Il mercato globale, la produzione e il consumo di massa

pia
11 min readJan 26, 2018

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Segue da:
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La società della conoscenza: contributi sociologici

Quando si parla di mercato globale si intende un sistema di reciproche interdipendenze, flussi e scambi tra differenti mercati.
Il mercato è un sistema costituito da due componenti principali: una domanda e un’offerta che si incontrano. La domanda è costituita dalle persone o dalla contingenza per cui si debba soddisfare un bisogno, o un’esigenza e si sia disposti a pagare per ottenere il soddisfacimento di tale necessità. L’offerta è composta da tutti quegli attori che son disposti ad accettare somme di denaro in cambio della fornitura di un bene o di un servizio a chi ne fa richiesta. Entrambe le componenti possono essere, sia attuali, sia potenziali, ossia può esservi una reale e presente richiesta, o un’offerta, così come si può ipotizzare che, in futuro, vi sarà una richiesta, o offerta, di un particolare bene o servizio.

È importante tenere in considerazione la componente potenziale poiché i mercati sono sempre in incessante evoluzione e l’attuale mancanza di richiesta, o offerta, di un determinato bene o servizio non implica che, in futuro, tale domanda, o offerta, possa o debba essere soddisfatta. In sintesi: «il mercato è dato dal complesso di persone e/o situazioni attuali o potenziali in cui il prodotto può soddisfare una o più esigenze» (Kotler & Trias de Bes, 2004, p.15).

Al fine di dipanarsi al meglio tra la molteplicità di domanda e d’offerta, ed essendo il mercato un’entità profondamente complessa ed articolata, si sono sviluppate nel corso degli anni diverse tipologie di approccio strategico, tra cui il posizionamento e la segmentazione. Quest’ultima, ossia la suddivisione dei mercati in gruppi omogenei di individui con tratti caratteristici simili verso i quali dirigere le azioni mirate di marketing, sino ad arrivare a una ipersegmentazione, con la creazione di prodotti unici, personalizzati e individuali, si è trasformata con l’andar del tempo in approcci poco remunerativi per le aziende e progressivamente aleatori. Il cosiddetto posizionamento, ossia il raggiungimento di una precisa collocazione nella mente del consumatore, risulta invece essere ancora importante nelle scelte di marketing delle diverse aziende, malgrado i cambiamenti avvenuti, soprattutto per ciò che concerne l’ambito digitale.

Già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, con l’avvento della seconda rivoluzione industriale, per poi affermarsi definitivamente negli anni del cosiddetto boom economico, si assistette alla nascita della produzione e del consumo di massa. Ciò avviene grazie anche all’utilizzo di nuovi materiali (come l’acciaio, i prodotti chimici e il petrolio), all’introduzione di sistemi di produzione di tipo intensivo (relativi alla diffusione e all’utilizzo dell’elettricità e, più recentemente, delle tecnologie elettroniche e digitali derivate anche dal progresso scientifico), nonché all’intensificarsi dello sviluppo dei sistemi di comunicazione e di trasporto.

La produzione e il consumo di massa, che vedono la propria nascita all’inizio del Novecento nelle catene di montaggio della Ford con l’autovettura Modello T, oltre alla produzione massiva, ripetitiva e, in serie di prodotti standardizzati, si configurano anche grazie alla progressiva capacità di acquisto delle masse, generata dalla crescita dei redditi dei cittadini/operai che diventano consumatori di tali beni. I consumatori non acquistano solo più le merci per necessità, ma anche per riconoscersi in essi e creare la propria identità sociale; in altre parole, tali beni sono acquistati in qualità di status symbol. Di conseguenza, le caratteristiche di un prodotto non dipendono unicamente dalla sua funzione e dal suo costo, ma anche da ciò che rappresentava simbolicamente.

Soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, si afferma dunque quel fenomeno economico e sociale definito genericamente consumismo: esso consiste nell’acquisto indiscriminato di beni da parte di una massa, sia per fare fronte alle proprie necessità di sopravvivenza, sia per soddisfare bisogni di tipo fittizio. Da questi fattori dipese il complessivo aumento della domanda di beni di prima necessità, come il cibo, ma anche e soprattutto l’ascesa della produzione e del consumo di beni come automobili o abbigliamento, che comporta l’arricchimento dei Paesi produttori. Tenendo poi conto di questo scenario produttivo e consumistico è facile comprendere come si sia giunti al fenomeno della saturazione dei mercati, intesa come iper-produzione dei beni e relativo iper-consumo degli stessi, sino a giungere all’attuale situazione di crisi e di iper-competitività. È proprio in questo scenario che i paradigmi del marketing tradizionale iniziano a diventare sempre meno incisivi e profittevoli: il ciclo diventa dei prodotti è sempre più breve e i mercati risultano saturi. In questa situazione è difficile individuare con precisione i target di riferimento e, per quanto le aziende possano utilizzare strategie di posizionamento, segmentazione e differenti combinazioni del marketing mix, al fine di allargare la propria presenza e le vendite, proponendosi su diversi mercati e aumentando l’efficacia della propria azione sui consumatori, spesso tutto ciò non è sufficiente.

