Strumenti di didattica digitale on-line: il corso “Storia e memoria delle deportazioni”.

Laboratorio Lapsus
18 min readApr 4, 2020

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Oggi, 75 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, la maggior parte dei sopravvissuti ai campi di concentramento non è più con noi. Questo, pur rispondendo a un ciclo “normale” di vita umana, è tuttavia irto di conseguenze per il discorso pubblico memoriale italiano, proprio a causa del complesso rapporto esistente tra la memoria dei sopravvissuti e la narrativa storica “ufficiale” e richiede uno sforzo ulteriore per progettare una nuova dimensione di didattica e di diffusione delle testimonianze dei sopravvissuti che possa continuare ad avere incisività.

Questa necessità, estremamente sentita all’interno di ANED — Associazione Nazionale Ex Deportati — ha spinto alla progettazione e realizzazione del corso online “Storia e memoria delle deportazioni nazifasciste”, che coniuga il patrimonio di testimonianze di ANED con l’esperienza nel campo della didattica crossmediale di Lapsus.

Gli obiettivi si sono da subito imposti come molteplici: la già citata necessità di conservare le voci dei deportati e di renderle fruibili ai più; dotarsi di uno strumento che potesse fornire una base di conoscenze comuni a quanti — giovani o meno — si accostano ogni anno da tutta Italia ai viaggi della memoria. Infine, sperimentare le possibilità date dalla crossmedialità nella realizzazione di un percorso digitale che aspiri ad essere al contempo completo ma accessibile anche ad un pubblico di giovani.

Viaggio a Mauthausen — Maggio 2018

Ogni anno l’ANED è fra i maggiori promotori dei viaggi della memoria, nei quali coinvolge circa 1.500 studenti. Il viaggio principale è verso il lager austriaco di Mauthausen dove ogni anno, in occasione della commemorazione della liberazione del campo (5 maggio 1945), gli studenti sono invitati a unirsi alle altre delegazioni europee in una manifestazione comune. I ragazzi coinvolti provengono da ogni parte d’Italia e hanno percorsi e background differenti: ciò ha fatto sorgere la necessità di ideare un corso on line che potesse sostenere il lavoro di formazione portato avanti in presenza dai testimoni ancora attivi, dai volontari locali, dalle sezioni e dai docenti coinvolti, per superare la frammentazione dell’educazione e creare una base comune fra i partecipanti.

Il risultato del lavoro congiunto è un corso composito, che integra lezioni video realizzate ad hoc, testimonianze di sopravvissuti, elaborazioni grafiche e documenti digitalizzati, raccolti in oltre settant’anni di attività da ANED. Le testimonianze dirette si integrano con fonti secondarie, documentarie e saggistiche, per contestualizzare le prime all’interno delle complesse vicende legate alle deportazioni. All’interno delle unità tematiche, il corso analizza il contesto in cui sono nati il ​​fascismo e il nazismo, seguendo un approccio comparativo che dà particolare rilevanza al ruolo svolto dalla propaganda. Vengono analizzati il sistema di campi di concentramento e di sterminio, la pianificazione e l’esecuzione della deportazione di massa, la creazione di categorie di “indesiderabili” tra la popolazione, i fenomeni di collaborazione e opportunismo in tempo di guerra, e lo sfruttamento dei prigionieri come schiavi. Inoltre l’ultimo modulo del corso è dedicato alle vicende più recenti, con approfondimenti sul tema della “memoria divisa”, alla decostruzione degli stereotipi, al dibattito pubblico sul passato fascista e su luoghi comuni e false informazioni sul periodo ancora oggi diffuse.

In questo articolo vogliamo provare a mettere in luce le considerazioni da cui il corso è nato e le modalità che abbiamo messo in campo per realizzarlo.

Alcune considerazioni preliminari sullo stato della memoria delle deportazioni.

Il progetto ha preso le mosse da una serie di osservazioni che da diversi anni sia ANED che Lapsus hanno portato avanti sul dibattito pubblico sul tema della memoria e sulle pratiche messe in campo in ambito di pedagogia pubblica. La polarizzazione della memoria pubblica sul movimento della Resistenza e sulle deportazioni politiche e razziali è emersa frequentemente nel recente discorso pubblico in Italia, in particolare con la cosiddetta svolta “post-ideologica” degli anni Novanta [1], che nel nostro paese assunse un posto preciso all’interno del dibattito non solo storiografico.
È possibile identificare diverse dimensioni di questo problema.

