Loreto e La Basilica della Santa Casa: Storia, Storie e Tradizioni

Capitale del culto Mariano, Loreto è famosa nel mondo perché all’interno della sua Basilica conserva il Santuario della Santa Casa.

Mariano Pallottini
32 min readNov 26, 2015

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Divenuto in poco tempo centro di culto e pellegrinaggio il paese si andò sviluppando soprattutto dal 1469, con la costruzione della basilica-fortezza, voluta per difendere le Sante Mura.

In questo articolo cercheremo di raccogliere e ordinare tutte le informazioni e le tradizioni disponibili sul famoso Santuario. Proveremo a rispondere alle domande che tutti si pongono, vi parleremo dei miracoli nei secoli e della storica devozione.

Misteri insoluti della Santa Casa di Loreto

Difronte al grande mistero della devozione Mariana tutti si pongono delle domande:

La Santa Casa di Loreto è la vera Casa di Maria?

Come è giunta fino a Noi?

Perché è stata traslata?

Perché proprio a Loreto?

Se non abbracciamo la tesi miracolistica della traslazione, dobbiamo porci anche una quinta domanda:

Chi può aver dato l’ordine di spostare in un luogo più sicuro le tre pareti della Casa di Maria a Nazareth?

Loreto: Basilica della Santa Casa vista posteriore

La Santa Casa di Loreto è la vera Casa di Maria?

Prima di tutto occorreva dimostrare ampiamente che la Santa Casa di Loreto fosse una porzione della casa dove era nata e cresciuta Maria a Nazareth.
Oggi, in base alle numerose prove, siamo in grado di affermare con certezza che le pareti presenti a Loreto sono proprio quelle della casa che fino la fine del tredicesimo secolo circa, era venerata a Nazareth come la casa della Madonna.
Le ricerche più importanti sono quelle fatte in tempi moderni a Nazareth prima degli anni sessanta da padre Bagatti e a Loreto dall’architetto Nerio Alfieri, professore di archeologia a Bologna.
La costruzione di Loreto presenta anomalie, in netto contrasto con le costruzioni della zona e anche con le regole urbanistiche vigenti nel Tredicesimo secolo.

  1. La casa non ha fondamenta proprie e poggia veramente su una strada.
  2. È costituita da sole tre pareti, le quali, per un’altezza di circa tre metri, sono fatte di pietre, e si sa che nella zona marchigiana non esistono cave di pietre e tutte le costruzioni a quel tempo erano fatte in laterizi.
  3. È anomalo che la porta originaria, si trovi al centro della parete lunga, e non in quella breve come in tutte le chiese e cappelle del tempo.
  4. E’ anomalo che la porta sia collocata a Nord esposta alle intemperie.
  5. E’ anomalo che l’unica finestra sia orientata a Ovest e quindi impossibilitata a fornire un’idonea illuminazione.
    Sempre in relazione alle medesime indagini sono emersi altri elementi.
  6. Nel sottosuolo della Santa Casa sono state rinvenute due monete le uniche databili, tra le centinaia ivi rinvenute, all’epoca della traslazione. Si riferiscono a Guy de la Roche, duca di Atene dal 1285 al 1308;
  7. Sono stati rinvenuti pollini di provenienza palestinese;
  8. Cinque piccole croci di stoffa rossa furono rinvenute in una cavità sotto “la Finestra dell’Angelo” tipiche dei cavalieri crociati che forse si occuparono del trasporto?
  9. Vi sono stati trovati anche alcuni resti di un uovo di struzzo, che nei luoghi di culto in Palestina venivano appesi come ornamento, un po come si osserva ne La Pala di Brera, o Pala Montefeltro (Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro), di Piero della Francesca. In numerose chiese dell’Abissinia e dell’Oriente cristiano-ortodosso viene spesso appeso nel catino absidale un uovo, come segno di vita, di nascita e rinascita.

Le ricerche archeologiche fatte a Nazaret completate da uno studio dell’architetto Nanni Monelli del 1982 dimostrano che:

  1. La Casa di Loreto non ha fondamenta perché le sue fondamenta sono rimaste a Nazaret.
  2. Ha solo tre pareti perché era appoggiata a una grotta scavata nella roccia, con la quale costituiva un solo blocco abitativo.
  3. Le misure della casetta di Loreto, 9,50 x 4 m e anche lo spessore delle tre pareti corrispondono perfettamente alle misure delle fondamenta che si trovano a Nazaret.
  4. Le pietre con le quali le pareti sono state costruite sono quelle tipiche della Palestina e anche i tipi di muratura usati.
  5. La casa di Loreto mostra tecniche costruttive di tipologia Nabatea, popolo semita abitante nella zona. Si trattava di unalavorazione a bulino, realizzata con un utensile detto ferrotondo e tondino, e di un’altra lavorazione, realizzata con tratti vicini e poco profondi, attuati con una subbia a punta. Queste tecniche sono assolutamente sconosciute nell’area italiana e in specie marchigiana.
  6. I mattoni della Casa sono ancora saldati dalla malta che si usava in Palestina, ovvero un misto di solfato di calcio idrato (gesso) impastato con polvere di carbone di legna secondo una tecnica nota in Palestina duemila anni fa.
  7. I circa 50 graffiti ancora leggibili su diverse delle pietre della “Santa Casa” di Loreto, si richiamano a quelli dei giudei cristiani della Terra Santa e in particolare a quelli trovati a Nazareth.

Come è giunta fino a Noi?

Alla domanda Come è giunta fino a noi ancora non possiamo rispondere in maniera definitiva. Esistono due ipotesi molto dibattute, una Miracolistica che vede in prima fila il Prof. Giorgio Nicolini e un’ipotesi “Non Miracolistica” con Padre Giuseppe Santarelli rigoroso sostenitore.

