Terzo settore, si cambia

Attesa. Criticata. Apprezzata. Dopo la pubblicazione dei 5 decreti attuativi della legge delega è possibile fare un punto sulla riforma che mette ordine nel mondo del volontariato.

AISM onlus
11 min readNov 8, 2017

Inchiesta di Laura Pasotti — SMItalia 5/2017

©AISM-Associazione Italiana Sclerosi Multipla

«Una riforma aspettata da tempo, necessaria». usa queste parole Paolo Bandiera, direttore Affari Generali AISM per parlare della legge che ha riordinato, o sarebbe meglio dire sta riordinando il Terzo Settore. perché, precisa, «l’iter non è compiuto ed è ancora lungo». Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto del presidente della Repubblica che contiene lo statuto della Fondazione Italia Sociale (il cui obiettivo è promuovere progetti ad alto impatto sociale e occupazionale rivolti a soggetti deboli e territori svantaggiati) avvenuta lo scorso 9 settembre, si è completato il percorso dei provvedimenti attuativi della legge delega 106/2016 sulla riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale. Gli altri decreti erano quelli su servizio civile universale, impresa sociale, disciplina del 5 per mille e Codice del Terzo settore. ma perché si possano vedere gli effetti concreti di questa legge bisogna attendere ancora. basti pensare che solo per il Codice del Terzo Settore (104 articoli raggruppati in 12 titoli) serviranno una ventina di decreti ministeriali perché funzioni nella pratica.
Al di là del tempo che servirà perché inizi a produrre i suoi effetti, la riforma è già considerata un traguardo. La pensa così l’economista Stefano Zamagni: «perché finalmente abbiamo una legge organica sul Terzo settore, perché abbiamo superato la logica delle norme dedicate ai singoli comparti del non profit, ma soprattutto perché abbiamo vinto una battaglia di civiltà: da oggi per fare del bene gli italiani non devono chiedere il permesso alle istituzioni e il diritto di associarsi è riconosciuto già sul piano legislativo».
Nel grande riordino della normativa sono state abrogate alcune leggi storiche: la 266/1991 sul volontariato, la 383/2000 sulle associazioni di promozione sociale e buona parte della 460/1997 sulle onlus, denominazione che sparirà dal linguaggio del non profit. «la disciplina del Codice Civile è del 1942 e la stratificazione normativa ha determinato disarmonie non giustificate. Insomma, mancava unitarietà», precisa Bandiera. «Il riordino era opportuno non tanto per predeterminare il futuro del settore, quanto per creare le condizioni per uno sviluppo libero e coerente del mondo della solidarietà», dice Stefano Tabò, presidente di CSVnet, il Coordinamento Nazionale dei Centri Servizio per il Volontariato, che considera la riforma, «coraggiosa, perché risponde a esigenze concrete dei soggetti che fanno parte del Terzo settore e dei loro interlocutori, dalla pubblica amministrazione all’economia, fino ai cittadini».

