Metti una festa d’estate a Casazza

Bergamonews
7 min readJul 18, 2015

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Foto di Francesco Roncoli — Reportage di Amedeo Maddaluno

na sera di un martedì di luglio, una calura come non percepita da un decennio almeno, quasi a voler propiziare la festa di chi viene dall’altra sponda del Mediterraneo. Succede a Casazza, nel centro di accoglienza per migranti gestito da una cooperativa legata alla Caritas che attualmente ospita 71 persone da Africa ed Asia, quasi tutti richiedenti asilo perché in fuga da guerre o persecuzioni. Per un’idea della Curia di Bergamo i musulmani celebreranno la conclusione della giornata di Ramadan insieme ai volontari della Caritas, ai profughi di religione cristiana e a chi della cittadinanza desidera partecipare ad un momento di scambio culturale. Arrivo dunque ad un dignitoso edificio color terra vicino all’oratorio poco prima del tramonto. Conosco Antonio Russo, il referente della Comunità Montana dei laghi per le tematiche relative a migranti e stranieri, e ho una volta di più l’amara conferma di quanto siano penose le bufale sui 30 Euro al giorno che i migranti riceverebbero (in realtà si tratta di 2,50 — e pongo sempre la domanda per snidare le leggende metropolitane che vengono diffuse su Internet con superficialità e malafede). Giovanni, operatore Caritas, mi snocciola qualche numero in più: sono 280 nella sola Valle Cavallina le famiglie — straniere e italiane — che hanno avuto modo di soccorrere da quando nel 2008 è iniziata la crisi. Ce ne sarebbe per discutere serate intere, ce ne sarebbero storie di dolore su cui riflettere: ma una volta tanto si fa festa. E’ per questo che siamo qui stavolta.

Dopo il tramonto e alla fine della preghiera, gli ospiti del centro, i volontari, la gente del paese che partecipa alla serata sono tutti in fila per una cena a base di piatti mediorientali. Si mangia insieme, su dei tavoli disposti in cerchio, nel buio che non ci riserva alcun sollievo dall’afa. Attendo la fine del pasto discutendo con i volontari della Caritas e quindi mi avvicino incuriosito alla persona che mi è stata indicata come guida della preghiera e guida spirituale della piccola comunità musulmana della zona: voglio conoscerlo e farci una chiacchierata. Mi presento dunque al Dottor Batherche, medico libanese che scopro essere il pediatra di Casazza dal 2003. Uomo di mezza età dalla barba brizzolata portata senza baffi, dagli occhi scuri e dallo sguardo quasi severo che nasconde al primo impatto una profonda gentilezza. In Italia dai tempi dell’Università — ha studiato medicina a Roma — il Dottore è paziente alle domande con cui lo tempesto e alle quali risponde col tono austero e sicuro dell’uomo di fede — tono cui ogni tanto alterna qualche momento di ironia che tradisce l’arguzia dell’uomo arabo di cultura. Mi spiega come, al tramonto delle sere di Ramadan il digiuno venga simbolicamente rotto mangiando datteri — un frutto benedetto — per procedere quindi al momento di preghiera. Si procede quindi alla cena vera e propria che la tradizione e la pratica religiosa raccomandano di consumare con famigliari, amici e parenti. Non è una semplice cena: è un momento spirituale, di unità, di condivisione.

Vi è una cosa che tiene la mia testa impegnata durante tutta la nostra conversazione: il ritrovare sorprendenti punti di contatto tra la tradizione musulmana e le più genuine tradizioni popolari cattoliche del nostro Paese — e da queste addirittura a quelle pre-monoteiste, lascito dell’ancestrale substrato mediterraneo che accomuna le nostre civiltà. Il pasto comune, la cena della notte di Natale, è un momento di profonda unione famigliare nella Napoli di mio padre, dove “il cenone” non è solo quello di San Silvestro ma ancor più quello della Vigilia.

Il digiuno, mi spiega il Dottore, riparte all’alba dopo un ulteriore pasto. Gli chiedo se lui sia un Imam. Mi risponde che più che esserlo, lo fa, lo pratica. Si è interessato alla religione, ha studiato autonomamente il Corano a memoria e alcuni Hadit (detti) del Profeta. Nell’Islam il rapporto con Dio è estremamente diretto, si fa riferimento ad uomini dotti per la guida della preghiera comune e qualora vi siano dei dubbi, dei consigli da richiedere sulla pratica religiosa e di vita. In tal caso, il Dottore è categorico: se costoro sbagliano nella guida e consigliano male il fedele, il peccato ricade su di loro. Il tono del Dottor Batherche diviene quasi enfatico quando parla della Religione come Legge: perché rispettiamo le leggi degli uomini e consideriamo quella di Dio come un gioco? Gli domando se queste usanze siano comuni a tutti i musulmani. “Senz’ altro” risponde. “Io sono sunnita, ma con gli sciiti — dei quali ad esempio gli alauiti siriani sono un sottogruppo — siamo tutti sotto l’ombrello dell’Islam, anche se gli sciiti hanno un forte devozione — che arriva fino all’invocazione — per Alì, genero di Muhammad. Noi ripetiamo ai nostri fratelli sciiti che sbagliano: la devozione è solo per Dio, nemmeno per il suo Profeta! Solo per Lui”.