Ipotesi Miracolistica

Non una, ma ben cinque sarebbero le “traslazioni miracolose” della Santa Casa di Nazareth, avvenute tra il 1291 e il 1296:

  1. a Tersatto (in Croazia, dal 9–10 maggio 1291 al 9–10 dicembre 1294),
  2. ad Ancona (località Posatora, nel 1295, per nove mesi),
  3. nella selva della signora Loreta (nel 1295–1296, per otto mesi, nella pianura sottostante l’attuale cittadina di “Loreto”).
  4. poi sul campo di due fratelli sul colle lauretano (o Monte Prodo, nel 1296, per quattro mesi)
  5. infine sulla pubblica strada, ove ancor oggi si trova, sotto la cupola dell’attuale Basilica (probabilmente il 2 dicembre 1296).

Secondo quanto riportato da varie fonti tre furono celebri rivelazioni in Italia che avevano fatto presagire eventi tanto eclatanti.

  • La prima era stata come una ricompensa alle preghiere di un vecchio eremita ritiratosi sulla collina del Montorso, dedito alla vita contemplativa.
  • La seconda fu una profezia dello stesso San Francesco, il quale dal convento di Sirolo, guardando i il mare e le colline a sud di Ancona, aveva predetta la venuta della Santa Casa.
  • La terza attribuita a San Nicola da Tolentino, vuole che fosse stato avvisato dalla Madonna stessa dell’abbandono della Santa Casa dei luoghi in Terrasanta.

A sostegno dell’ipotesi miracolistica

1440

Nel “Rosarium” di Santa Caterina da Bologna (1413–1463), un testo redatto dalla santa, viene riportato “per rivelazione soprannaturale del Signore” la vicenda storica delle “miracolose traslazioni” della Santa Casa di Nazareth. Santa Caterina da Bologna in quel testo mostra di colloquiare direttamente con Gesù, apparsogli “per grazia”; ella infatti scrive: “In questo giorno (il 25 marzo 1440), tu, o Signore, hai rivelato a me, apparendomi per grazia… ”.

1472

La tradizione lauretana era tramandata oralmente fino 1472, quando fu riportata per iscritto con la “Translatio miraculosa”dalBeato Giovanni Spagnoli, detto il Mantovano e da Pietro di Giorgio di Tolomei, detto il Teramano.

1816–1824

La mistica tedesca Beata Anna Caterina Emmerich (1774–1824), che con le sue “descrizioni minuziose”, fece ritrovare (dopo secoli di dimenticanza) la casa di Efeso ove la Vergine Maria trascorse gli ultimi anni di vita e ove morì e fu assunta in Cielo in anima e corpo, per anni immobile nel letto, descrive la Santa Casa di Loreto con esattezza, pur senza averla mai vista. Dichiara inoltre che la Santa Casa fu portata via da Nazareth proprio dagli “angeli” e proprio “in volo”. La Santa Casa veniva trasportata sopra il mare da sette angeli, tre angeli la tenevano da una parte, tre dall’altra ed il settimo si librava di fronte: una lunga scia di luce sopra di lui”.

1923

L’architetto Federico Mannucci, in una relazione del 1923, ebbe a dire che “è assurdo solo pensare che il sacello possa essere stato trasportato con mezzi meccanici” e rivelò pure che “è sorprendente e straordinario il fatto che l’edificio della Santa Casa, pur non avendo alcun fondamento, situato sopra un terreno di nessuna consistenza e disciolto e sovraccaricato, seppure parzialmente, del peso della volta costruitavi in luogo del tetto, si conservi inalterato, senza il minimo cedimento e senza una benché minima lesione sui muri”.
Anche l’architetto Giuseppe Sacconi constatò che “la Santa Casa sta parte appoggiata sopra l’estremità di un’antica strada e parte sospesa sopra il fosso attiguo”, ragion per cui non può essere stata fabbricata o rifabbricata, come è, nel posto in cui si trova.

Documenti

A sostegno delle 5 traslazioni e se vogliamo dell’”ipotesi Miracolistica” esistevano degli scritti e testimonianze trascritte dai contemporanei a tali eventi miracolosi, che oggi purtroppo in gran parte sono andati perduti, soprattutto a causa di incendi che hanno distrutto gli archivi storici di Tersatto e di Recanati. Restano scritti e testimonianze posteriori che rimandano a quei documenti dell’epoca (es. Storia della Santa Casa di Loreto esposta in 10 brevi ragionamenti fra un sacerdote custode della Santa Casa e un divoto Pellegrino opera del 1790 del Reverendissimo D. Antonio Gaudenti, patrizio di Osimo Arcidiacono della Basilica Loretana). Esiste, soprattutto, “la tradizione orale” ininterrotta, tramandata dai testimoni oculari dell’epoca, ed esistono ancor oggi diverse chiese e lapidi che ricordano gli eventi accaduti in quegli anni della fine del XIII secolo.

Ipotesi non miracolistica

L’ipotesi non miracolistica è nata negli ambienti religiosi e tuttora è portata avanti da eminenti rappresentanti della Chiesa Cattolica. Sebbene basata su documenti e tracce tangibili, questa ipotesi non ha potuto mettere fine ad una controversia nata agli inizi del novecento. I documenti sui quali si basa non sono in originale e le tracce presentano aspetti interpretativi insoluti.

A sostegno dell’ipotesi non miracolistica

1900

In un passo contenuto nel proprio diario Maurice Landrieux, vescovo di Digione, il 17 maggio del 1900 riferì di aver avuto una conversazione con Giuseppe Lapponi, archiatra pontificio di Leone XIII. Il Lapponi, a dire del vescovo francese, avrebbe ritrovato in Vaticano diversi documenti dai quali risulterebbe che «una famiglia De Angelis, branca della famiglia imperiale che regnava a Costantinopoli… asportò i 59 materiali della santa casa di Nazareth e li trasportò a Loreto».

