaglio che la prima foto, quella di Gin Angri, è verticale. È la fine. Niente, si fa quadrato, altrimenti la foto si perde via. Ovviamente di notte me lo sogno rettangolare.

Stiamo per andare in prova di stampa e ovviamente Carlo suggerisce quella che lui chiama una chicca: il testo in rilievo. Che ha un suo costo, ovviamente, ma vuoi mettere il testo verniciato in rilievo?

Poi i cataloghi arrivano. Sono bellissimi.

Ma quante foto abbiamo? E come le disponiamo?

Ogni sera vado a letto pensando a come disporre le foto. Ogni sera crollo senza aver risolto il problema e proponendomi di prendere le misure delle pareti la mattina dopo. Lo studio non è una galleria, ha pareti tutte diverse. E già, ma quali misure? Le ho solo delle foto che sono state stampate, delle altre bisogna aspettare la stampa perchè la dimensione finale dipende da un sacco di fattori. Un problema irrisolvibile.

Concludo che le foto non ci stanno e che da nove devo ridurle a otto, anche perchè la decima, di un giovanissimo fotografo brasiliano, Victor Dragonetti che secondo Raffaella De Chirico mi sarebbe dovuta arrivare dal Brasile “entro massimo metà dicembre, un caro saluto e buona serata“ — a giugno non si sapeva ancora dove fosse. Poi si libera uno spazio in studio e le foto possono tornare a essere dieci. Peccato manchi sempre la foto di Victor, che si narra bloccata a New York per il COVID.

Joker, di Victor Dragonetti (San Paolo, Brasile, 2017)

Tempesto Raffaella di mail, whatsapp e sms fino a quando il 27 luglio, con la grafica sul collo che mi dice di dare l’ok per la stampa se no per settembre rischiamo di non farcela, scrivo un messaggio che dice:

Sto per andare in stampa. Hai notizie di Victor?

Raffaella mi risponde:

Sì, dovrebbe arrivare venerdì o lunedì

Non succede nulla, vado in stato confusionale, do l’ok a un catalogo di una mostra che non avrà una foto che ci sarà sul catalogo e il 7 agosto, due giorni prima di partire per le vacanze, scrivo:

Raffaella, ho dato l’ok al catalogo. Verrà stampato l’ultima settimana di agosto. Diego è a posto?

Non sono lucido. Il tono è quello del condannato a morte che chiede con tono autoritario che gli sistemino la cravatta. E infatti scrivo Diego al posto di Victor … Segue implorazione del 14 agosto:

Notizie di Dragonetti? Comincio a pensare a cosa fare se non ci fosse …

L’esperta gallerista risponde:

Mah dice che lunedì parte, per cui ci vorranno tipo 5/6 gg. Nel caso non andasse così, magari un altro lavoro di Diego o Manu Brabo se ti piace. Ma sono certa che non ci sarà bisogno. Che giorno si allestisce?

A questo punto sclero definitivamente:

Niente. Mi immagino già mentre illustro la mostra e dico “Ah ecco, guardate, qui ci doveva essere una foto che purtroppo non c’è ma c’è sul catalogo” e la gente che pensa “O signur, ma se uno fa l’avvocato perchè si mette a fare il gallerista? Ofelè fa el so mestè!”.

Il 12 settembre, sabato pomeriggio, a giorni utili 6 dalla inaugurazione, l’uomo di poca fede è con la pazientissima moglie a Torino a ritirare la foto di Dragonetti dalla pazientissima Raffaella De Chirico, foto che credo Zamorani abbia incorniciato di notte.

Imbianchini, elettricisti e varia umanità

Il lunedì precedente la mostra parte la gioiosa macchina da guerra alla quale prendono parte, nell'ordine, l’imbianchino e, immediatamente nelle retrovie, gli elettricisti.

E già, perché mica vorrete far vedere i segni del quadro che c’era prima o usare le tristi luci del lampadario per illuminare il salone dove staranno quattro delle dieci foto? Esiste un mondo, quello dei faretti (si dice spot) da galleria o museo la cui prima regola è: devi ordinare un mese prima se no non trovi nulla, mica vendiamo ai privati in pieno agosto. E se prima pensavi che un faretto per parete bastasse, no, la verità è che devi metterne quattro (o due doppi), perchè ogni faretto (si dice spot) illumina una foto, soprattutto se parliamo di due foto da 60x90 cm per parete.

E così ti riduci il mercoledì a scrivere messaggi dal tono anglosassone agli elettricisti.

I quali, giustamente, ti rispondono senza tanti giri di parole che senza faretti doppi non possono montare nessun faretto doppio, che hanno fatto un ulteriore sollecito e che richiameranno il fornitore.

A questo punto venerdì mattina a meno h 24 dall'inaugurazione assisto con ostentata indifferenza al montaggio dei faretti mancanti, un secondo dopo estraggo l’aspirapolvere e attacco a pulire, non prima di aver coartato i collaboratori più giovani nel montaggio a parete delle foto e averli messi a conoscenza di quante e quali malattie e disgrazie possono affliggere i produttori di ganci a parete (e le loro famiglie, dei produttori, non dei ganci) che non si accoppiano ai plexiglas che hai comprato per infilarci le didascalie.

Peccato poi che — dopo tanti ragionamenti sulla giusta dimensione dei supporti delle didascalie e aver concluso che, no, gli A4 sono troppo grandi e gli A6 sono troppo piccoli, mentre il formato corretto è l’A5 — scopri che nella realtà del pianeta Terra non esiste il formato cartaceo A5, riservato alle stampe fotografiche. Sono le 16.30 di venerdì 18 quando chiamo il negozio di grafica, piangendo gli chiedo come si può fare, gli spedisco una mail con i testi e mi fiondo a ritirare gli A5, ricavati da comunissimi A4 tramite una taglierina professionale.

Alle 8 di sera rientro a casa con la moglie che è venuta ad aiutarmi, mangio un triste caprino e vado letto dimenticandomi di vedere Propaganda Live. Domani sarà un disastro.

Il pre opening

La mattina dopo incredibilmente arrivano quasi tutti quelli che avevi invitato, compresi quelli da Milano e Torino. Giornalisti, galleristi e amici interessati al tema ci sono tutti. E’ una mattinata bellissima. Sei dei dieci fotografi in mostra sono presenti, compresa Carolina da Londra, che tu ti immagini come la sorella gemella di Chuck Norris per la durezza dei suoi progetti fotografici, e invece è una persona minuta e dolcissima. Ovviamente con tutti quei fotografi nessuno ha la macchina fotografica e tu ti dimentichi di incaricare tua figlia di fare qualche foto, così implori i presenti da mandarti quello che hanno postato.

Generosissima la stampa.

La Provincia, 20 settembre 2020
Comozero, 18 settembre 2020

Il post pre opening

Finito il pre opening, eccoci intorno al tavolo: la foto è di Gin, che giustamente non compare.

Nel caso non fosse chiaro chi ha fatto cosa, nella foto qui sotto io sono quello esaurito con il sorriso ebete al centro in alto. Gli altri sono i fotografi presenti e le loro foto. Sono quello che ha detto «mai più» e che sa perfettamente che ci ricascherà.

Così è più chiaro chi ha fatto cosa. Da sx in alto: Carlo Pozzoni, io, Gin Angri, Simone Taddei. Da sx in basso: Simone Becchetti, Carolina Rapezzi, Mattia Vacca.

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