Alza lo sguardo e sii ribelle

Arianna Riot
9 min readFeb 17, 2016

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A Pozzuoli, Paolo ha dato fuoco alla sua compagna, Carla, che ancora adesso sta lottando tra la vita e la morte. Un fatto che sarebbe stato derubricato in fretta dalle cronache, come accade da qualche tempo ai casi di cronaca legati alla sfera familiare e affettiva noti anche come ‘femminicidio’, se Carla non fosse stata incinta di 8 mesi. La sua piccola fortunatamente è viva, e si spera che Carla possa riprendersi presto, nonostante porterà addosso tutta la vita i segni di un atto vile e indegno della società civile.

Quale raptus?

Nessun raptus, nessun ‘culmine di litigio’: banalmente in quel momento Paolo, quando ha tirato fuori la bottiglia di alcool (chi non va in giro con una bottiglia di alcool oggigiorno) non ha visto davanti a sè Carla, la donna che ama(va) e che tra poche settimane avrebbe dato alla luce una bambina, ha visto un nemico, dato che Carla non voleva più stare con lui. Carla è diventata un avversario da distruggere, annientare. E Paolo ha fatto quello che ha fatto.

“Mi tradiva, ho perso la testa”

Sono anni che ripetiamo le stesse cose, anni che ci indigniamo e ci battiamo il petto — specialmente ogni santo 25 novembre — contro questi abomini. Ma ammettiamolo: alla fine, nel profondo dell’animo di molti, è sempre vivo e vegeto il virus del ‘sono affari loro’, del ‘forse lei se l’è cercata, se non lo avesse lasciato/tradito/se non gli avesse rotto le palle’, se ‘lui non avesse perso il lavoro’. Quante volte dopo la condanna iniziale ci si dimentica presto dell’ennesima storia di femminicidio (portato a termine o solo tentato), tanto che — responsabilità dei media a parte, nelle narrazioni e nell’agenda setting — dobbiamo fare i conti con una vittima ogni due giorni, secondo i dati dello scorso anno. Quante volte ci hanno detto che siamo esagerate, che l’atto violento contro una donna non va considerato contro la donna in quanto tale. Per non dire del mantra…

…era di buona famiglia.

La famiglia, già. Quella ‘tradizionale’, che per essere buona deve essere composta da una mamma e da un papà, quella che ‘a scuola certe cose non bisogna nemmeno nominarle perchè è compito della famiglia insegnarle’. Sono anni che la famiglia vuole insegnare delle cose, e oggi siamo ancora qui a tenere la macabra conta di tutte le donne morte o aggredite da un uomo. Inoltre ci stiamo quasi assuefacendo all’orrore. Se le cose stanno così, come società (perchè “La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società” come recitano le leggi), abbiamo fallito.

Viviamo in un’era in cui abbiamo a disposizione un patrimonio di informazioni infinito, accessibili 24/7, abbiamo la possibilità di fare un sacco di esperienze arricchenti — se affrontate con la giusta apertura mentale — eppure perdiamo voce ed energie in difesa di pensieri e stereotipi, gli stessi che hanno armato ieri la mano di Paolo (o del compagno di Luana, o di quello di Marinella, altre due vittime di violenza nel giro di poche ore).

Gli stessi che sono stati talmente interiorizzati da molte donne da impedire loro di spiccare il volo e diventare quello che vogliono davvero essere (e non quello che la società impone, anche a livello inconscio).

Ammettiamolo: non vogliamo che la scuola — ovvero un’istituzione esterna — apra gli occhi ai nostri figli. Perchè si dimostrerebbe più in gamba di noi, e noi questo non possiamo sopportarlo. Salvare dall’estinzione le rigidissime convenzioni sociali, seppure esse siano abominevoli, ci dà sicurezza. Qualsiasi paradigma diverso ci destabilizza. Come se non bastasse abbiamo dato forma a queste paure, tramutandole in un babau oscuro che minaccia i nostri bambini, la fantomatica teoria gender.

Diapositiva del gender.

La teoria gender insegna ai bambini che possono scegliere di essere maschi o femmine — FALSO! La teoria gender insegna ai bambini a masturbarsi — FALSO! Per insegnare la teoria gender fanno vestire i bambini da bambina e mettono loro il rossetto — FALSO!

Affermare queste cose è diffamante e ingiurioso, e il “eh ma in una scuola è successo” non basta.

Potete provare quello che dite? Quando è successo? Dove? Ne avete le prove?

