Perché dovreste tutti giocare di ruolo, almeno una volta

Valentino Cinefra
7 min readApr 29, 2017

--

Stranger Things, Netflix

EDIT: 20/03/2019
Successivamente alla stesura di questo articolo, ho iniziato a collaborare con
Player.it, che racconta spesso di realtà molto positive legate al gioco di ruolo, come la storia di Joe Manganiello in visita all’ospedale pediatrico. In vista dell’articolo poco elegante uscito su Quotidiano Nazionale proprio oggi che parla del mondo dei giochi di ruolo con la solita superficialità e violenza, vi consiglio come unica risposta di condividere contenuti in cui si parla con cognizione di causa dell’argomento. Questo mio articolo su Medium, quelli di Player.it, e quelli di chiunque altro. Condiviamo l’amore e la passione, la competenza nella divulgazione, non la necessità di attaccare ad ogni costo il “settore interessante” del momento.

— — — — — — — — — — — — — — — — — — — — — — — — — — — — —

Prima di tutto, una manciata di precisazioni.

La prima, la più importante, è che le righe che andrete a leggere non hanno e non vogliono avere nessuna valenza psicologica. Perciò, se avete personalità multiple, soffrite di depressione o uscite da una relazione sentimentale tormentata, qui non troverete la panacea che cercate. Oddio, potreste anche trovarla, ma sarebbe un caso fortuito. Invece, le elucubrazioni che seguono possono tornarvi utili se siete genitori, o conoscete qualcuno che si trastulla con questo passatempo e, spaventati dalla tanta disinformazione degli ultimi anni, temete che i “giochi di ruolo” siano legati al Demonio oppure possano plagiare le menti dei vostri cari.

Sì perché le situazioni al limite del grottesco degli anni ‘80/’90, quando chi giocava di ruolo era considerato un satanista, uno che stava male o semplicemente uno squilibrato, non si sono del tutto estinte. A proposito, vi consiglio caldamente la lettura di “La Stanza Profonda” di Vanni Santoni. Per sapere cos’è vi lascio alle parole dell’amico Lorenzo Fantoni su n3rdcore.it, ben più adatte delle mie a spiegarvi il dolceamaro di quell’opera.

Non parliamo neanche dei giochi di ruolo legati alla sfera sessuale. Se siete capitati qui perché stavate leggendo un articolo sul bondage o su “Cinquanta Sfumature di Grigio” vi ringrazio, ma avete preso una cantonata.

Prendete questo articolo come una sorta di introduzione a questo splendido anfratto dell’intrattenimento analogico, un mondo troppo spesso bistratto e sconosciuto. Perché sui giochi di ruolo ce ne sarebbero di pagine da scrivere (Vanni Santoni l’ha fatto, appunto) per riempire tesi su tesi di laurea, ma qui s’è fatta una certa.

Il gioco di ruolo è, prima di tutto, dialogo, interpretazione, immaginazione ed improvvisazione.

Prima di tutto la Domandona®: cos’è un gioco di ruolo? È un gioco “di società”, nel senso che si fa insieme ad altre persone, in cui l’immaginazione è il motore ludico di tutto quanto. Si vivono storie interpretando personaggi (creati dai giocatori oppure preconfezionati), le quali vanno avanti sotto la guida di un Narratore (o Master, Custode, il titolo cambia a seconda del gioco) che gestisce il gioco attraverso l’uso di una serie di regole.

Immaginate un film inteso come produzione cinematografica. Gli attori protagonisti con relativi canovacci delle scene sono i giocatori, mentre il Master rappresenta tutto il resto, dalla sceneggiatura (che comprende antagonisti e comprimari), passando per le luci, fotografia, regia e colonna sonora. Oppure, ancora più intuitivo, uno spettacolo teatrale d’improvvisazione, in cui il regista (il Master), invia spunti e descrive situazioni immaginarie agli attori. Quindi il gioco di ruolo è, prima di tutto, dialogo, interpretazione, immaginazione ed improvvisazione. I giocatori descrivono le azioni che intendono fare al Master, il quale a sua volta risponde in modo “uguale e contrario”, descrivendo cosa succede quando e se l’azione viene eseguita, con successo o meno.

Tutto diventa più semplice spiegando una situazione tipo. Al tavolo ci sono io che faccio il Master, poi abbiamo Sara, Luca, Guido, Gian Marco e Federico che interpretano altrettanti personaggi. Il gioco è Pathfinder edito da Giochi Uniti in Italia, che permette di giocare in un mondo fantasy medievale-rinascimentale, e nella situazione che vi descrivo i personaggi, già da un po’ intenti ad esplorare un sotterraneo, si imbattono nell’ennesima stanza potenzialmente pericolosa.

