Fermare l’immagine

Corraini Edizioni
4 min readOct 1, 2015

di Bruno Munari

Questo testo e le immagini che lo accompagnano sono tratti da Fotocronache, di Bruno Munari, stampato per la prima volta nel luglio del 1944 per conto del Gruppo Editoriale Domus. Nel 1997 viene riedito da Corraini Edizioni.

Lo scopo di ogni artista poeta pittore scultore e via dicendo è (già ve lo dissi al tempo degli aranci) quello di fermare l’immagine. Qualsiasi mezzo è utile: il pennello, lo scalpello, il pennino, la macchina fotografica. Ignoriamo per un momento la scultura, attenzione: un uomo si presenta, egli ha in mano un rozzo martello e uno scalpello, dice che con quei due arnesi farà dell’arte, dei capolavori. Tutti guardano lo scalpello, poi il martello e sorridono. L’uomo viene accompagnato con molta cortesia all’uscita. Era Michelangelo. Ma ognuno ha le sue idee e anche tra i fotografi le opinioni sono diverse.

Ecco il classico «gruppo». I fotografi di professione amano questa composizione alla Campigli (o viceversa?). Guardateli bene in viso, le stesse espressioni le trovate oggi nelle fotografie dei «laureandi».
Questa invece è la «fotocronaca» vera e propria. In questo caso non si può studiare l’inquadra-tura o la precisa messa a fuoco. Quello che conta è che il macchinista rientrando a casa, non ha messo in deposito la locomotiva.

Chi giura sulla fotografia «artistica» imitando la pittura; chi sulla fotografia giornalistica, sul «documento», lasciando da parte ogni legge armonica di composizione, di rapporti tra bianchi e neri ecc.; chi sventola la fotografia tecnicamente perfetta dove, puoi essere tranquillo, è a fuoco anche l’esofago della persona ritratta. Anche in questo campo ci sono i romantici, i futuristi, gli svaporati. Anche qui come in pittura ci sono le reazioni: abbiamo visto in un certo periodo di tempo i fotografi ritrarre solo particolari, primi piani, andare con l’obiettivo a pochi centimetri dal soggetto, era il periodo delle pere, delle mani enormi, dei visi che non stavano nel formato, dopo questa invasione vennero le prime fotografie panoramiche, sterminate pianure, cieli immensi pieni di nuvole e uccelli, una fotografia all’infrarosso meritava il primo premio. Poi il fotografo si ubriacò di stile 900, le immagini apparvero in diagonale, prese dal basso in alto o viceversa, alle mostre di allora si vedevano le persone pendere da tutti i lati come torri di Pisa (durante tutto questo tempo possiamo osservare però i dilettanti imperterriti fotografare, e chissà per quanto tempo ancora, il bambino col cappello e gli occhiali del nonno, e giù risate!).

Questa è la fotografia tipo «industriale». Un chiodo in fondo al salone è anche lui a fuoco. La tecnica ama la tecnica.
Ecco il «particolare», il «primo piano» che mandava in sollucchero gli assidui del Circolo Fotografico. Di fronte a questo genere di foto sentirete parole come: Elmar Summitar, tre otto, lente addizionale, filtro, ecc. ecc. ecc.

Adesso è l’epoca dei «barboni» e l’obiettivo non vede altro che straccioni in tutte le «pose», possiamo dunque dire con certezza che fra non molto vedremo la macchina fotografica orientarsi verso i campi di golf, i grandi teatri, gli ippodromi. E invece? Invece la fotografia non deve imitare la pittura (quando riusciremo a togliere all’uomo questo ridicolo attaccamento a forme consuete, vi ricordate le prime automobili che dovevano sembrare carrozze? quanta lentezza ahimè, quanta lentezza). Non eliminate nella fotografia ogni linea armonica, ogni composizione, ogni equilibrio di forme, e non seguite le mode, per favore, altrimenti avremo a ondate migliaia di fotografie uguali. Cerchi invece ogni fotografo di esprimere se stesso, di scoprire qualcosa nella natura (altro qui pro quo, ragazzi, chissà quanti leggendo la parola «natura» penseranno subito a vacche all’abbeveratoio o a tramonti dietro le vele, mentre «natura» è anche una scarica elettrica, il bacillo di Koch, un pensiero astratto, un sogno, un diavolo che ti porti. Beh, andiamo avanti), pensi che la macchina fotografica non è altro che un pennello rapidissimo, un pennello che se lo avesse avuto in mano il buon Leonardo da Vinci chissà che fotocronache sull’anatomia umana, per esempio, ci avrebbe trasmesso. Pensi che una fotografia ben riuscita vale un racconto e qualche volta anche una poesia. Che per le immagini non ci sono analfabeti, che la fotografia è un linguaggio universale che non ha bisogno di essere tradotto in croato e nemmeno in mancese, e con tutti questi graziosi pensierini, carichi la sua macchina e vada. Vada, buon uomo, vada.

Eccoli i fotocronisti, ragazzi. I direttori dei maggiori giornali del mondo (e con loro il pubblico) aspettano di vedere la foto sensazionale. Ma spesso i fotocronisti sono dei distrattoni. Uno fa tutte le foto, spara i lampi di magnesio e quando ha finito si accorge, per esempio, che non aveva estratto l’obbiettivo. Molte volte la foto sensazionale è una combinazione. Questi fotocronisti, intanto, non si sono accorti di avere sbagliato indirizzo! Che qui pro quo! Che qui pro quo. Proprio qui.

--

--

Corraini Edizioni

Italian publishing house bandying between art and books. Design, contemporary art & children’s books.