1905

Henry Thédenat, archeologo e padre della Congregazione dell’Oratorio, studioso del mondo classico, secondo la testimonianza del collega il prof. Larquat avrebbe visionato nel 1905 in Vaticano un «pacchetto di fogli manoscritti» contenenti le note di spesa del trasferimento delle pietre in un battello da Nazareth a Loreto, con scalo nell’Adriatico. Questi presunti documenti vaticani non furono mai né pubblicati né meglio descritti e, nonostante diversi tentativi, nessuno è ancora stato in grado di rintracciarli.

1984

Nel 1983 furono dati alle stampe gli atti del II Convegno Nazionale di Sindonologia, all’interno dei quali venne pubblicato un intervento dovuto a Pasquale Rinaldi, parroco ed insegnante nelle scuole medie statali di Napoli, intitolato “Un documento probante sulla localizzazione in Atene della Santa Sindone dopo il saccheggio di Costantinopoli”. In esso l’autore dava notizia di un ritrovamento da lui stesso effettuato nell’archivio ecclesiastico della chiesa cinquecentesca di Santa Caterina a Formiello a Napoli: due fogli che si presentano come una copia, risalente al XIX secolo, di documenti che facevano parte di un più antico Chartularium Culisanense — proveniente cioè dalla cittadina di Collesano, in provincia di Palermo. Un foglio ritrovato dal medesimo Rinaldi successivamente, nel 1984, contiene l’elenco dei beni dotali di Margherita (Ithamar) d’Epiro figlia del despota Niceforo I Comneno Ducas, la quale nel 1294 sposò Filippo d’Angiò principe di Taranto (f. 181) figlio di Carlo II d’Angiò, detto lo Zoppo, re di Napoli, re titolare di Sicilia e, fra gli altri titoli, re titolare di Gerusalemme, con il nome di Carlo II (titolo comperato nel 1277 da Carlo I da Maria di Antiochia). Le pietre della Santa Casa avrebbero fatto parte della dote di Ithamar.
I fogli delle copie ritrovate sono stati donati dal parroco alla Biblioteca Pubblica Statale di Montevergine. Del Chartularium Culisanense — che viene presentato come «codice diplomatico dell’Ordine Costantiniano Angelico Originario, sotto il titolo della Santa Sapienza, detto pure di Santa Sofia, istituito il 22 giugno 1290, a Giànnina, dal despota di Epiro Niceforo I Angelo Comneno» — non esiste un originale, che si dice perduto durante i bombardamenti del 1943.

2014

Il 2014 è l’anno della pubblicazione della ricerca storica, eseguita dal dr Haris Koudounas, sulla Santa Casa e gli Angelo Comneno di Epiro e di Tessaglia, edita da “IL MESSAGGIO della Santa Casa-Loreto” n° 8 settembre/ottobre 2014. In questo studio si evidenziano collegamenti tra la chiesa bizantina “Porta Panagià” situata a Pili nella regione di Trikala in Tessaglia e la Santa Casa di Loreto. Questa chiesa fu fatta costruire nel 1283 dal Sevastocrator Giovanni I Angelo Comneno all’interno de grandioso Monastero della Theotókos (Madre di Dio) inattaccabile delle Porte Grandi. In questa chiesa l’unica epigrafe (probabilmente dell’anno 1289), si trova sul muro del transetto, nella zona nord, incisa su una piastra di dimensione 0,40 x 0,25 ad una altezza di 9 metri circa dal suolo. Le parole di questa epigrafe, sono “stranamente” scritte inversamente, con una scrittura speculare. L’epigrafe dice: “Εκ βάθρων σώον, πάναγνε, στόμεν δόμον, πονυμα ιερόν” — “per te, Theotòkos, che sei pura al massimo grado, innalziamo la tua casa, opera sacra, che è parte salvata dalle fondamenta”. La località di Aspropotamos (Fiume Bianco), contigua alla chiesa Panagià, richiama il certo qual castello, detto Fiume, di cui parla il Teramano in riferimento alla prima sosta della Santa Casa nella zona orientale, rispetto a Loreto. Giovanni I che fu probabilmente “il custode delle Sante Reliquie”, muore nell’anno 1289 e quindi entro il 1291 le sante reliquie vengono portate via.

Perché è stata traslata?

Sia che si opti per l’ipotesi miracolistica che per quella più terrena i motivi della traslazione sono storicamente giustificabili.
Agli inizi di maggio del 1291, Nazaret la città di Maria e tutta la Palestina erano martoriate dalle guerre di espansione dei Turchi selgiuchidi giunti a numerose conquiste con le imprese del leggendario schiavo guerriero, poi Sultano mamelucco, Baybars al-Bunduqdārī. Qalawun, poi, aveva proseguito l’opera del suo predecessore e nel 1290, con la successione, il figlio Al-Ashraf Khalil, si era deciso a chiudere definitivamente i conti con i cristiani.
Il 5 aprile 1291 i mamelucchi daranno l’assedio a San Giovanni d’Acri, l’attuale Acri, che dista solo 40 km da Nazareth. La conquista della città sarà colma di atrocità e tragici fatti come il crollo Cupola di Acri il 28 Maggio. La fortezza dei Templari rovina al suolo per colpa delle gallerie scavate dai musulmani provocando migliaia di morti.

Perché proprio a Loreto?