Dagli anni Novanta un certo numero di libri best-seller — in particolare dell’autore Giampaolo Pansa — hanno manipolato la narrazione del passato, presentando una versione ripulita e “romanticizzata” della Repubblica Sociale Italiana (1943–45) che hanno finito col mettere su un piano di parità le memorie delle fazioni coinvolte. Da allora, l’imporsi di Governi di destra, al cui interno sono stati presenti esponenti del partito neofascista Alleanza Nazionale e dei suoi successivi eredi, in sostanziale accordo su questi temi con le maggioranze che sostengono, hanno imposto nella retorica politica e nel dibattito pubblico il tema della “pacificazione”, inteso però come una sospensione delle ricerche sulle collaborazioni e crimini del Regime fascista e di una sostanziale equiparazione [2] di quanti hanno combattuto nelle fila della Repubblica Sociale Italiana con quanti invece hanno scelto la via della Resistenza o che hanno subito le deportazioni.

Da un punto di vista istituzionale, la commemorazione della deportazione è stata resa ufficiale solo nel 2000, quando è stato istituito per legge a livello nazionale un Giorno della Memoria per le vittime delle deportazioni. La data selezionata è il 27 gennaio, giorno della liberazione del campo di Auschwitz nel 1945, la stessa adottata 5 anni dopo — nel 2005 — dalle Nazioni Unite. La decisione, a livello italiano, non è stata unanime: già durante le discussioni per l’approvazione della legge italiana, l’ala di estrema destra del Parlamento si oppose fermamente alla definizione di campi come “fascisti e nazisti”, preferendo invece la definizione di campi come “nazisti”.

Frame corso “Storia e Memoria delle deportazioni”

All’interno del discorso pubblico, la memoria collettiva fatica a fare i conti con il passato del paese[3], essendo troppo spesso basata su stereotipi, semplificazioni e narrazioni auto-assolutorie e decontestualizzate. Il discorso pubblico, in tutte le sue sfaccettature pedagogiche e culturali, è spesso polarizzato tra “vittime innocenti” e “brutali perpetratori nazisti”, privato di qualsiasi sfumatura: in questo modo, i nazisti — quasi unicamente identificati come di nazionalità tedesca — sono i soli responsabili di tutte le violenze e il ruolo svolto dai fascisti italiani può essere progressivamente ridotto, minimizzato e infine messo a tacere.

Nel 2004 lo storico britannico Tony Judt introduce il concetto di una “eredità maledetta” lasciata dalla Seconda guerra mondiale in tutta Europa, prodotta dalle drammatiche vicende della guerra totale e dallo ‘scontro di civiltà’ che ha spaccato in due le nazioni, ma anche frutto del modo in cui quelle vicende sono state interpretate e raccontate.

Judt si riferisce alla costruzione della memoria del conflitto. Una memoria fondata da un lato sull’attribuzione esclusiva alla Germania e ai tedeschi della colpa per la guerra; dall’altro, sull’esaltazione della Resistenza come lotta dell’intero popolo contro l’oppressore tedesco/nazista. La contrapposizione è chiara e netta: da un lato i colpevoli — pochi e ben riconoscibili — e dall’altro i “giusti”. L’esaltazione istituzionale della Resistenza nazionale contro l’invasore tedesco ha contribuito, a Est come a Ovest, a oscurare la realtà dei collaborazionismi ovunque nati a supporto dell’occupazione nazista, e la dimensione di brutale guerra civile che la lotta ha assunto all’interno dei diversi paesi.

Per l’Italia “fare i conti col proprio passato” non significa solo affrontare una resa dei conti col fenomeno del collaborazionismo (la Repubblica Sociale Italiana) e della guerra civile (la Resistenza), ma riflettere sul regime dittatoriale ventennale, preso a modello da molte destre dentro e fuori l’Europa, che si è macchiato di gravi crimini contro le popolazioni civili italiane e non. Scaricare sui tedeschi il peso di ogni responsabilità rappresenta anche per una parte dell’Italia il modo con cui modellare una memoria pubblica del conflitto, fatto paradossale visto che proprio l’Italia vanta un’indiscussa primogenitura del fascismo.