Valentino: “Appena apri la porta hai l’occasione di sbirciare nella stanza: è piccola, con il solito tanfo caldo intriso di morte che pervade l’intera zona, quattro strane fosse aperte e, dalla parte opposta alla tua, un’altra porta.”
Gian Marco: “Vorrei dare un’altra occhiata prima di entrare.”
V: “Va bene, tenta un tiro di Percezione.”
G: “[tira un dado a venti facce] Ho fatto… 25, c’è altro?”
V: “Sì. Aguzzando la vista noti che, anche qui, sul muro sono incisi disegni inquietanti e fastidiosi da vedere, oltre a delle strane feritoie sui lati della stanza, precisamente sei, tre per ogni lato.”
G: “Mmm… che dite ragazzi? Dovrei entrare solo io a controllare?”
Luca: “Io sono troppo pesante e goffo, ti aiuterei ma non è il caso.”
Sara: “Potrei aiutarti rendendoti invisibile con un incantesimo dei miei!”
Federico: “Lascia stare, tieniti gli incantesimi per dopo, lui è abbastanza agile per farcela da solo.”
Guido: “Se entri ti copro io con l’arco dall’ingresso, tranquillo.”
Gi: “Va bene. Allora Vale, entro e mi avvicino cautamente alla prima feritoia sulla destra. Posso sbirciare?”
V: “Sì, noti che di fianco a voi sembra esserci un’altra stanza, e non è vuota, qualcuno sta camminando proprio davanti alla feritoia.”
Gi: “Chi è? Cosa sta facendo?”
V: “Sembrerebbe un altro odioso hobgoblin, e in quanto a cosa fa… beh, intende tirare una freccia con il suo arco dentro la feritoia.”
Gi: “Oh cazzo, mi tolgo subito!”

Quello che ho descritto è uno stralcio di una tipica serata di gioco, qualcosa che si è svolto nell’arco di cinque minuti, o forse anche meno. Come dicevo poco sopra: un dialogo tra me ed i giocatori, ai quali ho applicato delle regole, nel nostro caso un tiro di dado, per verificare se il personaggio di Gian Marco avrebbe notato o meno gli altri dettagli della stanza.

Tornando a noi, perché tutti dovrebbero giocare di ruolo? La risposta semplice é: perché fa bene. Mettersi ad un tavolo con altri amici o semplici “giocatori” (la differenza è che con i primi avete anche una vita vera) è un esercizio sociale unico, utile per ogni fascia d’età. Da giovanissimi (in modo non troppo distante da uno sport) si impara a giocare di squadra, che tutti hanno un ruolo, e che ogni tanto bisogna starsene zitti ed ascoltare chi è più esperto/vecchio di noi, in questo caso il Master. Con l’avanzare degli anni, giocare di ruolo è un esercizio di sfogo. Un modo per ricordarsi che insieme alle bollette, l’ennesimo lavoro interinale in scadenza, la calvizie arrivata con quindici anni di anticipo, e tutta una serie di altre cose poco belle, nella vita si può ancora creare letteralmente il proprio angolo di felicità.

Vin Diesel è un grosso (in tutti i sensi) giocatore di Dungeons & Dragons

Non sottovalutate questo ultimo aspetto, perché è in realtà quello più importante. Potreste rispondermi che ci sono tanti modi per rilassarsi ed “evadere”, ed avreste assolutamente ragione. Ma pensate a come vivete l’evasione quando guardate un film, giocate ad un videogioco, vi sparate sedici puntate di una serie tv o leggete un libro. Sono tutte azioni più o meno passive dove, alla fine, non si crea nulla.

Giocare di ruolo è la cosa più simile che c’è al creare dell’arte. Preparare la scheda di un personaggio, immaginare un conflitto in cui far entrare i propri giocatori durante la prossima serata, o anche il più meccanico processo della creazione della “build” del proprio eroe, è come prendere un pennello o una matita e cominciare a disegnare, portando su tela o carta i propri pensieri.

Interpretare un mezzorco bardo di nome Bing Bong vestito come un cittadino toscano del ‘700 non è diverso dal tirare cinque pennellate di colori diversi su una tela e chiamarla “arte moderna”.

Tornando all’esempio iniziale, una sessione di gioco di ruolo potrebbe somigliare alla stesura di una sceneggiatura di un film, anch’esso un procedimento di “creazione”. In realtà, il film deve viaggiare su canoni precisi, la storia di un lungometraggio ha poco di artistico ma molto di meccanico: ci sono tempi da rispettare, meccaniche per cui lo spettatore va guidato verso una certa direzione. Giocare di ruolo è esattamente come dipingere perché, in entrambi i casi, non c’è niente di sbagliato. Interpretare un mezzorco bardo di nome Bing Bong vestito come un cittadino toscano del ‘700 non è diverso dal tirare cinque pennellate di colori diversi su una tela e chiamarla “arte moderna”.

Mettersi a giocare di ruolo e creare una storia insieme è un procedimento unico nel suo genere. Ha anche una valenza psicologica non indifferente, tant’è che senza dadi, matite e manuali, lo stesso metodo viene usato per capire cosa c’è che non va in alcuni tipi di persone.

Il vantaggio di essere nel 2017 è che, a differenza degli anni descritti ne La Stanza Profonda, oggi la produzione di giochi di ruolo è esplosa, per fortuna. Non siete costretti a giocare del fantasy se non vi va, perché i GdR trattano ormai qualsiasi cosa tra fantascienza, occulto, contemporaneo, supereroismo, e via dicendo.

Trovate una manciata di amici, spulciatevi i cataloghi delle case editrici, scegliete il gioco che più vi intriga e compratevi un paio di manuali. Quello più creativo e voglioso di voi mettetelo a condurre il gioco: è un lavoro ingrato, ma quello che dà più soddisfazioni di tutti. Quando qualcuno vi ringrazierà perché, con le storie che avete creato, lo state aiutando a superare il momento più brutto della sua vita, quelle tre ore passate a preparare uno scontro della durata di venti minuti saranno le più belle, fidatevi.

--

--

Valentino Cinefra

Scrivo di cose interessanti ma futili su Spaziogames, Videogamer Italia, BadGames e Player.it.