Firenze, Santa Maria del Fiore. Opera d’arte, operazione di land design, azienda e startup (la cupola).

Startapparius #1. Brunelleschi e la UX

Francesco Panzetti
8 min readJul 28, 2015

Otto lezioni dal Maestro del Rinascimento su come vincere tutte le sfide di un progetto innovativo.

Una startup a forma di cupola

La cupola del Duomo è il brand di Firenze. Ma per diventare brand ha dovuto essere prima una startup. Questo termine fa pensare istintivamente al luogo più innovativo del pianeta, quella Silicon Valley che sembra quasi non avere storia tanto è proiettata nel futuro. Eppure alcuni processi e fenomeni si ripetono nel tempo con caratteristiche sorprendenti — non nella forma, ma nella struttura — ; così possiamo provare a fare un salto indietro nel tempo alla ricerca di quegli elementi in comune.

La Silicon Valley del Quattrocento, sul pianeta Terra, è una sola e si chiama Firenze. Un posto così non si era davvero mai visto prima. In circa duecento anni (dall’inizio del Trecento alla fine del Quattrocento) centinaia e centinaia di poeti, prosatori, storiografi, filologi, filosofi, pittori, scultori, architetti, inventori e migliaia di artigiani, aiutanti di bottega (alle volte destinati a diventare a loro volta grandi maestri) fanno di questa cittadina di meno di 50'000 abitanti il luogo del pianeta a più alta concentrazione di pensatori e di artisti che si possa immaginare. Per essere onesti, New York ne ha sicuramente di più, in termini assoluti; ma a Manhattan convergono artisti da tutto il mondo — e New York è pur sempre una megalopoli di otto milioni e mezzo di abitanti — , mentre nella Firenze del Tre, Quattro e Cinquecento la gran parte degli eruditi e dei “creativi” era di origine fiorentina o tutt’al più toscana. Un risultato straordinario, perché significa che la cultura dell’arte e il valore della Bellezza erano profondamente diffusi nella comunità, e che le botteghe degli artisti fungevano da autentici incubatori. Dunque vale la pena di vedere che cosa successe a Firenze il 19 agosto del 1418.

Brunelleschi doveva essere un diavolo. Sappiamo dai documenti dell’epoca che era un gran burlone, ma io immagino che quando giungeva al cantiere dovessero tremare le ginocchia a più di qualcuno.

Quel giorno l’Opera del Duomo, ovvero l’ente preposto al cantiere della chiesa madre di Firenze, pubblica il bando di concorso per completare la struttura, a cui mancava solo la cupola. Rispondono al bando sia Brunelleschi che Lorenzo Ghiberti, i quali erano già stati rivali nel progetto per la decorazione bronzea della Porta del Paradiso nel Battistero — vinta allora dal secondo — (era il 1401, era appena cominciato il nuovo secolo e aveva prevalso il Gotico internazionale; ma la partita si sarebbe ribaltata vent’anni dopo). Chi vincerà il concorso dovrà iniziare il proprio lavoro dalla bellezza di 55,7 m di altezza da terra, lì dove termina il tamburo ottagonale. Diciamo che, nei due secoli di cantieri e rimaneggiamenti continui, doveva essere sfuggito a qualcuno che “mettere il coperchio” a quella costruzione era un’autentica follia per le conoscenze tecniche dell’epoca. Impostare in quel punto la cupola significa inoltre affacciarsi su un “cratere” di 45 m di diametro interno. Una enormità. I problemi da sormontare in realtà sono tantissimi. Non credo che vi sia mai stato un architetto così pieno di gatte da pelare come ser Filippo alle prese con la cupola del Duomo. Ma le ha pelate tutte, una per una. Eccome se le ha pelate.

Sezione assonometrica della cupola di Santa Maria del Fiore. La calotta esterna è molto sottile e si appoggia a quella interna grazie ad una vera e propria ossatura in muratura. Le otto nervature danno robustezza all’insieme e la lanterna (non visibile in questo disegno), appoggiata sopra l’anello terminale, con il suo peso la stabilizza. Un colpo di genio con il quale un elemento negativo (il peso in più della lanterna) viene trasformato in fattore positivo.