Non c’è dubbio che lo stereotipo del “cattivo tedesco” rappresenti una struttura portante della memoria della guerra. Tale cliché, associato fin dall’inizio all’immagine speculare del “bravo italiano”, sembra essere l’unico canone di lettura attraverso cui è modellata la memoria nazionale. All’immagine del tedesco rappresentato come combattente disciplinato e sanguinario, implacabile e sadico oppressore di inermi, viene contrapposto il ritratto del soldato italiano intimamente contrario alla guerra, esitante di fronte agli atti di violenza e di sopraffazione, pronto a solidarizzare e a portare soccorso alle popolazioni indifese. Questa rappresentazione può essere ritrovata già fra l’armistizio (1943) e gli anni fondativi della Repubblica democratica, in cui vengono redatti i trattati di pace, imponendo così un racconto egemonico che silenzia, minimizza o nega il coinvolgimento del popolo italiano nel fascismo e le responsabilità del paese nella guerra.

Per quanto riguarda le deportazioni, queste sono interpretate esclusivamente secondo la categoria del “martirio”, appiattendo le vicende personali e le diverse forme di deportazione e persecuzione. Questo tipo di narrazione tende a scordarsi dei deportati per ragioni politiche, in un quadro di dibattito pubblico in cui il sentimento antifascista[4] non è più considerato come valore fondante della Repubblica.

Frame corso “Storia e Memoria delle deportazioni”

Anche la didattica della memoria a livello nazionale presenta delle criticità. Sebbene siano molti i progetti educativi in ambito scolastico ed extrascolastico che riescono a coniugare con efficacia il ragionamento storico con la memoria dei testimoni e il pensiero critico applicato alla contemporaneità, questi restano legati alla capacità e possibilità del singolo gruppo scuola o degli enti e associazioni territoriali, lasciano molti studenti di fronte a una commemorazione ripetitiva.

Dall’istituzione del Giorno della Memoria, in diversi istituti scolastici si è imposto come appuntamento didattico fisso l’incontro con un testimone: il valore formativo di tale esperienza non può essere negato, ma questo non può essere l’unico “strumento” educativo per affrontare la complessità del sistema concentrazionario. Con la progressiva scomparsa dei testimoni, l’abbiamo ricordato in apertura, questo approccio diventerà sempre più problematico, se non sarà stato integrato per tempo con una progettualità innovativa da inserire nel programma educativo per le generazioni successive[5].

Ad oggi, molte delle elaborazioni sul tema delle deportazioni pensate per un pubblico di studenti adottano un approccio centrato sull’aspetto emotivo. La commemorazione si focalizza sulle testimonianze degli orrori subiti dai deportati, tralasciando però la riflessione sul contesto sociale e politico in cui le deportazioni vennero ideate e portate avanti, delegando questo argomento solo al momento previsto dal programma di storia (in chiusura dell’ultimo anno di ogni ciclo scolastico). Lavorare nelle classi oggi, vuol dire interagire con ragazzi lontani quattro generazioni agli eventi narrati e portatori di memorie trans-nazionali, extraeuropee, che hanno coordinate storiche differenti: alla progressiva perdita del rapporto umano creato con i testimoni, è necessario saper individuare nuovi modelli di didattica che sappiano concentrarsi sul “perché” storico, fornendo chiavi di lettura utilizzabili anche sull’oggi in cui sono immersi (ne parlammo a suo tempo qui) e che possa aiutare a muoversi con chiarezza nell’universo di informazioni, stimoli e narrazioni emotive a cui sono sottoposti. A questi, resta importante cercare di ampliare la possibilità di instaurare processi educativi extracurricolari, non solo nei viaggi della memoria, che ogni anno coinvolgono migliaia di studenti nella visita ai campi nazifascisti, ma anche in progetti di scale differenti.