Un’altra criticità consiste nella creazione di prodotti realmente innovativi, che rendano obsoleti e sostituibili quelli già in possesso dei consumatori e che, al contempo, soddisfino anche le esigenze reddituali aziendali, senza dimenticare il ruolo degli investimenti promozionali necessari per poter emergere, posizionarsi, distinguersi e restare sul mercato. Da tutto ciò emerge la centralità e l’importanza progressivamente ricoperta dal consumatore finale che ha assunto un ruolo sempre più attivo nei consumi, soppiantando l’identità passiva che lo caratterizzava in passato.

L’uomo-consumatore contemporaneo e il suo comportamento

Facendo riferimento alla definizione di consumo, intendendolo quindi come un «processo o atto mediante cui i beni economici sono utilizzati e, nel caso di beni materiali, integralmente o parzialmente distrutti per appagare un bisogno (c. di godimento), o per produrre nuovi beni (c. produttivo o riproduttivo)» (Enciclopedia Treccani online, 2017), appuriamo che il consumo sia la conseguenza del bisogno, individuale o collettivo.
A tal proposito, non sorprende riscontrare nuovamente nella letteratura filosofica classica dei chiari riferimenti al concetto di bisogno. Infatti, ne La Repubblica, Platone afferma, denotando il carattere utilitaristico dell’aggregazione tra le persone: «Uno Stato nasce perché ciascuno di noi non basta a sé stesso, ma ha molti bisogni […] Così, per un certo bisogno ci si vale dell’aiuto di uno, per un altro di quello di un altro: il gran numero di questi bisogni fa riunire in un’unica sede molte persone che si associano per darsi aiuto, e a questa coabitazione abbiamo dato il nome di Stato (polis). […] (Dal) primo e maggiore bisogno che è quello di provvedersi nutrimento per sussistere e vivere […] ecco dunque che carpentieri, fabbri e molti gli altri simili artigiani verranno a far parte del nostro staterello e lo renderanno popoloso e non sarebbe ancora troppo grande se vi aggiungessimo bovai, pecorai e le altre categorie di pastori» (Platone, 2000, p. 78). Platone tuttavia non si ferma alla semplice descrizione della nascita dello Stato quale soddisfacimento reciproco dei bisogni primari, ma fa un passo in avanti, inserendo anche quelli afferenti alla cosiddetta “società opulenta”, definita dall’autore come «Stato gonfio di lusso»: questo tuttavia «forse però non è un male, perché così vedremo probabilmente come nascono negli Stati giustizia e ingiustizia» (Ibidem, p. 80), due concetti che derivano inevitabilmente da un conflitto, a sua volta generato dalla necessità di «prenderci una porzione del territorio dei vicini se vorremo avere terra sufficiente per pascolare e arare e soddisfare quindi i bisogni non sempre primari ma sempre più crescenti della popolazione della polis e del potere dello Stato e dei suoi abitanti» (Ibidem, p. 81).

Preso atto di ciò, non stupisce riscontrare, ben prima dei fenomeni massicci di globalizzazione e di consumo di massa, ma dopo l’avvio dei processi capitalistici, già a fine Ottocento, teorie che si basano fondamentalmente sulla conflittualità dell’essere contempo-raneamente umani e consumatori. Questo non avviene necessariamente in una dimensione di contrasto tra diversi Stati, ma in una nicchia frammentata all’interno dello Stato stesso, ossia all’interno di gruppi sociali caratterizzati da tratti comuni e non avviene necessariamente per questioni utilitaristiche.
È il caso de La teoria della classe agiata del 1899, in cui l’economista e sociologo statunitense Vleben descrive il comportamento di emulazione delle classi meno abbienti rispetto a quelle più facoltose, vistose, opulente e appariscenti nell’America dell’Ottocento. È mediante il “confronto antagonistico” che le classi meno abbienti aspirano a standard di “agiatezza vistosa” e ad appartenere alla classe agiata, al fine di migliorare ed elevare il proprio status sociale.