Rispondere a questa domanda non è semplice, se abbracciamo l’ipotesi miracolistica potremmo dire che la scelta di Recanati rientra nell’inconfutabile scelta di ordine celeste.
Se invece optiamo per l’ipotesi “non miracolistica”, quando la Santa Casa fu definitivamente trasportata nelle Marche, la scelta del luogo, fu decisa da Salvo, vicario di papa Celestino V, che era anche vescovo di Recanati e che volle che il prezioso manufatto restasse nel territorio della sua diocesi. Salvo era stato nominato Vicarius Urbis da Nicolò IV nel 1291 e svolse quell’ufficio fino al 1296. Il Vicarius Urbis, come è noto, durante le assenze dei pontefici da Roma, esercitava un potere giuridico in spiritualibus (indulgenze, reliquie, ecc.). Se può sorprendere che un vescovo abbia avuto un tale potere decisionale dobbiamo ricordare che Celestino V (Pietro Angelerio detto Pietro da Morrone, un rude eremita abruzzese) fu un Pontefice un po insolito. Papa della Chiesa cattolica dal 29 agosto, fatto eleggere a Perugia dal cardinale Latino Malabranca Orsini (diverse fonti lo vogliono imparentato con i Frangipane), forse influenzato da Carlo II d’Angiò, al 13 dicembre 1294, fu il primo papa che volle esercitare il proprio ministero al di fuori dei confini dello Stato Pontificio e il sesto ad abdicare.

Chi ha dato l’ordine di mettere in salvo la Casa di Maria a Nazareth?

Torniamo all’assedio di San Giovanni d’Acri del 1291. Il re di Gerusalemme Enrico II sbarcò nel porto della città il 4 maggio con un contingente di 500 fanti e 200 cavalieri e tentò di risolvere la questione per via diplomatica, inviando ambasciatori a trattare col sultano. Al-Ashraf li rispedì indietro e lo stesso Enrico giudicò più prudente fare ritorno a Cipro, mentre i suoi armati restavano a dare il loro contributo alla difesa della città. Qui la Storia lascia il posto ad una pura illazione. Il re di Gerusalemme possedeva l’autorità per far prelevare le mura della Santa Casa da Nazareth che distava meno di un giorno a cavallo e volendo poteva sfruttare il porto dell’imprendibile (ancora per poco, cadde in agosto) fortezza templare di Château Pèlerin (Atlit) più a sud.

Il racconto della tradizione

Nella notte del 12 maggio 1291, alcuni angeli sollevano la Santa Casa e la trasportarono in Dalmazia, sulla costa dell’Adriatico tra Tersatto e Fiume, in una località chiamata Rauniza.
La tradizione non è scevra di particolari e racconta come fosse l’alba quando gli uomini che si recavano al lavoro dei campi, notano su un colle, fino alla sera precedente da tutti ricordato nudo e solitario, un edificio di pietre rossastre. Il racconto lo vuole decorato all’interno, con un altare, un piccolo armadio contenente le stoviglie di una povera famigliola e il focolare. In una nicchia una statua di legno di cedro rappresentante la Vergine, ritta, col bambino fra le braccia.
L’antico racconto ci presenta la figura dell’anziano pastore della Chiesa di S. Giorgio, il vescovo Alessandro di Modruria giunto sul posto anch’esso per un prodigiosa circostanza dato che la folla sopraggiunta sapeva il santo prelato a letto moribondo.
La Vergine era apparsa al vescovo spingendolo ad alzarsi, sanato nel corpo e mettendolo al corrente del trasferimento della casa di Nazareth, la stessa dove il Verbo si è fatto carne, con l’altare eretto dall’apostolo Pietro e la statua che la raffigura scolpita in legno di cedro dallo stesso Luca evangelista.
Già ai tempi della Dalmazia il racconto della tradizione vuole che delle verifiche a Nazareth confermino la sparizione delle sante mura.
Ma la febbre devozionale che la tradizione vuole diffusasi dalla Dalmazia alla Bosnia, alla Serbia, all’Albania e alla Croazia durò poco, perché il 10 dicembre 1214 la Santa Casa della Vergine sparì improvvisamente così come era venuta.
Così, tre anni e sette mesi dopo, gli angeli ripresero la casa di Nazaret e con essa si alzarono in volo.
L’Adriatico fu attraversato dalle mura in un giorno e verso le dieci della sera apparvero sull’altra sponda.
Sembra che gli Angeli giunti nelle Marche la posarono nei pressi di Ancona, nel luogo in cui oggi sorge la chiesa di Santa Maria Liberatrice di Posatora, il cui nome la tradizione fa derivare proprio da questo evento: posa-et-ora (fermati e prega).
La Santa Casa restò in quel luogo nove mesi; poi gli angeli la sollevarono nuovamente e la posarono nei pressi di Porto Recanati, in località “Banderuola”, dove ancora oggi sorge la chiesetta detta della Madonna “Loreta”.
Furono dei pastori gli unici testimoni del sopraggiungere dell’edificio prodigioso, avvolto in un alone di luce ed i primi a pregare nel sacello. Si ripetono le circostanze di Rauniza. In pochi giorni il luogo divenne celebre.
I visitatori divennero migliaia e di questo approfittarono i ladroni per tendere le loro imboscate. Le rapine si moltiplicarono a tal punto che la paura del pericolo divenne più forte della devozione e i pellegrinaggi si diradarono.
Otto mesi erano passati dall’arrivo della Santa Casa in Italia, allorché improvvisamente essa apparve a tre miglia dalla città di Recanati, su un monticello in vista del mare. Ora davvero nulla sembrava dovesse turbare la quiete dell’augusto edificio. Invece le cose si misero diversamente.
La collina di Recanati era proprietà indivisa di due fratelli, i conti Simone e Stefano Rinaldi di Antici, che presto iniziarono ad approfittarsi dei pellegrini e poi anche a contendersi i guadagni. Stava per scatenarsi una furia fratricida, quando le sacre mura si scossero, l’edificio si levò lentamente da terra, si librò nello spazio e andò a posarsi più in alto, al centro della strada che da Recanati va al suo porto, e dunque in un luogo pubblico, che nessuno avrebbe potuto reclamare e sfruttare. Era la notte fra il 9 e il 10 dicembre del 1296. La nuova traslazione della gloriosa dimora era compiuta.