Uno dei segnalibri distribuiti durante il flashmob organizzato dai ragazzi dei centri di aggregazione giovanile di Milano, nell’ambito del progetto FREE — No Future Without Remembrance

Crediamo infatti, e da prima che la chiusura delle scuole dovuta alla pandemia obligasse a correre ai ripari con alterne fortune, che una didattica della storia efficace oggi non possa prescindere dal misurarsi con la multidisciplinarietà e con la varietà dei “luoghi” reali e digitali in cui si muovono i ragazzi. Per ciò che riguarda gli spazi virtuali, è necessario far propri i media digitali con cui vengono quotidianamente in contatto gli studenti. Il web è uno strumento come gli altri, che al pari degli altri deve essere conosciuto. Dobbiamo educarci all’uso della rete, capirne le potenzialità e i limiti in relazione allo specifico obiettivo che ci poniamo. Ignorare e trascurare questi media, non educarsi (prima ancora che educare) all’uso delle nuove forme di comunicazione è una perdita di opportunità e un pericoloso errore, che può condannarci al silenzio nell’immediato futuro.

Un cantiere didattico: metodologie e pratiche di realizzazione

Il gruppo di lavoro

Riprese in studio dei contributi video

La progettazione di tutte le parti del corso è stata portata avanti da un gruppo di lavoro eterogeneo e multidisciplinare. Come collettivo, siamo sempre stati fortemente convinti della ricchezza nel lavoro di équipe e nella commistione fra professionalità e sensibilità differenti. Il corso è quindi un lavoro collettivo, realizzato da una squadra interdisciplinare composta da storici di differenti generazioni, testimoni diretti, videomaker e grafici. Per facilitare il confronto, è stato creato un comitato scientifico misto, con membri di Lapsus e di ANED, che si è occupato di individuare le necessità principali a cui il corso avrebbe dovuto rispondere e le risorse da valorizzare — sia del patrimonio di ANED che esterne.

Le domande didattiche

ANED fin da subito ha promosso l’idea di parlare delle deportazioni trattandole come un fenomeno complesso e sfaccettato, inscindibile da una spiegazione di ampio respiro: la scelta è stata quindi quella di trattare il tema in modo inclusivo, coprendo un arco temporale che va dall’immediato primo dopoguerra fino alle vicende più recenti legate alle politiche della memoria.

La storia delle deportazioni politiche dall’Italia, che rimane il focus principale del corso Aned, è quindi inserita nel contesto più ampio delle deportazioni razziali e politiche europee e viene presentata attraverso una rosa di informazioni individuate come primarie e essenziali.

Gli obiettivi minimi di apprendimento, che Lapsus ha sviluppato con ANED, sono riassumibili come la conoscenza:

  1. presenza di Campi sul territorio italiano
  2. quantità delle persone deportate dal territorio italiano (sia razziali che politici)
  3. categorie di deportati dal territorio italiano
  4. lavoro coatto dei deportati
  5. collaborazione di italiani nell’arresto, detenzione e deportazione verso i Campi

A questo, si aggiunge il tentativo di fornire gli elementi fondamentali per un’alfabetizzazione di base sul tema delle deportazione attraverso la definizione di un glossario preciso e l’individuazione di coordinate storiche essenziali per la contestualizzazione del fenomeno anche nel suo dibattito pubblico odierno.

Questi possono a primo avviso sembrare obiettivi molto basici, quasi scontati, ma l’esperienza di entrambe le associazioni sul territorio ci ha dimostrato come, spesso in modo trasversale alla società, si sia ancora lontani dal padroneggiare appieno queste informazioni.

La ricerca

Il lavoro di studio e ricerca è dovuta partire da una selezione accurata dei testi e delle fonti da utilizzare. Sulla storia delle deportazioni, dei totalitarismi e del periodo storico che copre la prima metà del Novecento si è scritto e si scrive molto, ed è stato quindi necessario riuscire a selezionare fra le migliaia di titoli quelli che più potessero aiutarci a definire i caratteri generali del fenomeno in modo efficace per i futuri studenti del nostro corso. Il lavoro è proceduto attraverso un coordinamento condiviso che ha supervisionato la distribuzione di focus tematici fra i singoli ricercatori — a seconda dei campi precedenti di ricerca e dell’interesse specifico di ognuno. Successivamente, si è passati alla redazione collettiva dei testi, sulla base degli approfondimenti portati avanti da ognuno dei ricercatori di Lapsus, sempre avendo come modello di scrittura la risposta alle domande didattiche individuate in precedenza. Si è poi passati a differenti fasi di controllo incrociato sui testi e sulle fonti, ad opera del comitato scientifico di ANED.