Sfida #1. Il vecchio e il nuovo

Il Duomo era nato con Arnolfo di Cambio nel Duecento e poi aveva visto, fra le altre, l’intervento di Giotto nel Trecento. Ora si è nel Quattrocento e occorre tirar su la cupola. Nel frattempo è cambiato un mondo: si sta diffondendo il Rinascimento e con esso (e con l’utilizzo del Classico come ispirazione di vita ed artistica) una nuova sensibilità che ruota attorno alla centralità dell’uomo (chi non ricorda il disegno dell’“uomo vitruviano” di Leonardo da Vinci?). Dunque, come progettare una struttura innovativa che si deve impostare su qualcosa di nobile e bello, ma oramai passato? Risposta di Brunelleschi: innovando nei materiali e nelle tecniche (prese dallo studio dell’architettura romana), ma citando il Gotico nelle forme. Una perfetta operazione di design. In piccolo, era la sfida della nuova FIAT Cinquecento.

Lezione #1: Prendere il passato e continuare a farlo vivere portandolo all’estremo, trasfigurandolo senza renderlo irriconoscibile. Una tensione estrema. È qui il capolavoro. Applicare questo principio a ciò che più ci interessa per passione o per lavoro: software, hardware, design, moda, comunicazione. Il principio è sempre valido: innovare in un contesto maturo richiede arte.

Sfida #2. Ok, qualunque essa sia, guarda altrove

Brunelleschi lo sa bene, come lo sanno bene quelli dell’Opera: la cupola si imposterà a quasi 56 m di altezza e, come da progetto, dovrà arrivare a 116 m da terra. Pensare di elevare dei ponteggi tradizionali per issare questo colosso è impensabile. Perciò Brunelleschi risolve il problema alla radice: occorre costruire una struttura in grado di autosostenersi man mano che viene realizzata. Le impalcature verranno fissate alla muratura stessa, anziché al suolo. La progettazione della struttura quindi comprende fin dall’inizio la soluzione anche a problemi che non riguardano la struttura ma l’organizzazione del cantiere. In altre parole, l’architetto non abbandona al suo destino il capo cantiere, ma lavora anche per lui.

Quanti business oggi nascono prevedendo anche l’impatto che avranno sull’organizzazione aziendale? Perché dunque non concepire le due cose insieme? Oppure: per quanti problemi si cerca una soluzione rimanendo dentro al dominio del problema? È più utile invece guardare altrove.

Lezione #2: Superare le divisioni che le discipline ci hanno consegnato. Osare e ripensarle da capo.

Sfida #3. Contenere i costi e i problemi

(a corollario del precedente)
Ciò che preoccupa i decisori è il costo delle impalcature, che dovrebbero salire per 90 m con uno sviluppo radiale in pianta di almeno 20 m per ogni armatura di spigoli (la cupola proposta è di forma ottagonale). Te l’immagini quanto legno servirebbe? All’Opera del Duomo, con il modello di Brunelleschi davanti, devono essersi chiesti due cose: 1) come farà questo pazzo? 2) quanto ci costerà questo meraviglioso azzardo? Ma la soluzione è già nel progetto: per eliminare le impalcature la struttura si deve sostenere da sola (senza neanche delle centine: ma che folle!), e per arrivare ad oltre 100 m di altezza questa struttura deve essere solida ma leggera.

Lezione #3: aggravi di costi richiedono soluzioni originali ma strutturali. Esaltare la creatività sfruttando i vincoli al contorno.

Sfida #4. Prevedere le variabili

Prima di cominciare, ser Filippo stupisce tutti con un “dispositivo”, ovvero un documento nel quale stila il programma dei lavori comprensivo di indicazioni in caso di incidenti, variazioni ed aggiunte. Ad esempio rende la cupola predisposta anche all’esecuzione degli affreschi dell’interno, che di certo non riguardano Brunelleschi, che pittore non è. Ma l’architetto fa inserire lo stesso degli anelli di ferro per sostenere le impalcature sulle quali lavoreranno poi Giorgio Vasari (il pittore-storyteller) e Federico Zuccari. In altre parole, per rendere solida la cupola, Brunelleschi ha concepito un progetto resiliente.

Lezione #4: pensare ad un progetto non come un monolito, ma come un fascio di possibilità: non solo nella sua forma predefinita, o principale, o preferenziale (secondo certe necessità), ma come potrebbe essere “se”. Quindi fargli contenere la possibilità di cambiare, di adattarsi.

Sfida #5. Peso e leggerezza.

La mole della cupola, non determinata dalla volontà di Brunelleschi, è tale che, utilizzando tecniche tradizionali, non reggerebbe il suo peso. Per questo bisogna alleggerirla. Brunelleschi va a Roma a studiare “el modo de murari” degli antichi e torna ispirato con una serie di soluzioni rivoluzionarie (più che altro perché a Roma non aveva trovato una vera risposta). Così progetta una doppia cupola, a matrioska: quella interna, portante ma più piccola, regge quella esterna; le due sono legate fra loro da una serie di nervature che ne fanno un solo organismo. Nel mezzo un’intercapedine, e nell’intercapedine le scale per arrivare su fino alla lanterna.