Storia del Santuario

La Storia del Santuario inizia il 10 dicembre 1294, con l’arrivo della Casa abitata dalla famiglia della Vergine Maria a Nazaret e dove la Madonna avrebbe ricevuto l’annuncio della nascita miracolosa di Gesù.
La nuova traslazione della gloriosa dimora era appena compiuta che il potere taumaturgico della casa cominciò subito a manifestarsi. I Dalmati accorrevano ad omaggiare il perduto tesoro (ce lo descrive anche il filosofo francese Montaigne in uno dei suoi diari). Predicatori ed eremiti si misero in viaggio, case, alberghi, ospizi per i ministri del culto e per i pellegrini si affollarono in poco tempo intorno alla casa di Maria.
Le popolazioni marchigiane riempivano le strade che conducevano alla santa dimora. Uomini, donne, vecchi, fanciulli, gli stessi malati, preceduti da bandiere e da tamburi, si dirigevano incessantemente, di giorno e di notte, verso quello che era considerato un asilo di fede e di speranza, Incuranti delle dispute delle rivoluzioni e della guerra, d’inverno e d’estate, sotto il sole e sotto la pioggia, scalzi, essi domandavano alla Vergine onnipossente il riposo e la pace. Bonifacio VIII intanto proclamò il giubileo e altri pellegrini, masse enormi di stranieri ora accorrevano da Roma a Loreto, e provocavano coi loro racconti diretti, il movimento di altre masse di viaggiatori devoti.
A mano a mano che l’entusiasmo cresceva, gli abitanti di Recanati si preoccupavano della sottigliezza e della debolezza delle sante mura. Posate sulla terra, senza fondamenta temevano per la stabilità delle mura. La città da un momento all’altro poteva rimaner priva del suo più prezioso tesoro. I Recanatesi costruirono intorno al sacro edificio un muro spesso e incrollabile, piantato su solide fondamenta, la preziosa reliquia venne sopraelevata e coperta da una volta e poco dopo circondata da portici, quindi da una chiesetta e infine dall’attuale Basilica.

Fu 1468, per volontà del vescovo di Recanati, il forlivese Nicolò de Astis (ossia Nicolò dall’Aste), cominciarono i lavori per la costruzione del grande Tempio, sia a protezione della Santa Casa, che per accogliere la gran folla di pellegrini sempre crescente che vi si recava in visita. Morto il vescovo già l’anno seguente, nel 1469, fu Papa Paolo II a proseguirne i lavori, anche perché, quando nel 1464, ancora cardinale, venne in visita a Loreto, sarebbe stato miracolosamente guarito dalla Madonna. Nel 1587, con l’aggiunta della facciata, l’edificio poté ritenersi finalmente concluso.

Nel 1604 fu indetto il concorso per la decorazione della Sala del Tesoro, che fu vinto dal Pomarancio, che prevalse sul Caravaggio, su Guido Reni e su Lionello Spada. La sala fu completamente decorata entro il 1610, quindi il Pomarancio si cimentò con gli affreschi della cupola, andati quasi completamente perduti.

Quasi in contemporanea Francesco Selva decorava con stucchi l’Atrio della Sacrestia e Tiburzio Vergelli realizzava, tra il 1600 ed il 1607, il maestoso battistero che ancora oggi si può ammirare nella prima cappella di sinistra della basilica.

La Madonna Nera

La Madonna di Loreto, detta anche Vergine Lauretana, fin dal secolo XVI rivestita di un caratteristico manto ingioiellato, detto dalmatica, è la statua venerata nella Santa Casa. Si tratta di una Madonna Nera: la sua particolarità è il volto scuro, comune alle icone più antiche.
La statua originaria, risalente al XIV secolo, fu trafugata dalle truppe napoleoniche nel 1797, e poi restituita col Trattato di Tolentino e finita a Roma. Durante il periodo di esilio il culto della Vergine Lauretana nella Santa Casa di Loreto fu affidato al simulacro in legno di pioppo (identico all’originale) oggi conservato a Cannara vicino a Foligno in provincia di Perugia e che attualmente rimane l’unico esemplare del periodo napoleonico, dopo l’incendio della statua originale del 1921, ad essere stato venerato nella Santa Casa. La statua originale ritornò nel Santuario con un viaggio da “Madonna pellegrina” di otto giorni, dove giunse a Loreto il 9 dicembre 1801.
Nel 1921 divampò un furioso incendio all’interno della Santa Casa che incenerì la scultura. Per volere di Papa Pio XI, venne subito scolpita una nuova immagine simile alla precedente, utilizzando il legno di un cedro del Libano proveniente dai Giardini Vaticani. Fu modellata da Enrico Quattrini ed eseguita e dipinta da Leopoldo Celani. Nel 1922 il papa la incoronò nella Basilica di San Pietro in Vaticano e la fece trasportare solennemente a Loreto.
Il culto della Santa Casa di Loreto e della Madonna Nera è vivo in molti altre chiese in tutto il mondo, dove in alcuni casi è presente una replica fedele della costruzione conservata a Loreto.

I Miracoli di Loreto

Loreto da più di 700 anni è un punto di riferimento per la cristianità. La città, meta di pellegrinaggi da tutto il mondo, si è sviluppata attorno al santuario mariano dove sono avvenuti fatti che l’uomo non sa spiegare.
Non ci si può occupare della storia del Santuario Mariano di Loreto, che come abbiamo visto include una colorita tradizione popolare, senza accennare ai miracoli attribuiti alla Madonna di Loreto.
La Santa Casa, per studiare con rigore scientifico risanamenti straordinari imputabili alla Vergine di Loreto, istituisce nel 2012 l’Osservatorio medico e di cultura scientifica Ottaviano Paleani, il cui obiettivo è constatare, raccogliere e documentare le innumerevoli guarigioni miracolose, monitorando la loro evoluzione per almeno un anno e giungere, eventualmente, a giudicarle come inspiegabili secondo le attuali conoscenze scientifiche. C’è poi la Commissione medica di secondo livello, che affiancherà nel lavoro di approfondimento l’Osservatorio, ed avrà poi tre anni di tempo per pronunciarsi e avvalorare definitivamente i casi già vagliati dall’organo di primo livello.
Tutte le guarigioni da analizzare sono quarantanove e riguardano soprattutto patologie articolari degeneranti, forme gravissime di tubercolosi, encefalopatie e la procedura di avvaloramento risulta essere anche più rigida di quella messa istituita da Bureau Medical di Lourdes. L’Istituto per le guarigioni inspiegabili di Loreto si basa su due commissioni assolutamente indipendenti nel loro operato, e questo al fine di garantire un giudizio il più oggettivo e imparziale possibile.
L’ultima parola con la certificazione dell’avvenuto, se effettivo miracolo, spetta solo all’arcivescovo di Loreto.