Target e formato

L’elemento che è stato al centro delle prime fasi di progettazione del corso è stato il target. A chi rivolgersi? La riflessione sul target non nasce dalla convinzione che gli argomenti possano essere eccessivamente “complessi” per una data fascia di età: crediamo infatti che ognuno abbia gli strumenti per comprenderli, sta a noi formatori trovare il modo per condividere il concetto in modo efficace per ognuno.

Fase di montaggio dei contributi video

La riflessione nasce quindi da una considerazione più pratica, legata ai diversissimi modi di fruizione di un prodotto di apprendimento e alle domande ed interessi che diversi target di persone si possono porre sul tema. Essendo il corso rivolto ad un target ampio, che va dagli studenti delle scuole superiori che partecipano ai viaggi di Aned, ai docenti, ai formatori e ai membri di Aned stesso (soprattutto quelli che sono attivi in Aned per vicinanza emotiva agli argomenti ma non per studi in merito) abbiamo cercato di integrare e coniugare le differenti esigenze, incontrando anche diverse difficoltà.

La progettazione digitale ha dovuto tenere in considerazione le difficoltà e le resistenze che una fascia di età più anziana (quella non nata in epoca digitale o non avvezza all’uso di internet) può avere verso una apertura alla rete; al contempo ha dovuto cercare un approccio che fosse coinvolgente anche per i più giovani e che non andasse a gravare ancora di più sul già pesante carico scolastico.

Il corso si struttura per unità differenti, con apporto di media e formati che si integrano ma non si sostituiscono fra loro; la visione complessiva dei video è completabile nell’arco di 5 ore. Inoltre, per venire incontro agli studenti, che raramente hanno a disposizione un pc personale, tutto il percorso è pensato per una visualizzazione da smartphone (ne consegue che il lavoro di grafica e di montaggio ha dovuto seguire attentamente questa impostazione).

La scelta della piattaforma didattica

Fin dalle prime fasi della progettazione del corso ci si è interrogati su quale fosse la piattaforma di didattica online più adatta ad ospitare un progetto di questo tipo. Sono state vagliate diverse ipotesi, compresa quella di sviluppare un sito web dedicato, cosa che non è stata possibile. Il corso è stato finalizzato per essere ospitato sulla piattaforma Weschool, un portale didattico molto intuitivo e con un’interfaccia di semplice utilizzo. Tuttavia man mano che la struttura prendeva corpo ci si è resi conto di diverse criticità. Per le esigenze di questo corso l’impostazione flipped classroom di Weschool avrebbe comportato numerosi problemi di gestione: considerando il target molto ampio di potenziali fruitori sarebbe stato impossibile gestire un reale rapporto di condivisione dei contenuti con gli utenti. L’impostazione social di Weschool è infatti molto indicata per gruppi omogenei e circoscritti di utenti — classi scolastiche, gruppi di colleghi, ecc. — mentre la vastità potenziale di variabili da prevedere per il nostro target avrebbe vanificato gli strumenti didattici che la piattaforma mette a disposizione.

Copertina del corso sulla piattaforma Eduopen

Su suggerimento di ANED, si è quindi tentata una strada diversa, optando per Eduopen, un portale già noto nel settore educativo universitario e il cui bacino di utenti può essere un potenziale pubblico per i nostri contenuti.

La risposta di Eduopen è stata positiva e questo ci ha permesso di contribuire alla creazione del primo corso online in lingua italiana non progettato da un istituto universitario presente sulla piattaforma. L’interfaccia di progettazione di Eduopen è estremamente versatile e ci ha consentito di spingere il corso ben al di là delle iniziali aspettative, sperimentando strumenti come i glossari condivisi e diverse forme di strumenti di valutazione.