Le novità
In Registro unico nazionale, il Codice del Terzo Settore, un nuovo impulso all’impresa sociale, l’istituzione del Servizio civile universale, il Consiglio Nazionale, la Fondazione Italia Sociale. Sono alcune delle novità della riforma. Innanzitutto, i soggetti del non profit diventano parte di una sola famiglia: che siano organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, imprese sociali o fondazioni saranno tutti enti del Terzo Settore.
Da sottolineare, in particolare, la valorizzazione delle reti associative, «scelta positiva ma su cui si può ancora lavorare perché oggi ci si concentra sulle aggregazioni di enti diversi. la realtà di AISM dimostra che esistono anche altri tipi di reti — precisa Bandiera – la nostra Associazione, infatti, pur essendo un unico soggetto di diritto a livello nazionale (un’associazione di promozione sociale, ndr) si sostanzia in una fitta rete di articolazioni territoriali, oltre 100 sedi, fortemente coese: una realtà quindi che merita di essere riconosciuta e valorizzata anche come rete».
Gli ETS (diversi da imprese sociali e cooperative) svolgono ‘una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale’. Tra queste ci sono: attività sociali e sanitarie, educazione, tutela dell’ambiente, valorizzazione del patrimonio culturale, ricerca scientifica di interesse sociale, turismo sociale, cooperazione allo sviluppo, accoglienza umanitaria, protezione civile, adozione internazionale, agricoltura sociale. Gli ETS possono svolgere anche ‘attività diverse purché consentito dall’atto costitutivo e siano secondarie e strumentali rispetto a quelle di interesse generale’. Quali sono queste attività però non è indicato. «Vengono previsti dei confini tra attività istituzionali e altre attività ma ci sono aspetti che rischiano di risultare di dubbio inquadramento — precisa Bandiera — per questo ci impegneremo perché nei decreti applicativi gli aspetti di dettaglio vengano disciplinati nel miglior modo possibile, proprio per evitare che in fase di applicazione vengano definiti meccanismi inadeguati rispetto ai principi contenuti nella legge delega». Tra le attività viene indicato anche il fundraising, «una conquista, perché finalmente si dispone di una definizione positiva. Quanto agli aspetti fiscali AISM ha ricordato nel corso di una recente audizione presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato che la raccolta fondi, anche se fatta in modo continuativo, non va sottoposta a imposte perché per sua natura è volta a promuovere i comportamenti donativi dei cittadini — così come dettato dalla legge delega — e a creare consapevolezza e cultura presso la comunità su temi di interesse generale, cosa ben diversa dallo scambio di beni e servizi».
Il Servizio Civile diventa universale ovvero aperto a tutti i giovani tra 18 e 28 anni, compresi gli stranieri regolarmente soggiornanti con l’obiettivo di arrivare a 100 mila volontari all’anno. «Ci auguriamo che sia data attuazione a un sistema di accesso per tutti coloro che ne fanno richiesta — sottolinea bandiera — Oggi, anche a causa di un budget ancora ridotto rispetto alle potenzialità di partecipazione dei giovani, non è così. Sarà inoltre importante definire meccanismi che favoriscano l’accesso a questa misura anche per i giovani con minori opportunità, così da valorizzare la valenza del servizio civile in chiave inclusiva.
Inoltre, la partecipazione degli ETS è concentrata nella fase di presentazione e attuazione dei programmi di intervento e dei progetti, mentre gli enti del terzo settore dovrebbero poter partecipare a pieno titolo assieme con il livello istituzionale anche alla fase di indirizzo, elaborazione delle linee di pianificazione strategica e definizione degli obiettivi generali di sistema».

Viene istituito un Registro unico nazionale del Terzo Settore presso il ministero del lavoro e delle politiche Sociali gestito su base territoriale in collaborazione con le Regioni: ad esempio per AISM questo significherà un’unica iscrizione a livello nazionale.
Vengono superati gli Osservatori nazionali per il volontariato e l’associazionismo di promozione sociale con l’istituzione del Consiglio Nazionale del Terzo Settore. Inoltre, per le associazioni e le fondazioni che svolgono attività di impresa sono previsti obblighi di trasparenza e di tenuta di bilancio e informazione a terzi. «Avere ETS che rispondono a determinati requisiti, con bilanci e procedure trasparenti, è importante — afferma Tabò — Il Terzo Settore è fatto da migliaia di piccole organizzazioni che devono vedere nel controllo un’opportunità e non un rischio, devono essere loro stesse a volere che chi non rispetta le regole venga escluso».

Abbiamo vinto una battaglia di civiltà: da oggi per fare del bene gli italiani non devono chiedere il permesso alle istituzioni e il diritto di associarsi è riconosciuto già sul piano legislativo.