Potremmo partire da molto lontano nell’illustrarvi la storia delle guarigioni miracolistiche della Santa Casa.

1464

Muore in Ancona Pio II. Fra i Cardinali che avevano accompagnato il Pontefice si c’era Pietro Barbo Veneziano, detto il Cardinale di S. Marco. In Ancona in quel tempo c’era la peste e il porporato ne fu violentemente colpito tanto da pensare di essere vicino alla morte. Il Cardinale chiede di essere condotto a Loreto dove il Pontefice Pio aveva ottenuto una grazia da Maria Santissima. Furono fatti uscire tutti e così in solitudine cominciò l’invocazione. Il Cardinale fu osservato cadere in un sonno leggero ed è noto che in quello stato gli apparve la Madonna preannunciandogli l’elezione al soglio Pontificio e la guarigione. Talmente repentina fu la guarigione e la sicurezza di essere eletto Papa che il cardinale fece con sollecitudine svolgere i preparativi a sue spese per far erigere un grande e nobilissimo tempio in onore di Maria Vergine di Loreto. Passò quindi a Roma per la elezione del Sommo Pontefice. Egli fu veramente l’eletto, e prese il nome di Paolo II (1464)

1489

Liberazione immediata di Antonia Argentorix indemoniata di Grenoble dopo tentativi inutili fatti in altri luoghi.

1581

Il filosofo francese Montaigne registra nel suo diario senza alcun commento, in modo impersonale, come fa nel suo diario per tutto ciò che riguarda la religione, di un miracolo, fra i tanti di cui ha sentito dire, avvenuto a Loreto, narrato dallo stesso protagonista Michael Marteau, la cui gamba in cancrena era stata sanata nel corso della sua pellegrinaggio.
Descrive Michael Marteau come il signore de la Chapelle, un giovane parigino molto ricco e con gran seguito che raccontava di aver avuto una gamba dolorante che tutti i chirurghi di Parigi e d’Italia non erano riusciti a curargli. Aveva speso oltre tremila scudi e il ginocchio rimaneva gonfio, inservibile e dolorante. Erano più di tre anni che peggiorava sempre, diveniva più rosso, infiammato e tumido, tanto da provocargli la febbre. Era stato a Loreto quasi due mesi prima e una notte mentre dormiva sognò di essere improvvisamente risanato e gli parve di scorgere un lampo. Si sveglia, grida che è guarito, chiama la propria gente, si alza, passeggia come non aveva più fatto. Il ginocchio gli si sgonfia, tutt’intorno la pelle avvizzisce come morta e in seguito egli continua a migliorare di giorno in giorno senza ricorrere all’aiuto di nessuno.

1630

Jean-Jacques Olier fondatore della “Compagnie des prêtres de Saint-Sulpice”, si ammalò e stava per perdere la vista quando decide di recarsi in pellegrinaggio a Loreto. Presso il Santuario della Santa Casa non solo ottiene la sua guarigione, ma anche una conversione totale a Dio. Più tardi i Sulpiziani si metteranno sotto la protezione della Madonna di Loreto.

1727

Una certa Maria di Angiò (Francia) cadde inferma e per nove mesi. Risultati vani tutti i tentativi della medicina, fece voto di visitare il santuario di Loreto con la speranza di ottenere la guarigione. Nel settembre, intraprese il viaggio verso Loreto e fu totalmente guarita.

1732

Isacca Lamott, nata a Grenoble da genitori calvinisti e trasferitasi con loro a Ginevra. La donna si ammala di un morbo detto “sfacélo” prega la Vergine Lauretana e ottiene la guarigione. Dimentica però di quella “carezza materna”, ricadde più volte nella stessa malattia che la condusse in fin di vita. Rinnovò allora l’invocazione alla Madonna facendo voto di pellegrinare a Loreto se avesse riacquistato la salute. Ottenuta nuovamente la grazia, nonostante gravi difficoltà di vario genere, nel mese di agosto 1732 si recò in pellegrinaggio a Loreto, dove i primi giorni, misteriosamente perdeva la vista appena volgeva lo sguardo alla statua della Vergine esposta nella Santa Casa. Confusa e angosciata, fece la promessa di passare alla religione cattolica e subito poté scorgere l’immagine della Vergine Lauretana in tutto il suo splendore.

1754

La marchesa Teresa Serlupi Acciauoli offrì alla Vergine Lauretana un putto d’argento per aver messo al mondo un bambino dopo nove anni di sterilità.

1815

Il Beato Pio IX, il grande Pontefice nativo di Senigallia nell’anconitano fu “miracolato” nella stessa Santa Casa di Loreto dove si recò in pellegrinaggio nel 1815 perché soffriva di attacchi epilettici.
1840 — Giacobbe Libermann, nato in Francia da genitori ebrei, a venti anni si convertì al cristianesimo e si avviò al sacerdozio a Parigi. Il manifestarsi dell’epilessia, avrebbe potuto compromettere l’ordinazione sacerdotale. Orante e penitente, vestito di un lacero mantello si recò in pellegrinaggio a Loreto dove la Vergine, in una esperienza mistica, lo rassicurò della sua guarigione e che i suoi propositi sacerdotali e missionari erano graditi a Dio. Nel 1848, fondò la Società dello Spirito Santo per le missioni in Africa.