A quali domande rispondere?

Nel costruire le singole videolezioni non abbiamo seguito un approccio di tipo trasmissivo: quel che ha guidato la rielaborazione della ricerca non sono state le nozioni da passare, ma piuttosto il tentativo di rispondere in modo chiaro alle domande didattiche che ci siamo posti. Ad esempio per provare a dare risposta al quesito “com’è stato possibile?” — prendendo a modello una delle domande “non googlabili” che con maggior frequenza i ragazzi ci rivolgono durante gli incontri — è necessario “scomporre” la complessità in tanti “obiettivi minimi”: dalla collaborazione degli italiani nelle deportazioni, agli elementi di contestualizzazione del legame tra propaganda, ideologia e formazione del consenso, rispondendo al gruppo di domande didattiche:

  • Come riescono, fascismo e nazismo, a presentarsi nelle istituzioni?
  • Come guadagnano il consenso dei gruppi dirigenti?
  • Il fascismo e il nazismo hanno avuto consenso “reale” da parte della popolazione?
  • Cosa succede nella mentalità collettiva quando un totalitarismo si afferma nella società? Con quali strumenti di propaganda e formazione del consenso si sono affermati il nazismo e il fascismo?

La scrittura dei copioni per i video non è stata quindi il semplice adattamento dei risultati della ricerca in un formato differente: è stata invece parte integrante del ragionamento didattico, in cui il testo si è sviluppato all’interno della griglia fornita dalla relazione fra domande e obiettivi.

La struttura delle videolezioni

La progettazione delle videolezioni ha richiesto un’attenzione particolare poiché si è trattato di scriverne i testi e pensare alla fruizione complessiva del prodotto visuale, composto dai contenuti audiovisivi e dalle motion graphics in sovrimpressione. Il principale rischio di un’operazione di questo genere nei contesti didattici è il sovraccarico cognitivo, ossia quella condizione per cui le informazioni ricevute sono troppe da processare, determinando un calo dell’attenzione o l’incapacità a focalizzare la concentrazione; può anche determinare una ridotta capacità di selezione e discernimento tra le informazioni ricevute, limitando la capacità decisionale.

Esempio di utilizzo di immagini e di narrazione verbale — Frame corso “Storia e Memoria delle deportazioni”

A livello generale, nel contesto di apprendimento il sovraccarico cognitivo può essere attenuato ed eliminato o attenuato attraverso alcuni accorgimenti pratici. Nella progettazione delle proprie lezioni è buona pratica seguire alcuni principi, elaborati da Richard E. Mayer e Roxana Moreno[6], che sono un valido sussidio per ridurre il carico cognitivo nell’ambito dell’apprendimento:

  • Principio di multimedialità (Multimedia Principle): si apprende meglio da parole e immagini insieme che dalle sole parole, poiché si forniscono elementi più ricchi per la memorizzazione;
  • Principio della modalità (Modality Principle): i discenti imparano meglio se vengono utilizzate immagini e narrazioni verbali piuttosto che immagini e parole scritte perché evitano un sovraccarico del canale visivo. In questo modo si utilizza il canale uditivo mentre il canale visivo si concentra solo sulle immagini;
  • Principio di contiguità spaziale (Spatial Contiguity Principle): i discenti imparano meglio quando il testo scritto e il materiale visivo sono fisicamente integrati piuttosto che separati;
  • Principio di contiguità temporale (Temporal Contiguity Principle): i discenti imparano meglio quando i materiali visivi e verbali sono sincronizzati (presentati contemporaneamente) piuttosto che separati nel tempo (sequenzializzati);
  • Principio di segmentazione (Segmenting Principle): è necessario cercare di ridurre la complessità delle informazioni suddividendo il contenuto in tante porzioni di contenuto per renderlo più maneggevole;
  • Principio della personalizzazione (Personalization Principle): lo stile conversazionale è più efficace di quello formale e distaccato.

Per la progettazione delle videolezioni si è cercato quindi di ridurre al minimo il sovraccarico cognitivo potenziale, evitando ridondanza e usando le motion graphics in modo selezionato e funzionale ai concetti da veicolare. Tuttavia è indubbio che la complessità dei temi da trattare abbia comportato dei necessari compromessi tra la semplificazione e la necessità di accuratezza, soprattutto relativamente al linguaggio specifico.

