Un anno bellissimo, per il giornalismo italiano

Luca Baggi
3 min readJan 11, 2020

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È da un po’ che sto diventando molto più duro quando si parla delle maggiori testate italiane. Prima era una cosa che mi tenevo solo per le “chiacchiere tra addetti ai lavori”, con i miei amici che continuano a collaborare per testate grandi e piccole. Non mi sarei messo mai a scrivere un piccolo sfogo come questo: non ne ho né le competenze né l’esperienza, non sono nessuno per parlarne, e, anche se lo fossi, c’è già chi lo fa in maniera pungente ed efficace.

Tuttavia, è dalla fine dello scorso anno e da questi primi giorni del 2020 che si è raggiunto un punto decisamente basso — come riassumono efficacemente i ragazzi del Comitato Ventotene, in un post che mi ha condiviso un’amica che li segue:

A questa lista, aggiungerei anche il pezzo fattualmente errato di Antonio Polito sulle migrazioni e, sempre sul Corriere, l’assurdo sfogo del professor Walter Lapini contro gli ERC Grant.

Ho sempre consigliato di seguire i singoli giornalisti, magari su Twitter — anche se oggi stanno iniziando a comparire e fare un ottimo lavoro anche su Instagram — e mai “la testata” in quanto tale (unica eccezione, come sa chi mi conosce, è Il Post).

Nel corso di più di due anni trascorsi a cazzeggiare su Twitter ho iniziato a seguire non solo ottimi giornalisti italiani e stranieri, ma anche giornalisti che si occupano di settori molto specifici. Ho scoperto podcast, enti di ricerca e pagine personali di professionisti; ho seguito più da vicino l’attività delle istituzioni europee e sono rimasto aggiornato sui fatti di politica estera, anche attraverso i tweet dei sondaggisti.

(L’unico dispiacere: vorrei capire come poter visualizzare direttamente gli aggiornamenti le liste di profili che mi sono fatto: vedere tutto alla rinfusa, quando si segue più di un migliaio di contatti, offre solo gli argomenti in tendenza.)

Ma, soprattutto, sono entrato in contatto con le loro fonti, gli studiosi e i ricercatori che si occupano delle tematiche che mi interessano. In questo modo ho potuto contattare personalmente alcuni di loro, ottenere preziosi consigli di lettura e informazioni di primissima mano. Molte di queste occasioni mi hanno aiutato a decidere che cosa fare del resto del mio percorso di studi, orientando i miei interessi e contribuendo a definire le mie scelte per il futuro.

Nulla di nuovo sotto il sole, certamente. Il giornalismo italiano non è scadente perché non si legge più, come dicevo a un rappresentante di Volt a una serata in cui sono intervenuto per spiegare come funziona il MES e in che cosa consistesse davvero la proposta di riforma tanto criticata a dicembre.

L’accesso a informazioni di qualità è la cifra di questo tempo e il ruolo di intermediario, capace di filtrare e rielaborare, spiegare e dipanare la matassa dei fatti resterà sempre in primo piano. Il punto è la scarsa qualità del servizio offerto, per buona parte, in questo paese. Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: ci sono molti bravi giornalisti italiani che meritano di essere seguiti e dai quali ottengo la maggior parte delle informazioni che cerco: bisogna andarseli a trovare. Nel frattempo, menomale che l’Università mi offre un abbonamento al Financial Times.

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Luca Baggi

Laureato in filosofia, ora studio economia. Faccio editorialismo spicciolo su imappamondi.it, qui scrivo tutto quel che mi passa per la testa 🖋