1817

Don Biagio Valentini, sacerdote marchigiano, incontra il missionario Gaspare del Bufalo, ne rimase davvero impressionato. Vorrebbe seguirlo nelle missioni ma le sue condizioni di salute si aggravarono e la tubercolosi lo stava facendo morire davvero in fretta. Un mattino, don Biagio si recò, come spesso faceva, alla Santa Casa del santuario di Loreto e si appoggiò al muro. Non si rese conto che un altro giovane sacerdote stava inginocchiato pregando così: “Vergine santa, bisogna che anche questo faccia la missione!”. Don Biagio si voltò e vide che era proprio don Gaspare. “Volentieri la farei — replicò don Biagio — ma, come le ho detto, io son qui per morire. Sono malato di petto e sono stato spacciato dai medici”. “Confidiamo nella Madonna. Diciamo insieme un’Ave Maria”, disse don Gaspare. Don Biagio, così, cedette allo spirito, rinnegando la ragione che diceva diversamente e partì con don Gaspare per le missioni in tutte le Marche. Don Biagio nelle missioni fu attivissimo, sentiva le forze fiorire; tutti si chiedevano dove trovava queste risorse. Lui vociferava spesso tra sé: “È miracolo! È miracolo!” perché non avvertiva più disturbi. Il dottore e i familiari furono i primi a rimanere sconvolti. Don Biagio sarà così missionario per tutta la sua vita e di lui si raccontano cose straordinarie e grandi miracoli.

1878

La cinquantenne Elisabetta M. Busquet di Avignone (Francia), non potendo reggersi in piedi da sola da ormai 17 anni, arriva a Loreto accompagnata dalla sorella e comincia una novena in Santa Casa. L’ultimo giorno della novena, prima di ricevere la santa comunione, sentì liberarsi della sua infermità e, potendo camminare si comunicò tra le grida di giubilo dei presenti.

1935

Bruno Baldini di Firenze, mentre percorreva con la sua motocicletta la periferia della città, rimase vittima di un grave incidente. Ricoverato in Ospedale di Santa Maria Nuova, gli esami clinici riscontrarono una grave lesione celebrale. Bruno diventa completamente muto e con gravissime difficoltà motorie. Sente una misteriosa chiamata e parte per Loreto. Mentre dorme, in albergo sogno risente la stessa voce che aveva già udito e che gli dice: «Alzati e parla!». Subito si reca dai vicini di stanza che si radunarono per ringraziare la Vergine.

1936

Carolina Sacchi di Milano è fin da tenera età di salute cagionevole. A di sedici anni, viene colpita da pleurite secca bilaterale da cui non guarì mai bene. Ebbe, poi, ben cinque interventi chirurgici: allo stomaco, per appendicite, per briglie all’addome e da ultimo fui operata per peritonite tubercolare. Devota della Madonna ebbe modo di ricevere a Lourdes un primo beneficio fisico e anche il monito: “Lina, se vuoi guarire devi venire in barella e sola”. Nel 1936 si reca a Loreto. Entra nella Santa Casa, e dice “Eccomi come mi hai voluta Tu, nella barella!”. Carolina afferma di essere scossa da un brivido fortissimo e si sente guarita. L’Ufficio Medico di Loreto non fece altro che confermare la guarigione perfetta, la quale rimase stabile negli anni.

1939

Giacomina Cassani di Bardi nel 1930, all’età di 16 anni, incominciò ad accusare dolori alla colonna vertebrale. Dagli esami clinici risultò la presenza di un tumore molle-elastico sulla coscia sinistra. Fu immediatamente ricoverata in una clinica di Parma e successivamente trasferita all’Ospedale Maggiore per curare l’ascesso ossifluente con continuo pus; le venne anche applicato un busto ortopedico, tuttavia senza alcun risultato.
Giacomina va a Loreto e partecipa a tutte le celebrazioni in carrozzella. Al terzo giorno è con tutti gli altri ammalati davanti alla Basilica ma al passaggio del SS. Sacramento accusa dolori lancinanti alla colonna vertebrale. Terminata la funzione religiosa, comincia a sentirsi più sollevata tanto da provare un senso di benessere generale ed ha l’impressione di essere completamente guarita. Quando si ritira nella sua stanza, sente il forte desiderio di togliersi il busto ma l’infermiera non glielo permette. Al ritorno appena arrivata a Parma va alla Casa di cura e lì senza alcuna ombra di dubbio accertano la sua reale guarigione, che si rivela duratura nel tempo.

1939

Giuseppina Comaschi in Rossi, di Mantova, iniziò a 40 anni a soffrire di dolori articolari diffusi che la costrinsero a letto, ad anemie di tipo pernicioso e a poliartrite cronica primitiva.
Il suo medico, il dottor Sandri, accerta un deperimento grave con masse muscolari ipotoniche, una anemia accentuata, con dolori articolari diffusi specialmente alle braccia e alle mani. L’ammalata era del tutto inferma, non si reggeva in piedi e non poteva camminare. Giuseppina desidera visitare la Madonna di Loreto e vi si reca nel 1939. Dopo la Comunione si sente male, tanto da pensare al peggio. Stava per chiamare aiuto, quando si sente avvolta da un calore straordinario, che le dona un benessere mai provato tanto che ha la forza di alzarsi per per recarsi nella Santa Casa dove affermò di provare come un’estasi dolcissima. Il giorno dopo la guarigione era completa e nota a tutti. Una folla di pellegrini la circondò e la portò in trionfo. I medici di Loreto dichiararono concordi la piena guarigione.