Valorizzare le testimonianze

Le videolezioni del corso si integrano e non si sostituiscono al rapporto in presenza con professore/formatore/testimone. L’obiettivo del corso è piuttosto garantire a tutte le migliaia di studenti che partecipano ai viaggi della memoria la stessa formazione minima e l’accesso alle stesse fonti, soprattutto in un momento in cui sempre più rare si fanno le occasioni di confronto diretto con i testimoni. Gli incontri fra giovani e testimoni delle deportazioni, alla base dell’attività di Aned, con gli anni sono sempre più difficili da garantire e da organizzare. Per non perdere questi preziosi momenti di trasmissione, si è deciso di affidare alla viva voce dei testimoni diretti il racconto della vita e dell’esperienza nei Campi nazifascisti. Per questo motivo è stato scelto fin dall’inizio di inserire nel corso, in relazione al blocco tematico trattato, delle testimonianze in formato video o scritto di ex deportati; alcune di queste sono state realizzate direttamente da Laboratorio Lapsus in diverse occasioni, attraverso l’intervista ad alcuni testimoni. La riedizione annuale del corso, potrà permettere l’inserimento progressivo di molte più voci degli ex deportati, nella speranza di innescare un circolo virtuoso di nuove interviste agli ultimi testimoni ancora in grado di raccontare la loro storia e di digitalizzazione del patrimonio di testimonianze di ANED. Questa può essere una delle forme con cui trasmettere ai più giovani le memorie dei testimoni, attraverso le forme e gli strumenti ritenuti dalla nuova generazione più efficaci per mantenere vivo il significato della loro esperienza.

Alcuni dei testimoni di cui si possono ascoltare le storie all’interno del corso. Da sinistra verso destra: Mario Candotto, Ennio Trivellin, Vera Michelin Salomon, Bruno Bertoldi.

Concludendo…

La partnership tra Lapsus e ANED all’interno di questo lungo cantiere didattico ha consentito la creazione di uno strumento educativo versatile e di facile utilizzo rivolto ad un ampio pubblico potenziale. La crossmedialità e il lavoro di equipe hanno inoltre evidenziato le potenzialità del corso come esperimento per provare a includere nella formazione anche quanti non sono direttamente coinvolti in prima persona in progetti di didattica sulla memoria.

Questa esperienza è stata l’occasione per entrambe le associazioni di esplorare nuovi modi per rispondere alle sfide che si pongono all’incrocio tra la digitalizzazione del patrimonio culturale, la trasmissione della memoria, la difficult heritage e la pedagogia pubblica. Nel corso il metodo didattico è un elemento chiave, volto a mettere in relazione la complessa intersezione tra dibattito pubblico, ricordi, storiografia, narrazioni e storia pubblica, riassumibile nella domanda: “come passare dalla memoria alla storia dopo l’era dei testimoni?”.

Nuovi canali di comunicazione possono aiutare in questo “passaggio di consegne” e occorre stimolare e favorire l’appropriazione e la rielaborazione di questi contenuti da parte dei più giovani, permettergli di sperimentare, confrontarsi e “fare proprie” le esperienze di altri.

Questo, va sottolineato, non equivale a svilire la propria memoria storica, ma le dona invece nuovo senso affinchè duri e abbia effetti nell’identità e nella pedagogia pubblica futura.

Note

[1] Focardi F., La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 ad oggi, Laterza, Roma-Bari, 2005.

[2] Focardi F., Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe nella seconda guerra mondiale, Laterza, Roma-Bari, 2013

[3] Portelli A. (a cura di), Calendario civile. Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, Donzelli, Roma 2017.

[4] Consonni M., L’eclisse dell’antifascismo, Editori Laterza, Roma 2016.

[5] Bidussa D., Dopo l’ultimo testimone, Einaudi, Torino 2009.

[6] R.Mayer, R.Moreno (2003), Nine ways to reduce cognitive load in multimedia learning, e successivi.

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Laboratorio Lapsus

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