Non posso fare a meno di chiedergli come giudichi l’attuale conflitto che insanguina il Medioriente dividendo i musulmani. Trovo un’altra conferma: “Non è religione. E’ politica. C’è l’Iran che sostiene gli sciiti, ci sono gli Stati Uniti che sostengono persino gruppi radicali violenti. Pensi all’Iraq. Gli americani hanno sostenuto Saddam Hussein, poi lo hanno abbattuto dicendo di voler portare la democrazia: ma che democrazia è quella che causa un numero catastrofico di morti!? Ora se ne vanno dicendo agli iracheni: arrangiatevi! Hanno fatto la guerra ai talebani dopo averli creati e sostenuti contro i russi. Così è ora, sostengono movimenti radicali contro i governi a loro invisi. E’ difficile da dire ma in molti paesi la gente rimpiange il dittatore caduto perché garantiva lo scorrere della vita — ovviamente a chi non lo contrastasse. Penso che lo stesso Assad cadrà quando lo decideranno gli Americani, ma la Siria ora è un disastro, si può quasi dire che la gente stesse meglio prima perché il governo garantiva sicurezza e si viveva bene — ripeto, sempre che non ci si opponesse. Domandiamoci sempre cosa c’è dietro ai movimenti radicali come il “Califfato”: vengono creati a tavolino per l’interesse di qualcuno. Quando Assad sostenne gli Usa in Iraq, ebbe da questi carta bianca in Libano. Ora non va più a genio. E’ politica, non religione, lo ripeto!”.

Quando provo a citare il governo giordano, chiedendo della veridicità della discendenza dei re di Giordania dal Profeta, la risposta si fa secca: “Non lo so, Non mi piace la parola “re”. L’orgoglio del musulmano è inchinarsi solo a Dio, non ai re della terra”. Gli domando della lingua araba: mi pare non sia la medesima dall’Arabia al Marocco: “La lingua araba pura è quella del Corano. Poi abbiamo diversi dialetti che cambiano da paese a paese e tra i quali la comprensione non è sempre immediata, ma non impossibile”.

Chiedo cosa pensi l’Islam delle immagini sacre: “Non è ammesso per noi. Si venera solo Dio (piccolo equivoco di fondo: anche noi cattolici veneriamo Dio solamente e non certo dei quadri, i Santi sono semplici intercessori, N.d.R.) I profeti non vengono raffigurati anche per rispettarli. Gesù ad esempio per noi è un importante Profeta e lo rispettiamo, come rispettiamo Mosè, Abramo, Elia! Si immagini se in un film Gesù venisse interpretato da un attore che in passato ha fatto film hard: non è forse una mancanza di rispetto verso la sacralità della figura di Gesù? Eppure anche noi stiamo facendo dei film sulla vita dei profeti e arriveremo a raffigurarne il volto: siamo in un’epoca di declino.”

Ho voglia di fare un’ultima domanda, una curiosità: “So del divieto per i musulmani di mangiare maiale e delle regole della macellazione rituale: in questo siete simili agli ebrei?” “Non simili, uguali. Con gli ebrei siamo cugini di primo grado. Pensi che all’università a Roma avevo due compagni di stanza americani, uno ebreo e l’altro cristiano. Il cristiano comprava solo maiale perché sapeva che l’ebreo non poteva mangiarlo, mentre lui poteva ogni tanto prendere dal frigo la carne dell’amico ebreo, e così lo fregava”. Chiude la bella chiacchierata con una battuta così come la aveva aperta (“dopo la seconda domanda mi deve pagare!”). A me, cattolico, fa piacere pensare che nel mondo ho un buon numero di cugini almeno finché la politica, e non solo quella mediorientale ma anche quella ipocrita dell’occidente, non si appropria della religione per i propri scopi, facendone guerra e facendone strumento per avvelenare gli animi. Più l’incontro squarcia il velo della diffidenza più ci si accorge di come i popoli di questo grande mare caldo che unisce arabi e greci, italiani, spagnoli, ebrei, le più grandi civiltà dell’emisfero occidentale, possa tornare ad essere un ponte.

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