A un passo dalla trincea: dentro l’emergenza Coronavirus

Bergamonews
9 min readMay 11, 2020

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Testo di Luca Samotti — Foto di Martina Santimone

Ospedale Maggiore, Cremona, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

Tenere il dito fermo sul pulsante di scatto non è facile se ciò che stai immortalando ti fa vibrare anima e corpo.

Ogni singolo “clic” raccoglie il dolore, le paure e le speranze di pazienti spaesati, magari lontani dagli affetti più cari: il virus infame è strisciato silenziosamente dentro le loro case, piano piano ha preso il controllo del loro fisico. Spesso è riuscito a vincere, tra occhi gonfi di lacrime e impotenza.

Ma le lacrime sono anche quelle che sgorgano da emozioni positive, fatte di rientri trionfanti dopo una lunga battaglia, di medici e infermieri consapevoli “di aver fatto il proprio dovere” ma che, tradotto, significa strappare uomini e donne di ogni età dalle grinfie di un nemico invisibile e dalla forza ancora sconosciuta.

Ospedale San Paolo, Milano, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

Dall’inizio dell’emergenza Coronavirus Martina Santimone, fotografa originaria di Seveso, in Brianza, è stata solo un passo fuori da quella trincea, stringendo tra le mani la responsabilità di mostrare come ogni giorno l’impegno del personale sanitario provasse ad arginare l’impatto della pandemia sul territorio lombardo.

Lo ha fatto dalla metà di marzo su incarico di Areu, l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza lombarda, e con le sue armi migliori: una macchina fotografica e un’esperienza quindicennale da soccorritrice volontaria della Croce Bianca Milano.

Quelle che ha scattato sono immagini da brividi, scioccanti: chi ha provato sulla propria pelle l’infamia del Coronavirus sa cosa significano, per tutti gli altri è solo un tuffo dentro una realtà da incubo che è giusto che venga mostrata.

Martina Santimone

“Da un lato il fatto di essere una soccorritrice è stato fondamentale — racconta Martina — Avere già avuto a che fare con sofferenza e morte, con persone da rianimare con le tue mani, intubate o in fin di vita mi ha aiutata a gestire un po’ le emozioni. Ma dall’altro quando andavo a dormire e ripensavo alle scene alle quali avevo assistito era impossibile rimanere indifferente. Alla vigilia di ogni servizio in ospedale c’è sempre un po’ di agitazione, perchè so già cosa mi aspetta”.

Tra i tanti pensieri, anche un po’ di umana preoccupazione per la propria salute: “Quando mi è stato proposto di documentare la pandemia sono stata ben felice di buttarmi: ma pur con tutta la mia esperienza e preparazione, stare per ore in un reparto di terapia intensiva è ben diverso dal prestare servizio su un’ambulanza”.

Il suo reportage è passato dai reparti degli ospedali Maggiore di Cremona, San Gerardo di Monza e San Paolo di Milano, dalle centrali operative Areu subissate di telefonate, dall’aeroporto di Orio al Serio dal quale venivano trasportati fuori regione o fuori Italia i pazienti che qui non riuscivano a trovare un letto.

È a Cremona, tra le prime strutture sanitarie a essere messa a dura prova dalla rapida diffusione del contagio, che Martina scatta una delle foto che dal punto di vista emotivo le provoca sempre il maggior turbamento: è quella che vedete in copertina, coi pazienti in fila, ravvicinati e nella posizione prona, che consente di migliorare l’ossigenazione.

“È una procedura che ho visto fare con estrema delicatezza, con l’intervento contemporaneo di 4–5 operatori — spiega — Ma la sensazione che ho avuto mentre scattavo quella foto è stata di sconforto totale: mi stavo rendendo conto che la realtà dentro gli ospedali era molto peggio di tutto ciò che avevo letto e sentito raccontare. L’impatto è stato forte, psicologicamente ed emotivamente. Ma le parole, in questi casi, non bastano per capire”.

Ospedale San Gerardo, Monza, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

L’obiettivo della sua missione, in parte, è proprio questo: “Ho iniziato il progetto con una doppia valenza: la documentazione storica da un lato e dall’altro lo scopo sociale di mostrare alla gente cosa è davvero questa pandemia, a cosa andremo incontro se non continueremo a rispettare scrupolosamente le regole. Mi rendo conto di quanto siano crude molte di queste foto, in pochi sono entrati in un reparto Covid e hanno visto coi propri occhi”.

Il lavoro in corsia non è stato semplice, già a partire dalla preparazione: una vestizione lunga e scrupolosa, la stessa del personale sanitario, che nel suo caso ha riguardato anche “i ferri del mestiere”, da proteggere e sanificare come se fossero parti del corpo.

“Fare foto in quei momenti e in quelle condizioni è stato difficile — sottolinea Martina — Completamente bardata, con guanti, mascherina, occhiali, tuta protettiva: ma la difficoltà è anche riuscire a immortalare certe scene, per il profondo rispetto dei pazienti che mi trovavo di fronte. L’esperienza è stata molto forte. Medici e infermieri mi hanno aiutata tanto, soprattutto a fine giornata quando arrivava il momento di togliersi le protezioni: un rituale ormai abitudinario, ma svolto sempre con minuziosità, perchè anche la minima leggerezza può causare danni enormi”.

Ospedale San Paolo, Milano, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

Quasi spalla a spalla con il personale sanitario, la fotografa brianzola ne ha spesso colto la tenacia e la determinazione, ma anche la fatica di turni massacranti in quei terribili giorni di marzo.