Similmente, ne la Filosofia del denaro (1907), il sociologo tedesco Simmel mette in luce come, progressivamente, il valore delle cose dipende non più dalle sole qualità materiali e dalla forza lavoro impiegata per realizzarle, bensì dalla valutazione (giusta o sbagliata che sia) che ne fa il soggetto. In un altro saggio, La moda (1895), Simmel eleva a prototipo tale comportamento, evidenziando come in esso si sintetizzino due aspetti opposti: da un lato, il desiderio di appartenenza a un gruppo sociale (di medio-alto rango) e, dall’altro, la differenziazione, tale da produrre un’identità all’interno dello stesso gruppo sociale, in un susseguirsi di “ancoraggi provvisori” che avvicinano l’individuo al gruppo pur mantenendo una certa distanza. La moda, inoltre, agisce per imitazione dall’alto verso il basso e, per via di un effetto di trickle down, influisce sugli acquisti delle classi inferiori che, una volta adeguatesi alla temporaneità, inducono la classe più alta a distanziarsi da loro, appropriandosi di nuovi modelli.

Il carattere dimostrativo del consumo e del condizionamento che esso subisce a seconda delle persone con cui si entra a contatto, in un’ottica di privazione relativa che genera insoddisfazione, è al centro anche della teoria dell’economista Duesenberry (1949): il fatto che i consumi derivino da un tentativo continuo di minimizzare il distacco dovuto alla stratificazione e diversificazione tra le diverse classi comporta che alla base sia presente una disuguaglianza sociale; ciò comporta effetti, non solo sul profilo economico, ma soprattutto su quello sociale, etico e politico (Variato, 2010, pp. 6–8).

Sempre sulla scia del “confronto antagonistico” vlebeniano lo psicologo e sociologo statunitense Leon Festinger (1950) pubblica il saggio Social Pressures in Informal Groups: A Study of Human Factors in Housing in cui sostiene che l’individuo, mosso dal ridurre le discrepanze mediante la comunicazione strumentale all’interno del gruppo di cui fa parte, valida il proprio comportamento e le proprie opinioni in base a quelle della realtà sociale a cui appartiene. Un ulteriore sviluppo di questa teoria è riscontrabile nel saggio del 1954 intitolato A Theory of Social Comparison Processes, in cui Festinger, partendo dal presupposto che l’essere umano non possiede mezzi oggettivi per valutare la propria identità, la calibra mediante il confronto sociale. Quest’ultimo, tuttavia, non avviene in modo indiscriminato, ma, generalmente, verso un gruppo di riferimento tendente verso l’alto, ma solo sino ad un certo punto, ove il confronto con determinati individui diventa deleterio, ostile, discreditante e pertanto viene abbandonato. Festinger può essere inoltre ricordato per la cosiddetta teoria della dissonanza cognitiva (1957), ossia quella situazione per cui un individuo si trova ad avere due cognizioni opposte tra loro che lo spingono a cambiare idea, o corso d’azione, o quant’altro, al fine di ridurre la discrepanza e ristabilire l’equilibrio.

È del 1968 il saggio Il sistema degli oggetti di Jean Baudrillard in cui il filosofo e sociologo francese fa leva sul passaggio dall’aspetto simbolico degli oggetti a quello di segno: il consumo infatti non è più solo limitato al soddisfacimento dei bisogni primari, ma è rivolto al dépense, ossia la ricchezza ostentata, che comporta la distruzione del valore proprio economico del bene in luogo di qualcos’altro, il segno per l’appunto, un carattere astratto che permette all’individuo di uniformarsi al gruppo: «Si gode da soli, ma quando si consuma non lo si fa mai da soli; si entra in un sistema generalizzato di scambio e di produzione di valori codificati, dove tutti i consumatori, a dispetto di se stessi, vi sono reciprocamente implicati». In sostanza, non avviene il consumo dell’oggetto in sé, quanto l’oggetto in sé veicola, in quanto segno, l’appartenenza ad un determinato gruppo e al contempo della differenziazione sociale e il consumo diventa linguaggio (Ragone, 1977).

Ma è sul concetto di bisogno che si sviluppa forse la più celebre delle teorie sull’uomo-consumatore, quella dello psicologo statunitense Abraham Maslow. Egli, infatti, nel 1954 pubblica il saggio Motivation and Personality all’interno del quale presenta la famosa gerarchia dei bisogni, che rappresenta l’evoluzione della teoria sulla motivazione, sviluppata nel 1943 nel saggio A Theory of Human Motivation. Tale gerarchia consiste nella trasposizione grafica dei bisogni che definiscono l’uomo mediante uno schema piramidale (quindi gerarchico), conosciuto anche come “piramide di Maslow”.

Piramide di Maslow.

