Inclusione in azienda, “la tecnologia da sola non basta”

Consuelo Battistelli, 40 anni, dal 2016 è Diversity engagement partner per IBM Italia e fa parte del teamMWA, Mobile wireless accessibility. “Abbattere le barriere architettoniche e digitali, creare un ambiente accogliente e relazioni con colleghi e manager, ecco come si fa integrazione”

AISM onlus
4 min readJul 25, 2017

di Laura Pasotti

Professionisti con il compito di raccogliere le istanze dei cittadini con disabilità e delle loro famiglie, di attivare il lavoro in rete con tutti i soggetti coinvolti, di mettere in atto ogni azione volta a favorire l’accessibilità e a evitare le discriminazioni. È questa la mission del disability manager, figura introdotta in Italia nel 2009 dal Libro bianco su accessibilità e mobilità urbana. L’anno successivo è partito il primo corso di perfezionamento post-laurea per disability manager all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e nel 2011 è nata SIDIMA, la Società Italiana Disability Manager. E l’anno scorso il Programma di azione biennale dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità ha proposto alle aziende di istituire il disability manager e un osservatorio interno per promuovere l’inclusione dei lavoratori con disabilità. Esattamente come fa Consuelo Battistelli.

Il 3 dicembre 2016, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, ha organizzato un pranzo al buio in azienda. “Volevo celebrare la ricorrenza in maniera diversa, non con un post o una frase sui social ma con un evento, un fatto compiuto”, racconta Consuelo Battistelli, 40 anni, che, dal 2016, è Diversity engagement partner per IBM Italia e fa parte del teamMWA, Mobile wireless accessibility dell’azienda che si occupa di integrare le persone con disabilità in azienda. Com’è andata? “Ho dovuto chiudere l’evento dopo un’ora perché avevo già esaurito i posti”, dice. Cieca dall’età di 18 anni, Battistelli è in IBM dal 2006: prima di diventare Diversity engagement partner si occupava di testare le soluzioni IBM per verificarne l’accessibilità. Ha lavorato nelle sedi di Roma e Bologna, mentre oggi è a Milano.

Di cosa si occupa un diversity manager?
Mi occupo di tutte le tematiche relative alla diversità: genere, differenze generazionali, multiculturalità, integrazione tra vita e lavoro, differenze di orientamento sessuale e disabilità. La diversità fa parte delle linee strategiche di IBM, è insita nella cultura aziendale. Io lavoro nelle Risorse Umane e mi occupo di organizzare eventi, fare corsi di formazione con l’obiettivo di sensibilizzare verso la diversità. In azienda non sono abituati a vedere iniziative di questo tipo, ma sono importanti e comunque sono state accolte sempre in modo positivo. Nel pranzo al buio i dipendenti di IBM hanno potuto capire le difficoltà dei colleghi che non vedono: sono queste le cose che rimangono.

Che cos’è il team Mobile wireless accessibility di cui lei fa parte?
È un team nato nel 2004 e costituito da persone con disabilità, oltre che da colleghi con differenti competenze. Si occupa di tecnologia e disabilità e promuove l’inclusione e il coinvolgimento delle persone nell’attività lavorativa. Per ogni caso le soluzioni più adatte. In IBM lavorano persone con diverse disabilità, ma tutte sono state assunte in base alle necessità dell’azienda e alle loro competenze.

Qual è il ruolo della tecnologia nell’integrare le persone in azienda?
La tecnologia è importantissima, senza io non potrei lavorare. Ma la tecnologia da sola non basta. Certo l’azienda deve fornire tutti gli strumenti necessari per consentire ai dipendenti di svolgere il proprio lavoro, ma non c’è solo questo. Servono altre cose per garantire l’inclusione, ad esempio un ambiente accogliente. Dopo aver superato le barriere architettoniche, e quelle digitali, bisogna abbattere quelle relazionali con i colleghi, con il team, con i manager. Questo fa inclusione: puoi essere circondata dalla migliore tecnologia, ma se sei da sola e nessuno ti dà lavoro, come si può parlare di integrazione?

Lei ha più volte parlato di accessibilità della carriera, ci spiega cosa intende?
Le persone devono essere messe in condizione di superare le barriere architettoniche, ad esempio con un ascensore che parla, ma anche di crescere all’interno dell’azienda. La formazione, i corsi di specializzazione, le nuove competenze sono un diritto di tutti, anche dei lavoratori disabili. Tutti devono avere l’opportunità di fare carriera.

La figura del disability manager nasce alla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti e si è diffusa, soprattutto, in Canada e nell’Europa del Nord. In Italia se ne parla dal 2009. Qual è, dal suo punto di vista, la situazione del nostro Paese?
Molto disgregata. Lo scorso 25 novembre IBM ha organizzato un convegno, insieme all’associazione Pianeta Persona, sul disability management in cui sono stati presentati casi di aziende ed enti impegnate su questo tema: le esperienze sono tante e positive, ma sono tutte gestite in modo autonomo. Il nostro Paese è in ritardo perché ancora sta tutto nella volontà del singolo, ente o azienda, scegliere se dotarsi di una figura che, invece, è indispensabile per favorire il processo di inclusione. Il disability manager è la persona che mette in contatto il lavoratore con l’azienda, perché il dialogo non è sempre facile, non c’è tempo, manca la conoscenza e i ritmi sono frenetici. In ogni caso, credo che il disability manager più che una persona dovrebbe essere un team: potrebbe essere un project manager di un progetto di disability management.

Consuelo Battistelli, dal 2016 è Diversity engagement partner per IBM Italia e fa parte del teamMWA, Mobile wireless accessibility.

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