Lezione #5: progetti grandiosi non richiedono necessariamente strutture pesanti. Anzi, più sono grandi più dovrebbero essere leggeri. Alleggerire non significa solo eliminare, ma anche spostare gli elementi incorporandoli in altri elementi. Assorbire, integrare, quindi razionalizzare, ottimizzare. Raggiungere la quadratura del cerchio.

Sfida #6. Necessità e responsabilità.

In quel cantiere enorme, bisogna portare calce, mattoni e pietre dalla base fin lassù. Cioè sul vuoto. Così l’architetto inventa macchine, ponti sospesi, gru, argani e congegni meccanici per il trasporto dei materiali fino alle altezze vertiginose della cupola. E non basta: si occupa della sicurezza dei suoi operai, inventando nuovi tipi di impalcature e procedimenti nuovi e più sicuri di lavoro.

Lezione #6: se non c’è uno strumento per soddisfare un bisogno e non se ne può fare a meno, bisogna inventarlo.

Sfida #7. Distrazioni del capo

Brunelleschi è consapevole che il suo progetto non è rivoluzionario solo a grande scala, ma comporta innovazioni anche man mano che si scende nei dettagli. Così non fa solo l’architetto, ma presidia continuamente il cantiere e arriva a controllare di persona i materiali e le malte. Penso che questo sia ciò che ha reso Steve Jobs una leggenda (e, prima di lui, Adriano Olivetti, che secondo me gli era anche superiore).

Lezione #7: chi ha in mente l’insieme deve dominare anche i dettagli. Non diventare manovale, ma capire il lavoro del manovale, i suoi limiti e le sue peculiarità. Aggregare conoscenze, raccordarle fra loro.

Sfida #8. Interno ed esterno

La calotta esterna, più sottile, protegge quella interna e si mostra al mondo; quella interna, più piccola e massiccia, ospita gli affreschi e sostiene quella esterna. Le due sono legate fra loro, come due amanti. Pertanto non esiste una reale separazione: la prima codetermina la seconda, e viceversa. Unità nel due, duplice natura dell’unità: questa è la forza della cupola (che cupola non è) del Brunelleschi.

Lezione #8: interno ed esterno non esistono. Svilupparli insieme anche se con competenze e persone separate. Non isolare interno ed esterno, involucro e contenuto. Sono solo termini di comodo, ma diventano facilmente scomodi (e pericolosi).

L’architettura delle strategie

Filippo Brunelleschi (scultura di Luigi Pampaloni, 1830. Firenze). Mi piace immaginarlo così, con gli strumenti di lavoro fra le mani ma con lo sguardo penetrante che osserva profondamente i fenomeni reali e la bocca dischiusa che sta per impartire un ordine lassù, nel cantiere sospeso sul vuoto, a 90 m di altezza.

L’avventura di Filippo Brunelleschi e del suo capolavoro è la testimonianza del fatto che l’architettura ha le sue strategie, e che la prima è tanto più di qualità quanto più le seconde sono lungimiranti e previdenti. Ma una strategia può avere una sua architettura? Io penso che l’esempio del maestro fiorentino dia implicitamente una risposta positiva, e che il suo approccio al lavoro e alla creatività sia molto simile allo User Experience Design. Lo UX Designer, infatti, crea rispettando una duplice serie di vincoli al contorno: da una parte gli utenti finali (quindi con una visione non appiattita, ma dinamica nel tempo), dall’altra i limiti di budget, gli obiettivi di business e le richieste della committenza. BTW: una splendida riflessione sullo UX Design si trova qui. Thanks Mike!

Ciascuno di noi, nel proprio lavoro, può sempre immaginare di essere questo tipo di architetto/UX Designer — che sia imprenditore, sviluppatore, pubblicitario o chef — come lo è stato Brunelleschi: un genio che ha saputo diventare, di volta in volta, anche ricercatore, muratore, capo cantiere, carpentiere, ingegnere, designer, responsabile della sicurezza e contabile. Grazie alla sua capacità di contaminarsi e di uscire dal seminato ha potuto superare tutte le sfide che egli stesso si era posto con il suo ardito progetto, indirizzando e controllando il lavoro delle altre figure coinvolte nella costruzione di quello che ancora oggi è il segno distintivo, ad un tempo, di una città, di un’epoca e di un genio.

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Francesco Panzetti

43 anni, napoletano. Creative Strategist & Copywriter @Food Stories Agency. Archeologo.