Non ne avete di prove, ma di sicuro sapete balbettare di imbarazzo molto bene. Ecco perchè la teoria gender (che non vuol dire niente, perchè non esiste) ci fa paura. Perchè la lotta agli stereotipi (questo è il nome corretto) è un’arma potentissima, perchè destruttura l’idea che abbiamo oggi di ‘maschio e femmina’.

Maschi e femmine nascono diversi, questo nessuno lo mette in dubbio, ma soltanto a livello anatomico. A livello di potenzialità siamo uguali. O meglio, dovremmo essere. I bambini non hanno la nostra rigidità mentale, sono aperti e recettivi, e stiamo facendo loro da sempre un profondo torto ingabbiandoli fin da neonati nelle convenzioni. Se c’è un pericolo, reale, per i bambini, quello siamo noi.

Dalla divisione dei colori (azzurro per i maschi, rosa per le femmine, e giallo come colore ‘neutro’. Tra l’altro questa cosa mi ha sempre mandato ai pazzi: cosa vuol dire colore ‘neutro’? Il colore ha un sesso? Chi ha deciso che il giallo era ‘neutro’?) agli aberranti libri e giochi ‘per femmine’ o ‘per maschi’. Fino alle ambizioni personali castrate (‘non è da femmina/maschio’) e alle opportunità di carriera.

Per questo è davvero importante lottare, contro il vero nemico. E ben vengano tutti i progetti scolastici contro gli stereotipi di genere, sì, scolastici, perchè non dobbiamo avere paura di non sapere o avere la supponenza di sapere tutto e meglio di tutti. Perchè è a scuola che si formano le coscienze, ed è a scuola che si imparano le dinamiche sociali che ci serviranno nell’età adulta, o che ce la condizioneranno pesantemente se saremo vittime di bullismo per colpa dell’ignoranza altrui.

Vi voglio regalare un’utopia.

Se combatteremo gli stereotipi fin dall’infanzia, non ci saranno più comportamenti ‘da femmina’ o ‘da maschio’. Gli uomini potranno mostrare le proprie emozioni e debolezze, e le donne non dovranno essere ‘perbene’ per forza. Siamo tutti persone e basta, con i nostri difetti e i nostri pregi, e non dovremo cercare nello sguardo dell’altro l’approvazione e l’identità. Dobbiamo amarci di più, considerarci speciali e essere orgogliosi di quello che siamo, facendo autocritica e cercando anche di correggere i nostri errori, ascoltando le esperienze che possono offrirci una visione diversa del mondo. Cambiare opinione, farsi domande, dialogare sempre restando con i piedi ben saldi a terra. Se combatteremo gli stereotipi fin dall’infanzia l’orientamento sessuale di una persona non ci interesserà (già non ci dovrebbe interessare). Considereremo una persona in quanto tale, sarà libera di amare, e se deciderà di farsi una famiglia dovrà avere tutto il nostro supporto. Perchè tutte le famiglie sono costruite sull’amore, e questa è l’unica cosa che conta davvero. Non ci interesserà nemmeno la religione o il colore della pelle. Abbiamo tutti cuore, polmoni, stomaco, cervello, le differenze devono essere solo argomento di confronto, e arricchimento.

Se combatteremo gli stereotipi fin dall’infanzia, una donna potrà diventare astronauta senza beccarsi infami commenti sul suo aspetto fisico, nonostante sia stata scelta tra novemila (NOVEMILA) candidati e parli 6 lingue — chi la critica comunque di solito non parla nemmeno la sua di lingua -. Potrà diventare quello che vuole, senza sentirsi in colpa o meno capace rispetto ad un uomo. Non sogneremo più il principe (azzurro) che ci viene a salvare, o meglio, che ci dà un’identità infilandoci al dito un anello con diamante. Non c’è nulla di sbagliato nell’amore, si intende, ma il rapporto di coppia non dovrebbe essere un traguardo identitario per una donna. L’identità e la realizzazione la si può trovare solo nell’essere se stesse senza imposizioni. Gli uomini e le donne non sono rivali, nè una donna deve essere considerata migliore di un uomo tout court. Con questa storia che ‘siamo migliori di loro’ ci considerano solo delle sante madonne da mettere su un piedistallo e adorare senza che muovano un dito per, che so, alleggerire i carichi, lavorativi, domestici ed educativi ad esempio. Perchè ‘tu lo fai sicuramente meglio di me’, ‘io non sono capace’. Inoltre una donna non deve essere giudicata in base alla sua ‘femminitudine’: se è incapace è una donna incapace, punto. E’ necessario che uomini e donne abbiano davvero pari opportunità, e ciò non significa tenere dei posti riservati alle donne in quanto donne, ma poter ottenere un lavoro pagato nello stesso modo a parità di curriculum, senza che i potenziali datori di lavoro ti facciano domande indiscrete sulla tua vita privata (che agli uomini non vengono fatte).

