Attraverso tre fotografie riviviamo l’esperienza di Camilla a Valencia.

L’esperienza dell’Erasmus è molto diffusa ma, al tempo stesso, particolare e singolare per chiunque la viva. Camilla ha scelto di condividere con noi, attraverso tre fotografie e rispondendo ad alcune nostre domande, il suo periodo di permanenza a Valencia.

ErasmusVox
7 min readFeb 11, 2016

Come ti chiami? Cosa studi e dove?

Mi chiamo Maria Camilla Chiaruttini e sono una studentessa del secondo anno del corso di laurea specialistica in Economia e Gestione dei Beni Culturali e dello spettacolo, indirizzo Economia E Gestione Dei Musei E Degli Eventi Espositivi, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Dove hai fatto l’Erasmus? In che periodo? Perché hai scelto questa meta?

Ho trascorso il secondo semestre del primo anno della specialistica (anno accademico 2014/2015) presso l’Universidad Cardenal Herrera Ceu, di Valencia (Alfara del Patriarca-Moncada).

Gli obiettivi che volevo raggiungere, trascorrendo un anno un’ università estera, erano quello di apprendere il più possibile di una cultura, vivere a contatto con persone di tutto il mondo e, soprattutto imparare una nuova lingua.

I criteri, quindi, per la scelta della destinazione sono stati principalmente due: rimanere in Europa e migliorare o lo spagnolo, avendo fatto un corso durante la laurea triennale, o l’Inglese.

L’offerta delle destinazioni in Europa in lingua inglese, per la mia facoltà, era molto ridotta di conseguenza ho deciso di immergermi totalmente nella cultura Spagnola.

Frequentando un corso che unisce lettere, arte ed economia era difficile trovare un corso di laurea che rispondesse esattamente alle esigenze del mio piano di studi, per questo motivo la scelta dell’università di Valencia è stata non è stata frutto di un’analisi accurata dei corsi offerti. Ho scelta Valencia perché era una città in cui non ero mai stata (e perché l’alternativa era Valladolid!)

Raccontaci la tua esperienza attraverso tre fotografie che la possono racchiudere.

Una cosa che non è mai mancata nei cinque mesi che ho trascorso a Valencia è stato il CIBO!

In Spagna si può trovare da mangiare in ogni angolo, in ogni bar ed a ogni ora e tutto incredibilmente buono (e fritto!). A Valencia ovviamente la Paella è la regina!

Essendomi trovata a combattere con le cucarachas (scarafaggi) che popolano la città di Valencia (e la mia cucina), nei mesi più caldi ho escogitato diversi piani per trascorrere il minor tempo possibile a cucinare con il risultato che i bar ed i ristoranti nel circondario sono diventati la mia seconda casa!

Attorno a questo tavolo sono riunite persone da Italia, Belgio, Austria, Germania, Repubblica Ceca, Francia. Sono le persone che hanno reso indimenticabile la mia esperienza e che porterò sempre nel cuore, con tutte le loro esperienza e le loro vite. A questa foto tengo particolarmente: era la mia ultima sera a Velencia, avevo l’aereo cinque ore dopo, eravamo tutti distrutti dalla festa “di addio” che avevamo fatto la sera prima e, soprattutto, è la prima foto in cui ci siamo (quasi) tutti! ( dopo cinque mesi è stato un successo!).

Las torres de Serranos, è uno dei punti in cui si può vedere Valencia dall’alto ed è una tappa fondamentale nella visita di Valencia. Era dietro casa mia e ci passavo sempre sotto andando al parco a correre, a fare pic nic e a prendere il sole. È uno dei luoghi che preferivo di più della città. Quella nella foto è la mia coinquilina francese Marion.

Quali sono le principali differenze tra il sistema scolastico del paese che ti ha ospitato e quello da cui provieni?

La principale differenza che ho notato è stato l’approccio alla materia e allo studio. In Italia, almeno per la mia esperienza, la frequenza alle lezioni, oltre alla personale decisione di frequentare perché interessati alla materia, ha spesso come fine la riduzione del programma. Questo di traduce anche in una professore-alunni unilaterale, in cui gli studenti ascoltano e non interagiscono nella lezione.

Nei corsi che ho frequentato, per quanto possibile, la presenza in classe non era solamente fine a se stessa ma durante le lezione veniva richiesto l’intervento e la partecipazione di tutti, l’elaborazione di progetti, presentazione ecc.. durante tutta la durata del corso e non solamente per l’esame. Questo stimolava la condivisone di idee e rendeva sicuramente più interessante e stimolante la materia.

Sicuramente per uno straniero questo approccio crea più difficoltà nel primo periodo ma, per esempio nel mio caso, questa costante necessità di parare, scrivere e interagire con i miei compagni di corso mi ha permesso di praticare la lingua si nello scritto che nel parlato in un contesto più formale.