Giornate infinite, emotivamente pesanti come macigni: “Credo che alla fine di tutto in molti avranno bisogno di un sostegno psicologico: questi medici e infermieri davvero non si sono mai fermati, dai loro occhi ho percepito spesso la stanchezza. E ora possono almeno lavorare con relativa sicurezza perchè dotati di tutti i DPI necessari: all’inizio del mio reportage ho visto medici e infermieri con sacchetti della spazzatura scocciati su gambe e piedi. Pensate a cosa possa aver voluto dire per loro, oltre al normale carico di responsabilità, operare in quelle condizioni”.

Ospedale San Gerardo, Monza, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

“Ci tenevo, con le mie foto, a valorizzare i loro sforzi: li ho trovati provati, qualcuno me l’ha anche confermato in brevi scambi di battute che ho avuto la possibilità di fare. Ho avuto modo di tastare il polso emotivo e psicologico della situazione, durante giornate convulse: hanno vissuto giorni di emergenza continua, vedendo e ascoltando cose mai viste o affrontate”.

Numero verde regionale Covid, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

Un destino condiviso anche con i colleghi che hanno supervisionato dalle centrali operative dove gli operatori sono stati i primi a fronteggiare lo tsunami, con richieste d’aiuto che li bombardavano: “A loro sono arrivati i primi racconti della gente preoccupata per i propri cari, venivano sottoposti a domande esistenziali che portavano a decisioni complicate sul destino dei pazienti. Gestire l’emergenza così, da lontano, non è stato semplice: non avevano la possibilità di garantire la solita velocità di intervento, ho percepito il loro sconforto e l’impotenza nel non poter aiutare tutti subito. Qualcosa che li ha devastati”.

Centrale Soreu Lombardia, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

Agli operatori della centrale Soreu lombarda, del Numero Unico Emergenza 112 o del numero verde attivato da Regione Lombardia, sono arrivate migliaia di chiamate: nelle case il timore maggiore, oltre a quello del contagio, era quello di vedere partire e mai più tornare i propri cari.

Un intervento della Croce Bianca Milano — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

“I parenti sembravano più preoccupati dei malati — racconta ancora Martina — Li affidavano ai medici senza poterli seguire in ambulanza, come accade in condizioni normali: sono stati i momenti in cui ho visto maggiore commozione, tra i più difficili da accettare”.

Visita a domicilio della Croce Verde Ospitaletto, Brescia— foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

Tra gli scatti di Martina Santimone, ce ne sono molti altri che le provocano sentimenti forti: sono quelli dei trasferimenti dei pazienti dall’aeroporto di Orio al Serio, dove è arrivato anche un A310 della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca, per accompagnare sei pazienti affetti da coronavirus da Bergamo alle strutture sanitarie di Colonia, Bonn e Bochum.

Aeroporto di Orio al Serio, Bergamo, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

“Ho visto la voglia di collaborare, la bellezza dell’aiuto arrivato in quel caso da un’altra Nazione che è venuta a prendere i nostri pazienti per curarli, con attenzione e professionalità. Per me è stato toccante essere lì in pista con medici e infermieri che si muovevano con molta cautela tra i pazienti intubati, affidati in altre mani per un viaggio della speranza di cui non conoscevano nulla”.

Il trasferimento dei pazienti dall’Aeroporto di Orio al Serio, Bergamo, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia
Il trasferimento di un paziente sulla barella a biocontenimento, eliporto HPG23, Bergamo — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

Dopo un mese e mezzo passato a stretto contatto con medici e infermieri, Martina Santimone ha raccolto tante testimonianze e impressioni: lo ha fatto tramite l’unica “feritoia” possibile, quella che tra lunghi camici bianchi integrali lascia scoperti solo gli occhi, e con pochissime parole.

foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

“Con gli operatori ho condiviso la sensazione che i numeri ufficiali fossero sempre troppo bassi, ma non solo per la saturazione che vedevamo negli ospedali. Oltre a quello c’era molto di più, c’erano tutte le persone lasciate a casa e che nessuno ha mai verificato se fossero o meno affette dal virus. Il sommerso, purtroppo, è enorme. Anche tra medici e infermieri il contagio è ancora l’attualità. Al San Gerardo di Monza ho incontrato anche un infermiere ricoverato, che la settimana prima avevo visto su un’ambulanza a fare il proprio mestiere: mi ha raccontato tutta la sua vicenda, di come all’improvviso si sia trovato dall’altra parte della barricata”.

Ospedale San Gerardo, Monza — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

“Anche coi pazienti ho potuto condividere attimi speciali: mi è rimasta impressa la felicità di un signore che da pochi giorni era uscito dalla terapia intensiva e ancora indossava il casco Cpap. Era contento di ogni piccolo miglioramento, mi ha parlato del suo lavoro, della sua vita: ‘Ma prima c’è la fisioterapia, devo rimettermi a camminare’, mi diceva”.

Un paziente con il casco Cpap, Ospedale San Paolo, Milano — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

“Spero che il mio lavoro possa servire non solo come testimonianza della pandemia ma anche da monito per tutti: bastano piccoli errori o leggerezze per far ripartire il contagio, per tornare a vivere quei momenti drammatici. Serve ancora la massima attenzione, il preciso rispetto delle norme e dei decreti: perchè quello che ho potuto fotografare e mostrarvi potrebbe tornare”.

Ospedale Maggiore, Cremona, marzo 2020 — foto © Martina Santimone per Areu Lombardia

Grazie a Martina Santimone per la preziosa testimonianza e la concessione delle foto scattate nei giorni più drammatici dell’emergenza Coronavirus sul territorio lombardo.

Un ringraziamento anche al dottor Claudio Mare, Direttore SC AAT di Areu Lombardia, che ha consentito la realizzazione del servizio.

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