Questa è Elaine Marley: quando è uscito Monkey Island avevo 8 anni. Una delle peculiarità di questo videogioco è stato proprio l’avere un governatore donna tra i personaggi principali.

Se combatteremo gli stereotipi fin dall’infanzia, nessun uomo considererà più una sua proprietà la sua compagna, o i suoi figli un impedimento alla sua felicità. E si spera che si riesca finalmente a sanare quella purulenta piaga della violenza di genere. Non esiste raptus e non esiste gelosia: se l’amore viene considerato da queste persone come possesso, qualsiasi decisione che vada contro questo disegno verrà punita e scatterà una dinamica di ‘difesa della proprietà’. Questo è un comune denominatore da Nord a Sud, in ogni fascia sociale della popolazione, nessuno è al sicuro da questo punto di vista. Le relazioni sono complesse, e nessuno è perfetto: ma la violenza va ripudiata con tono fermo e definitivo. Anche lo Stato deve fare la sua parte, seriamente. Hanno reso reato lo stalking ma, guarda caso, moltissime storie hanno alle spalle decine di denunce senza conseguenze per i persecutori, fino all’estremo atto. Se non ci decideremo a cambiare le cose, ritornando anche ad indignarci e a scendere in piazza se è il caso, le violenze contro Carla, Luana e Marinella non saranno le ultime. Purtroppo.

Se combatteremo gli stereotipi fin dall’infanzia, non toccherà sempre e solo alla ‘donna’ la cura dei familiari “perchè è nell’indole di ogni donna”. Nell’indole di ogni donna ci saranno altre cose, e nessuna di esse sarà legata al sesso di appartenenza. E se vorrà lasciare il lavoro per dedicarsi alla famiglia potrà farlo perchè è lei che lo vuole liberamente. Anche l’uomo potrà lasciare il lavoro, anche solo momentaneamente, per curare i figli, utilizzando il congedo di paternità, senza sembrare per questo ‘meno uomo’. Non ci sarà più un genitore ‘estromesso’ dalle dinamiche legate ai figli, e il diventare genitore non sarà più di esclusiva competenza femminile, con tutti gli oneri — fisici e psicologici — che comporta. Inoltre un papà non sarà più chiamato ‘babysitter’ dei figli quando l’altra metà dedicherà un po’ di tempo ai propri interessi. E’ egoismo? Sì. Ma il sano egoismo non è affatto una cosa brutta. E se combatteremo gli stereotipi fin dall’infanzia, un uomo non si deprimerà più perchè ha perso il lavoro e non potrà più ‘mantenere la sua famiglia’. La famiglia si mantiene in due, e anche nel momento in cui una delle sue parti non potrà più farlo, l’altra la sosterrà, perchè l’amore su cui ogni famiglia basa le sue fondamenta è più forte di qualsiasi difficoltà.

Se combatteremo gli stereotipi fin dall’infanzia, anche il bullismo scolastico sarà pesantemente condannato a livello culturale. Se prenderai in giro qualcuno per il suo aspetto fisico, per il colore della pelle, per la religione, per una disabilità o per il suo orientamento sessuale sarai stigmatizzato anche dai tuoi pari. Perchè anche a 12, 15 anni la vita è preziosa, e nessuno deve permettersi di farti sentire inadeguato, sbagliato, difettoso, perchè non rientri nei canoni che qualcuno ha deciso al posto tuo, e poi chi ha detto che siano quelli giusti? Nessuno ha il diritto di dirti quello che devi essere e cosa devi pensare. Se sei una testa di cazzo sei tu quello inadeguato a stare al mondo.

Insomma, si può solo migliorare da quello (schifo) che siamo oggi: abbiamo a disposizione un piccolo ma potentissimo seme che potrebbe germogliare e rendere i bambini di oggi degli adulti più evoluti, rispettosi e sensibili, di noi.

Se solo lo vogliamo. Vogliamolo, senza paura.

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Arianna Riot

Journalist, music lover, feminist & punk rocker to the bone