Essa è costituita da cinque tipologie di bisogni che spaziano dalle necessità primarie e fisiologiche (legate alla sopravvivenza dell’individuo) sino a giungere ai livelli più alti dove troviamo gli obiettivi di autorealizzazione (relativi alla realizzazione individuale nella sfera sociale). In particolare:

  • alla base della piramide troviamo i bisogni fisiologici, ossia quelle necessità primarie senza le quali l’individuo non potrebbe sopravvivere: bisogno di respirare, di alimentarsi, di bere, ecc.;
  • al secondo livello troviamo i bisogni di sicurezza, che coinvolgono la protezione fisica, la certezza di occupazione, la garanzia di possedere delle risorse, la tranquillità di possedere una moralità, una famiglia, la salute e la certezza di possedere delle proprietà;
  • al terzo livello vi sono i bisogni legati alla sfera affettiva e di appartenenza: amicizia, famiglia e il partner sessuale;
  • al quarto livello troviamo i bisogni di stima e di successo: l’autostima, l’autocontrollo, la realizzazione personale e il rispetto verso di sé e verso gli altri;
  • in cima alla piramide sono presenti i bisogni di autorealizzazione, ossia di affermazione soddisfacente della propria individualità all’interno di una sfera sociale: moralità, creatività, spontaneità, capacità di risolvere problemi, accettazione della realtà e assenza di pregiudizi.

Tutti questi livelli sono strettamente correlati tra loro: infatti, secondo la teoria di Maslow, il passaggio ai bisogni superiori di questa piramide avviene unicamente nel momento in cui quelli del livello inferiore sono stati completamente soddisfatti.

Se la piramide di Maslow è caratterizzata da una progressione graduale e strettamente gerarchica nel soddisfacimento dei bisogni, quella di Clayton Paul Alderfer, elaborata nel 1969 sulla scia delle riflessioni maslowiane e denominata ERG: Exisence, Relatedness and Growth [1], è definita dalla simultaneità dei bisogni e dalla possibilità di poter regredire verso livelli di soddisfacimento di un livello inferiore secondo il principio di frustrazione e regressione.

Gerarchia ERG.

In questo caso, si distinguono tre classi fondamentali di bisogni:

  • bisogni di esistenza, ossia bisogni fisiologici e di sicurezza, corrispondenti ai primi due livelli della piramide di Maslow;
  • bisogni di relazione, ossia i bisogni di affetto e di stima personale e sociale, corrispondenti al terzo e quarto livello della piramide di Maslow;
  • bisogni di sviluppo, ossia bisogni di autorealizzazione e di autostima, corrispondenti al quarto e quinto livello della piramide di Maslow.

La gerarchia di Maslow, seppure non scientificamente comprovata, trova ancora oggi un notevole riscontro nella letteratura scientifica, malgrado i costumi e la società siano notevolmente cambiati. Infatti, già alla fine degli anni Settanta si faceva strada l’idea secondo cui, a livello globale, vi fosse una grande frattura tra Paesi sviluppati e quelli, all’epoca, ancora in fase di sviluppo. Nel saggio del 1977 The Silent Revolution (1977) e nel libro Culture Shift in Advanced Industrial Society (1989), il politologo e sociologo americano Ronald Inglehart, grazie ad una serie di indagini svolte tra il 1970 e il 1988 e volte ad analizzare i cambiamenti sociali e culturali delle generazioni più giovani in ottanta Paesi, illustra come vi sia un notevole divario tra bisogni delle “società materialistiche” e quelli delle “società post-materialistiche”. Le prime corrispondono a quelle società che devono ancora soddisfare i bisogni fisiologici e di sicurezza della piramide maslowiana (per lo più presenti nei Paesi in via di sviluppo); le seconde sono società i cui bisogni primari sono già soddisfatti e dati per garantiti, in luogo di una maggiore concentrazione verso la soddisfazione dei bisogni di appartenenza, stima e autorealizzazione.

Mappa culturale del mondo di Inglehart e Welzel.

In quest’ultimo contesto si è sviluppato il tipo di uomo-consumatore contemporaneo: questi non ha unicamente necessità di soddisfare i bisogni primari, ma può spesso concedersi di affermare la propria identità nella sfera sociale, anche grazie ai prodotti che decide di acquistare. Il consumatore contemporaneo si differenzia dai propri predecessori per la molteplicità di offerte tra cui può scegliere attentamente e criticamente, grazie anche a un livello di istruzione più elevato e alla maggiore possibilità di acquisire informazioni su diverse piattaforme.

Note:

[1] La teoria ERG di Clayton il C. P. Alderfer è un modello comparso nel 1969 nella recensione psicologica intitolata An empirical test of a new theory of human needs (Una Prova Empirica di una Nuova Teoria dei Bisogni Umani).

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