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La valutazione di impatto sociale
Tra le novità previste dalla Riforma del Terzo Settore c’è la valutazione di impatto sociale dell’attività degli ETS ovvero dell’efficacia degli interventi realizzati. «Molti la temono perché confondono il concetto di valutazione con quello di giudizio. In realtà, la valutazione di impatto sociale valorizza l’attività svolta», dice Zamagni secondo il quale la discussione va spostata sui criteri in base ai quali dovrà essere valutato l’impatto, visto che a oggi non c’è una metrica condivisa. un primo criterio potrebbe essere la proporzionalità perché non si possono valutare allo stesso modo enti piccoli (che rappresentano l’80% del settore) e grandi organizzazioni. Secondo Bandiera, «è giusto rendere misurabile il contributo dato al sistema complessivo da ciascun ente in termini di relazioni, codici comportamentali applicati, integrazione delle politiche di riferimento, capitale sociale prodotto. È una sfida su cui AISM sta già lavorando. Ci aspettiamo criteri di rendicontazione sociale comuni per consentire, ad esempio, al cittadino di valutare e apprezzare l’utilità sociale generata da una organizzazione, al di là della finalità specifica». In altre parole, non basta essere meritevoli ma bisogna vedere come si attua un programma o un intervento.
Tabò considera la valutazione di impatto sociale «uno stimolo interessante», tanto che CSVnet ha deciso di dedicare a questo tema un gruppo di lavoro e di inserirlo tra quelli che saranno discussi alla Conferenza annuale di quest’autunno.

I centri servizio per il volontariato
Una parte considerevole del Codice è dedicata ai CSV (articoli 61–66), nati 20 anni fa per essere al servizio delle organizzazioni di volontariato e, al tempo stesso, gestiti da queste secondo il principio di autonomia del volontariato affermato dalla legge 266/1991. Presenti in tutte le regioni e finanziati dalla Fondazioni di origine bancaria, i CSV sono 71 articolati in 370 sportelli sul territorio nazionale. «Quando sono nati non c’erano precedenti ed è stata un po’ una scommessa, sia sull’autorganizzazione che sulle risorse — spiega Tabò — Scommessa che possiamo dire di aver vinto: territorialità, prossimità
e attenzione ai volontari sono mantenute ma si allarga il mandato dei CSV a tutti i soggetti del Terzo Settore»
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Nato nel 2003, CSVnet ha raccolto l’esperienza del Collegamento Nazionale dei Centri di Servizio costituito nel 1999 e, da allora, ha sempre cercato di promuovere la conoscenza e la collaborazione tra i centri, anche se non era tra gli obiettivi della normativa precedente. «C’era una visione regionalizzata, utile per sottolineare il radicamento territoriale ma non per rispondere alle necessità del Coordinamento perché si traduceva in una disarticolazione — precisa Tabò — per creare, ad esempio, una banca dati sul volontariato servono criteri omogenei in tutto il paese, invece eravamo arrivati a considerare determinate azioni legittime in alcune regioni e illegittime in altre. Con il Codice, non potrà più essere così: c’è una regia regionale ma il centralismo darà condizioni omogenee per favorire lo sviluppo del volontariato in base ai bisogni della comunità che deve servire».

Il registro costituisce la base per accedere ai vantaggi fiscali e una garanzia per i cittadini: se non sei lì, sei fuori dal Terzo Settore.

Da terzo a primo?
Quando l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, lanciò l’idea della riforma nel 2014 disse che il non profit avrebbe dovuto essere ‘primo e non più Terzo settore’. «L’ispirazione era duplice: promuovere la sussidiarietà e l’impegno civico dei cittadini da un lato e dall’altro valorizzare la capacità produttiva del non profit. Da allora sono passati tre anni e l’attenzione alla dimensione civile certamente non è stata tradita, ma è emersa come altrettanto forte la focalizzazione sugli aspetti produttivi», dice Bandiera che sottolinea però come «la dimensione di impresa non sia una prospettiva obbligata per gli enti del Terzo Settore, ma debba rimanere una delle possibili scelte di percorso».
Si inserisce in questa parte della riforma la revisione delle norme per facilitare e sostenere una nuova impresa sociale che si accompagni a quella esistente, prevalentemente di natura cooperativa, che possa affrontare, con una finalità sociale, i tanti bisogni che oggi non hanno una risposta appropriata. l’impresa sociale è un ente del Terzo Settore che svolge attività d’impresa per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che destina i propri utili allo svolgimento delle attività previste dallo statuto, con modalità di gestione trasparenti e responsabili e favorendo il coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati.

