Diario di un fuori sede: la matricola punk

LabUNDER
4 min readSep 3, 2018

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È consigliato leggere questo articolo con l’album “Fresh Fruit for Rotting Vegetables” dei Dead Kennedys di sottofondo.

Bologna, settembre 2011
Prendo un respiro profondo. Sono appena atterrato al Marconi. C’ero già stato qualche mese fa con papà, ma adesso sono solo, sono LIBERO!
Durante quel viaggio con papà mi ricordo che ero passato dal 36 di via Zamboni, per i test e per vedere qualche annuncio di case in affitto. In mezzo al caos delle future matricole di Scienze della Comunicazione, avevo notato alcuni studenti della biblioteca con delle magliette con i loghi dei Dead Kennedys e degli Adolescents, in più c’erano dei manifesti per dei concerti dei Cockney Rejects e di una cover band dei Sex Pistols al Laboratorio Crash. Punk, finalmente, punk SERIO! In Sicilia ascoltano solo quello schifo della reggae o la dancehall, qui avrei trovato, finalmente, dei miei simili.

Scendo dall’Aerobus Aeroporto-Stazione e mi dirigo verso l’indirizzo, “via Malaguti”, scritto sul foglio, aiutandomi con la mappa comprata dal tabaccaio. L’indirizzo è quello di Samuele, un mio compaesano che proprio quest’anno comincia Ingegneria Civile, conosciuto tramite mia zia, che è amica di sua madre. Samuele non era sembrato molto socievole nelle poche volte in cui l’avevo incontrato precedentemente, ma speriamo che abbia voglia di andare ai concerti punk o semplicemente di uscire a conoscere ragazze. Arrivo all’ultimo piano dell’appartamento indicato sul foglietto per farmi ospitare qualche giorno da lui, in attesa di trovare una stanza tutta mia. Qualche settimana prima, Samuele mi aveva dato anche alcuni nomi di siti per cercare quella benedetta stanza — che, a detta sua, è difficilissima da trovare, a Bologna — siti che non avevo mai sentito nominare: Bakeca, Kijiji e Easystanza. Speriamo bene.
Samuele mi fa entrare, mi stringe la mano. Sembra più socievole dell’altra volta: mi fa accomodare in camera sua. “Ci sono sette stanze”, dice, “e due di esse sono doppie, per un totale di nove coinquilini“, cosa che farebbe impallidire qualsiasi ispettore della Guardia di Finanza. Io mi butto subito, forte dell’ospitalità di Samuele, a cercare una sistemazione vera, ma fortuna vuole che si liberi una singola proprio in quel gigantesco appartamento non esattamente in regola di via Malaguti: quella sarà la mia casa per tutto il mio primo anno accademico.

Le settimane, essendo salito molto prima dell’inizio delle lezioni e non conoscendo nessuno a Bologna, scorrono lente e noiose, con qualche giro in via Zamboni con Samuele, a guardare con invidia la gente che si diverte e che si ubriaca in via Petroni.

Passo anche molte nottate davanti al computer, col famigerato Facebook: social network che avevo scoperto da poco e che avevo cominciato ad usare per tenermi in contatto con gli amici del Liceo.

Lunedì 19 settembre: finalmente, comincia l’anno accademico a Scienze della Comunicazione, con la prima lezione di Geografia Culturale del famoso professore Franco Farinelli, luminare di livello internazionale e presidente dell’Associazione dei geografi italiani.

“E se non avessi fatto la scelta giusta? Dovrei forse tornare a casa dai miei? E se magari l’Università non fa per me? E se i compagni di Università non mi accettano? Forse farei meglio a scappare, sono ancora in tempo”. Questi erano tutti i pensieri che mi frullavano per la testa prima di varcare il cancello di via Azzo Gardino dove, alla mia vista, si ergeva un ammasso di ragazzi che, con il loro chiacchierare, facevano un rumore allucinante.
Sembravano essere già riusciti a socializzare. Dannazione, forse ero arrivato troppo tardi. Forse non mi sarei mai fatto degli amici.
Entriamo tutti nell’Aula A, siedo da solo. Farinelli esordisce con una frase abbastanza emblematica: “Voi di Comunicazione il lavoro dovrete inventarvelo”. “Vabbé, a me basterebbe passare qualche esame e conoscere qualcuno, qui”, penso.
Ed è a mezz’oretta dall’inizio della lezione che sento qualcuno toccarmi il braccio e rivolgermi la parola:“Scusa, potresti spostare il giubbotto? Quello accanto a te è uno dei pochi posti liberi”.
È un ragazzo col baffetto e con un accento che non ho mai sentito, lo faccio accomodare.
Si siede. “Ma quello è il logo dei Dead Kennedys! Non mi dire che ti piace il punk anni ‘80”, esclama il ragazzo, fissando il mio scarabocchio sul quaderno degli appunti.

Ancora non lo so e lui non lo sa neanche, ma quel tipo col baffetto e con l’accento strano — marchigiano, per la cronaca; non è così strano, lo so, ma pensate quanto potesse essere di larghe vedute un ragazzino che fino ad allora al massimo era stato a Taormina — sarà il mio compagno di concerti, di avventure e di bevute per molti anni.
Forse questa Bologna non sarà poi così male.

Articolo di Antonino Giurdanella

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18 ragazze e ragazzi, Bologna e il racconto inedito dell'attivismo civico e culturale dei suoi abitanti.