La processione e le campane

Luca Baggi
3 min readMar 19, 2020

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Qualche anno fa muovevo i primi passi nel giornalismo con Bergamonews e con il collega Fabio andai a una delle mie prime conferenze stampa al Comune di Bergamo. L’annuncio: l’installazione di due nuovi forni crematori al Cimitero. Il disagio dell’assessore era quasi palpabile, soprattutto quando si trattò di presentare i costi e le prestazioni dei nuovi forni — tanto è vero che decidemmo di mettere questa chiusura:

L’assessore Angeloni guarda con un poco di sdegno alla prospettiva di trattare le cremazioni come un mercato: “lo si fa per le famiglie, per garantire loro un servizio funzionale e immediato”.

La storia è finita da qualche parte nelle pieghe della memoria: chi l’avrebbe detto che mi sarebbe saltata in mente ieri, come una beffa, dopo aver visto le foto della processione di carri militari che portavano le salme nei crematori delle città vicine. Quelle foto che hanno fatto il giro del mondo: stamattina erano sul The Guardian, per dire.

Non lo faccio per abbandonarmi dietrologie dementi — «ah, chi avrebbe mai pensato, cinque anni fa, che in realtà quei forni non ci sarebbero nemmeno bastati» o «pensa a quanto improvvisamente cambiata la nostra vita». Ma questo è l’ennesimo segnale che il sistema sanitario è al collasso.

Flavio Lo Scalzo/Reuters

Io sono anche uno dei fortunati e ho escogitato qualche modo per ingannare la reclusione. Ma ci sono genitori di amici che fanno i medici che sono a casa isolati, quando non malati di coronavirus, o che vivono in camper per non rischiare di contagiare la famiglia. Ci sono medici di famiglia che si addossano le responsabilità di casi di malati gravi e cronici che normalmente sarebbero in ambulanza verso il pronto soccorso. Che sono reperibili ventiquattro ore al giorno anche se sono al sesto mese di gravidanza. Che usano la stessa mascherina, pagata sessanta euro, per visitare tutti i pazienti.

Queste misure di quarantena servono per impedire un numero di perdite ancora più grande. Come ripete da diversi giorni Matteo Villa — ricercatore ISPI che si occupa di migrazioni, ma che riporta i dati sul virus a titolo personale — abbiamo perso il contatto con la malattia. Persino con i dati sulle morti. Non so a che cosa ci servano questi dati. Non c’è una direttiva comune per nessuna regione:

La linea sui tamponi cambia da regione a regione. Ci sono regioni che li fanno solo a chi ha sintomi gravi o è entrato in contatto con una persona contagiata. Ci sono regioni che negli ultimi giorni hanno deciso di estendere questi criteri e farli “a tappeto” o quasi, per esempio il Veneto. Ci sono regioni che non testano i familiari delle persone positive, nemmeno quando presentano sintomi importanti, altre che invece lo fanno. In Lombardia, la regione con la situazione più drammatica, si fanno i tamponi solo alle persone che arrivano in condizioni gravissime in ospedale; e ci sono tante persone, soprattutto nella provincia di Bergamo, che muoiono in casa prima di essere testate. Muoiono, probabilmente muoiono a causa del coronavirus, e non rientrano nei dati quotidiani sui morti.

Se qualche giorno fa pensavo che potesse andare meglio, guardando i grafici del tasso di crescita dei positivi giorno per giorno, e azzardavo delle stime parlando al telefono con i miei amici, oggi mi rendo conto che non abbiamo nemmeno elementi per valutare la situazione.

Non oso immaginare che cosa succederà alle terapie intensive al Sud, quando dovranno far fronte a un numero di casi impressionante come quello lombardo (rappresentiamo praticamente la metà dei contagi nella penisola, almeno secondo gli inaffidabili numeri ufficiali).

C’è solo confusione e sta diventando sempre più difficile ragionare. Le misure di quarantena saranno sicuramente prolungate — ma non è questo il problema.

È che ora camminiamo nel buio — ma a camminare non siamo noi, ma i medici, che si ammalano e muoiono e decidono chi deve morire e deve salvarsi, a chi può andare il respiratore e chi no. Si trascinano da un lettino all’altro, senza una misura del loro sforzo, senza poter sperare in un segnale in fondo alla corsia, senza sapere se questa loro dannazione ci porti un passo più vicino anche solo a un punto di svolta, che ora non sappiamo quando potrebbe apparire all’orizzonte. E intanto il tempo passa, scandito dal respiro affannoso e meccanico dei pazienti attaccati alle macchine e dai rintocchi delle campane dei morti, che non trovano quiete nemmeno nelle loro città e nel saluto dei loro cari.

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Luca Baggi

Laureato in filosofia, ora studio economia. Faccio editorialismo spicciolo su imappamondi.it, qui scrivo tutto quel che mi passa per la testa 🖋