L’accentuazione delle logiche di mercato è uno dei punti che maggiormente preoccupa i sindacati. «pur riconoscendo che la riforma contiene elementi apprezzabili, come la semplificazione della normativa, e interessanti come la valutazione di impatto sociale, il giudizio rimane preoccupato», dice Stefano Cecconi, responsabile Terzo Settore per la CGIL. «l’accentuazione delle logiche di mercato apre le porte alle imprese private e al profit e non si concilia con la natura del Terzo Settore che è quella di generare solidarietà e giustizia sociale». Il riferimento è, ad esempio, alla remunerazione degli utili, alla creazione e allo scioglimento delle società, alla rivalutazione del capitale investito. «per cambiare un sistema comunque serve tempo e saremo presenti anche nella fase attuativa insieme con CISL e UIL», afferma Cecconi.

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Donata Lenzi: ‘Questa legge farà chiarezza’
«Richiederà tempo ma l’applicazione della riforma porterà più chiarezza perché c’è un unico testo che raccoglie tutte le disposizioni che riguardano il settore». A parlare è Donata Lenzi, deputata del partito democratico e relatrice della legge delega per la riforma del Terzo Settore. A fare più fatica saranno, secondo lenzi, gli enti più piccoli, che avranno a che fare con nuove regole, rendiconti, pubblicazione dei dati, «non certo per mancanza di trasparenza ma perché è un’incombenza», mentre quelle più strutturate, come AISM, «escono con un ruolo più forte rispetto alla situazione attuale».

Tra i vantaggi della riforma, in primis, ci sono quelli di natura fiscale: «Aumenta lo sgravio fiscale per chi vuole donare». la detrazione Irpef per le erogazioni liberali agli ETS sale al 30% fino a 30 mila euro, al 35% se a favore delle organizzazioni di volontariato. da questo punto di vista, tra i decreti attuativi più urgenti c’è quello sul Registro unico, la cui attuazione richiederà ancora un po’ di tempo (oltre al Regolamento, sarà necessaria una gara per la gestione del software), «il registro costituisce la base per accedere ai vantaggi fiscali e una garanzia per i cittadini: se non sei lì, sei fuori dal Terzo Settore — precisa la relatrice — Inoltre, un unico Registro significa le stesse regole per tutti: metteremo fine ai casi di soggetti che erano registrati come associazione di promozione sociale in una regione e come organizzazioni di volontariato in un’altra». Ma per sapere quando fondo sarà il cambiamento, «dipenderà dagli attori, da come applicheranno la riforma, se useranno o meno tutti gli strumenti a disposizione. penso, ad esempio, agli strumenti finanziari».

Un cambiamento culturale
«Non c’è dubbio che la riforma, il Codice e la nuova stagione dei CSV hanno come presupposto un forte processo culturale. ma è una sfida che a me piace cogliere in senso positivo pur con i rischi che un processo di questo tipo comporta», conclude Tabò. «I decreti hanno superato numerose criticità, le nostre proposte — formulate sia come AISM sia all’interno delle reti di riferimento — su armonizzazione normativa, valorizzazione dell’autocontrollo, sostegno alle reti e superamento della territorialità sono state colte; ora l’aspettativa è che il sistema delle norme di secondo livello e la riforma della parte fiscale diano effettivamente corpo e fiato al disegno del legislatore — conclude Bandiera – Per noi la riforma è uno strumento che ha reali potenzialità per sostenere l’Agenda della sclerosi multipla e la strategia complessiva: starà all’Associazione valutare l’impatto sull’organizzazione e fare tutte le valutazioni del caso per cogliere le opportunità che ci pone».

FOCUS. Le dimensioni del non profit

Nel 2011 le organizzazioni del Terzo Settore erano 301 mila, potevano contare su 4,7 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 270 mila lavoratori esterni e 5 mila temporanei, oltre a 19 mila giovani in servizio civile. Tra i volontari sono molte le donne, i giovani il 20% (dati Censimento ISTAT 2011, gli ultimi disponibili), più della metà è occupato, gli altri sono pensionati, studenti, persone in cerca di occupazione. I settori in cui sono attive sono sport, cultura, servizi per le scuole dell’infanzia, formazione, assistenza sociale e sanitaria, protezione civile, salvaguardia del territorio, inserimento lavorativo in imprese o cooperative, formazione, soccorso e trasporto sanitario. le entrate di bilancio sono pari a 64 miliardi di euro, le uscite ammontano a 57 miliardi di euro. I finanziamenti sono privati (per la grande maggioranza degli enti), il 13,9% ha invece entrate prevalentemente pubbliche.

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