Insegnare in Europa sembra essere considerato un ‘lavoro da donne’, in base agli ultimi dati provenienti da Bruxelles; ti senti di confermare questa visione?Pensi, in generale, che in Europa ci siano differenze tra le opportunità lavorative offerte a uomini o donne?

Personalmente non ho notato una presenza così forte di donne nell’università Cardenal Herrera. La percentuale di donne che insegnavano era molto simile a quella che si vede in Italia normalmente.

Non credo che ci sia una differenza così ampia tra uomo e donna ormai, in tutta Europa. Ci sono ovviamente lavori fatti principalmente da uomini ma non credo perché le donne non siano ammesse a quei lavori ma perché scelgono di non farli. Direi piuttosto che esistono ancora delle zone in cui la figura della donna “tradizionale” è ancora radicata nella cultura della popolazione e quindi c’è una prevalenza di casalinghe e altre zone in cui questo fenomeno è meno evidente. Però non credo ci sia ormai una discriminazione nell’offerta di lavoro. Vediamo donne al potere, donne a capo di imprese, insegnati, commercianti, al mercato che vendono il pesce. Fermo restando che sono ancora molto rari gli uomini che scelgono di non lavorare e affidare la propria famiglia al lavoro della compagna/moglie. Tutto questo penso sia più dettato dalla nostra cultura che dalle opportunità offerte dal mercato del lavoro.

Con che aspettative sei partito? Con quali idee sei tornato?

Come dicevo prima il mio obiettivo era quello di imparare una lingua che ho sempre amato e questo è stato quasi immediato, dopo un mese ho cominciato a sentirmi molto sicura nell’esprimermi e nel relazionarmi con gli altri.

Quello che mi aspettavo era incontrare persona da tutto il mondo, con le loro storie, le loro esperienza, le loro culture e personalità completamente diverse dalle mie e imparare il più possibile da loro.

Ciò che ho portato con me quando sono salita sull’aereo di ritorno sono infatti i miei amici. La cosa più importante dell’Erasmus non solo i corsi che segui, i voti che prendi, i luoghi che visiti ma le relazioni umane che si creano, lo scoprire una città straniera con gli occhi di tutta l’ Europa, i ricordi che si creano e le esperienze che si vivono e che non potranno essere mai più essere vissute, il condividere le stesse paure e le stesso difficoltà, pensare di essere diversi e poi ritrovarsi ad essere tutti uguali, incontrare persone solo per una sera e ricordarle per sempre.

Le feste ed il divertimento che sono ciò per cui l’Erasmus è tanto famoso è solo il mezzo e l’occasione per vivere un’esperienza indimenticabile.

Sono partita con la paura di trovarmi sola in un paese straniero, di non riuscire a studiare, di non imparare la lingua, di non trovare la casa e di non conoscere persone interessanti e sono tornata con la consapevolezza che finché non ci si butta in ciò che ci fa paura non si potrà mai vedere cosa c’è oltre. Ora sono più forte e sono pronta a correre più rischi di quanto non facessi prima.

Cosa ti ha lasciato (positivo/negativo) il paese in cui sei stato/l’esperienza che hai vissuto e che ti porterai dietro per sempre?

La Spagna è un paese meraviglioso. È caldo, accogliente, sorridente. Per le strade c’è sempre musica, persone che cantano, che festeggiano. Questa allegria la porterò sempre con me. Come mi porterò nel cuore l’esperienza in generale.

La sensazione che si prova in Erasmus è quella di essere in una bolla nella quale tutto è concesso. Si ha questa sensazione che tutti i problemi e decisioni possano essere rimandati più avanti e si entra in una dimensione che è difficile da comprendere da chi non sta vivendo quell’esperienza con noi.

Si è in un paese straniero, con persone che non si conoscono ma che nel giro di pochi giorni diventano i tuoi migliori amici, non sei nella tua università ma è come si fossi stata sempre li, non è la tua città ma percorri quelle strade sentendoti a casa. Si vive in un’ euforia generale, in cui ogni giorno è in movimento, ogni giorno è un altro giorno che passa nel tempo limitato che si ha e che quindi deve essere vissuto al massimo.

Tutto questo si interrompe quando si torna a casa. Si torna in una realtà familiare in cui, però, sembra non sia cambiato niente. Dopo un po’ ci si abitua a tutta quella normalità e ci si sente a casa ma non si dimentica mai quell’euforia, quelle esperienze, quelle persone, tutto quel movimento e ci si rendere conto che non è la realtà intorno che sembra essere sempre la stessa ma siamo noi che abbiamo bisogno di tempo per riuscire a fermarci.

--

--