Nuova convivialità, nuovi business: cosa faranno i ristoranti “dopo”
Sembra che ci siamo, e sembra che effettivamente andrà meglio del previsto. In molte Regioni la riapertura di bar e ristoranti potrebbe essere anticipata al 18 maggio, due settimane prima rispetto a quanto previsto dal Governo Conte lo scorso 26 aprile. Ma c’è una domanda che non ha ancora una risposta certa: che impatto avrà negli anni a venire quello che è successo oggi al comparto ristorazione? Perché è abbastanza certo che in futuro parleremo di “prima” e “dopo” marzo 2020.
Sulla riapertura e le sue norme nell'immediato futuro avevamo già molti elementi, e guardando a chi ha già aperto (la Svizzera e la provincia di Bolzano) sembra che fossero tutti plausibili. Inoltre, per il momento, esistono le linee guide stilate dai i tecnici dell’Inail e dagli scienziati dell’Istituto superiore di sanità. Tra queste, le più complesse da gestire saranno la separazione tra i tavoli (almeno 2 mt da ogni lato), l’obbligo di riservare almeno 4 mt quadrati a ogni avventore. E forse anche l’uso dell’aria condizionata desterà qualche problema.
Augurandoci che molte di queste misure abbiano una durata breve o brevissima, ho provato a guardare un po’ più in là rispetto al come e con chi dovremo andare al ristorante nei prossimi mesi.
Una nuova idea di sicurezza in convivialità
Lisa Abend, una delle foodwriter più famose, ha scritto su Vanity Fair un bell’articolo, all’inizio della pandemia, riflettendo su quale sarà il ruolo dei ristoranti dopo.
La sua visione parte dall’assunto che il ristorante, negli ultimi 20 anni, è diventato un concentrato della coolness contemporanea: al ristorante si guarda per le innovazioni, la sostenibilità, l’estetica e l’etica di tutta la società. Ora, che i proventi della ristorazione sono venuti drasticamente meno, probabilmente assisteremo a una nuova rivoluzione del suo ruolo.
“Ciò non significa” — scrive “che il ristorante stesso sia morto. Potrebbe, infatti, tornare alla sua missione principale: nutrire le persone, riunirle e farle sentire care, creando uno spazio per le piccole celebrazioni della vita umana”.
Eppure la realtà italiana, meno cosmopolita di quella a cui è abituata la Abend, era già così prima della pandemia. I nostri ristoranti e i nostri locali sono innanzi tutto i luoghi della connessione sociale, dei momenti da ricordare in famiglia, delle persone che vogliamo sedurre (siano esse partner d’affari o compagni di vita). Ed è per questo che molti sono perplessi riguardo all'applicazione duratura di misure di distanziamento che, di fatto, depotenziano il ruolo sociale del ristorante.
Una delle sfide che si affacciano all’orizzonte dell’Ho.Re.Ca. sarà quella di trasformare i ristoranti e i locali da luoghi di possibile rischio di contagio a luoghi in cui sentirsi al sicuro, e quindi potersi godere l’esperienza per cui si paga. Nel contesto in cui per andare al ristorante bisognerà comunque mettere in gioco una nuova parte di noi, quella più intima legata alla paura, è probabile che saranno favorite quelle attività con un’identità precisa e un’idea già ben strutturata prima di questa pandemia. “Datemi un buon motivo per uscire di casa” sarà il claim che ci accompagnerà nei prossimi mesi, e forse, nei prossimi anni.
Un buon punto di partenza, mi sembra, sia quello sancito dal Manifesto di Pasqua in cui Federazione Italiana Cuochi (Fic) in collaborazione con Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) e Università San Raffaele di Roma in cui sono stilati cinque principi cardine da cui ripartire: condivisione, territorio, sensorialità, benessere e convivialità. Il manifesto sembra dire che molta, se non tutta la responsabilità su come sarà percepita la ristorazione dopo dipenderà dai ristoratori, da quanto riusciranno a fare rete tra di loro e con i fornitori, e da come riusciranno a formare loro stessi e i loro clienti sul valore dell’esperienza del gusto e della convivialità.
Una sfida, inutile girarci attorno, che potrebbe fare molte vittime.
Un nuovo modello di business è all'orizzonte?
Ci sono almeno due motivi per cui il delivery non può essere la soluzione per salvare le economie di un ristorante: il primo ha a che fare con il ruolo di fulcro della socialità di cui si diceva sopra, il secondo con il problema economico per cui, con il delivery, la marginalità è ridotta se non assente.
È tuttavia palese che i ristoranti dovranno ripensare al loro modello di business, per affrontare una eventuale nuova crisi pandemica evitando la chiusura.
In questo senso si pensa a una vera e propria differenziazione del business: è la certezza di Floriano Pellegrino, celebre chef stellato pugliese del ristorante Bros, e del progetto di fine dining low cost Roots. In un’intervista rilasciata a Dissapore dice: “E poi non voglio focalizzarmi solo sulla cucina, io voglio essere un’azienda che fa food ma ragiona come mondi che sono più avanti di noi, come ad esempio la moda o il design. Bisogna avere skills diverse da quelle di un tempo: se non le hai tu, prendi nel tuo team persone che le hanno, non provenienti dal mondo della cucina”.
L’altro punto importante, su cui tutti concordano, è fare squadra e restare uniti. Eugenio Boer, chef stellato di Bu:r, rilascia a Vice un’intervista in cui si dice ottimista sul futuro ma a una condizione:
“Dovremo scambiarci idee e informazioni il più possibile. Il polso della situazione ce lo darà il cliente, che bisogna ascoltare e mettere da parte l’ego.”
Mentre Pietro Caroli di Trippa afferma, nello stesso articolo:
“Uno degli errori più grandi dei ristoratori è stato quello di non creare un consorzio forte con cui poter combattere emergenze come questa tutti uniti, far sentire la nostra voce.”
Sicuramente la nuova via avrà nella sostenibilità uno dei suoi punti focali. L’associazione animalista Peta, in Nuova Zelanda, ha chiesto a Burger King, ora in amministrazione controllata nel Paese, di riaprire come ristorante vegano. Anche se si tratta di una provocazione, gli effetti della quarantena sull’ambiente e la ritrovata serenità di un tempo lento faranno balzare questi temi in cima all’agenda nel prossimo futuro.
Dan Barber, newyorkese, due stelle Michelin, proprietario e ideatore di Blue Hill, la fattoria biologica con ristorante “didattico”, è una voce autorevolissima nel mondo della ristorazione sostenibile. Anche lui si è interrogato sulla questione per Time, arrivando ad affermare che il progetto, così come lui l’ha strutturato, è lacunoso perché lascia i contadini e gli allevatori suoi fornitori troppo esposti in situazioni del genere. Probabilmente il nuovo progetto Blue Hill prevederà un rapporto stretto anche con i mercati contadini, in cui il ristorante sarà il trasformatore di prodotti locali e biologici che poi potranno essere venduti anche al dettaglio.
Trasformazioni di materie prime d’eccellenza, corner shop, differenziazione del business, sostenibilità, pensiero Glocal sono dunque i progetti in cui vedremo impegnata la ristorazione nel prossimo futuro?
È una speranza, o un modo per vedere la ripartenza come opportunità.