1939

Sala Adolfa di anni 30, di Como, fu colpita da dolori alla colonna vertebrale e da paralisi agli arti inferiori e fu costretta a stare a letto di continuo. La paresi si estese agli arti superiori e ai muscoli del collo che la resero incapace di compiere i vari movimenti del capo e del tronco. I medici tentano diverse cure senza risultati. Adolfa nel 1937 va in pellegrinaggio a Lourdes senza alcun risultato. Nel Settembre 1939 Adolfa va in pellegrinaggio a Loreto. Alla messa del mattino celebrata nel santuario, l’inferma avverte una sensazione di intenso calore che si sprigiona prima dalle gambe e poi risale in tutto il corpo regalandole la calma e un benessere generale. Ogni sofferenza era scomparsa ed allora spinta da una forza interiore si alza dalla barella e seduta sul lettino fa la Comunione. Il medico del pellegrinaggio constata l’effettiva guarigione e la guarigione fu duratura.

1959

Il piccolo Lorenzo Rossi, di appena nove mesi, si ammala di broncopolmonite ed arriva all’Ospedale Salesi di Ancona in condizioni disperate. I medici comunicano ai genitori che il cuore del bambino si è fermato. Lorenzo è morto. La madre del bimbo, lacerata dall’angoscia e dalla disperazione, continua a pregare al suo fianco e a ungere con l’olio benedetto della Santa Casa la fronte e il corpicino del piccolo. Lorenzo riprende a respirare e il giorno dopo viene, addirittura, dichiarato fuori pericolo. Oggi è un signore che gode di ottima salute.

1986

Gerry de Angelis, ha undici anni è di San Benedetto del Tronto, rientrando da una gita scolastica mostra i sintomi di una preoccupante polmonite che però non viene capita. Scambiata per una brutta tosse viene curata con un mucolitico che gli causa uno choc anafilattico. Il ragazzino finisce in coma e, in pericolo di vita, e viene trasportato al Salesi, l’ospedale pediatrico di Ancona. A Maria, la madre di Gerry che sta accudendo il bimbo in ospedale, viene detto di avvertire il marito. Il Papà può venire da San Benedetto a prenderli, per volontà espressa, perché per Gerry non ha più speranza, è in fin di vita e solo un miracolo lo può salvare. Franco de Angelis si precipita con l’auto verso l’ospedale di Ancona con il cuore gonfio di agitazione. Qualcosa di misterioso accade. Sull’autostrada, all’altezza del casello di Loreto, una presenza invisibile lo invita a uscire dall’A14, una voce gli suggerisce di raccogliersi in preghiera davanti alla Vergine Nera nella Santa Casa. Papà Franco, quasi sotto choc obbedisce in tutto. Ora la voce inizia a ripetere che «Gerry sta guarendo». Il dolore e l’ansia spariscono e questo genitore, riprende la via dell’ospedale. Quando finalmente accede al reparto di rianimazione, vede che i medici stanno staccando Gerry dai macchinari. Da mezz’ora il bambino è uscito dal coma.

2006

Ad un’anziana signora di nome Gabriella Gardini di Fiuminata nelle Marche è stato diagnosticato un foro maculare miotico nella retina, patologia da cui non si guarisce perché i tessuti dell’occhio non si rigenerano. In visita a Loreto, la nostra vecchina prega davanti alla statua della Madonna nella Santa Casa. Il luogo è angusto con la folla che vi si accalca tutti i giorni. La pia ma arzilla vecchietta si sente improvvisamente guarita e dice a tutti di riuscire a vedere dall’occhio malato.

Legame tra la Madonna di Loreto e l’Aviazione

La Madonna di Loreto è Patrona degli Aviatori dal 1920, quando venne proclamata “Aeronautarum Patrona” da Papa Benedetto XV.
La tradizione lauretana del trasporto in volo per mano degli angeli della Casa di Maria da Nazareth rendeva “ovvia” la scelta della Madonna di Loreto quale Patrona degli aeronauti, cioè di tutti viaggiatori in aereo e in special modo degli aviatori.
Pittori ed ebanisti già nei secoli XVII XVIII raffiguravano la Santa Casa di Loreto sospesa su una nuvola con la Madonna in cima come fosse un pilota ad indicare la direzione. Fu così che dal 1912 la Società Aviatori e Aeronauti dell’Aria, con sede a Torino, si era consacrata alla protezione della Madonna di Loreto e nel 1915 aggiunse l’immagine della Vergine Lauretana alla propria bandiera. Devoti verso la Madonna della Casa Volante, i piloti della venticinquesima squadriglia, fecero dipingere nel 1915 le mura della Santa Casa sulle proprie carlinghe.
Il sacro fascino della Vergine Lauretana, celeste viaggiatrice per la prodigiosa traslazione, ha dei riflessi anche in Gabriele D’Annunzio, autore di celebri imprese aeronautiche, che il 10 Dicembre 1937 al Generale Valle scriveva: “Oggi, dieci dicembre, ricorre la Traslazione della Santa Casa di Loreto, che nel primo ardore della guerra fu da me proposta (sic!) al riconoscimento degli Aviatori e dichiarata Tutelare degli Aviatori, in guerra ed in pace. Sono certo che in tutti i miei fedeli compagni vige l’onoranza alla Vergine Alata, che “in Dalmatiam prius, deinde in Agrum Lauretanum translata fuit”… Io oso oggi, ricordarti la data miracolosa perché tu richiami i nostri Aviatori a mirare irraggiate di tanta gloria votiva le acque dell’Adriatico nostro in perpetuo”…
Le parole di D’Annunzio al di là del loro significato, esprimono la devozione che nell’aeronautica è andata sempre più aumentando.

L’immagine della Madonna di Loreto, protettrice degli Aviatori, è pure legata ad alcuni voli noti alla storia dell’aviazione. Era nell’apparecchio, Spirit of St. Luis, con il quale Lindbergh nel 1927 ha trasvolato l’Atlantico. Nei dirigibili «Norge» e «Italia», quando il generale Nobile effettuò le due trasvolate polari. Questa immagine si trova ora esposta nel Museo della Santa Casa.

L’astronauta McDivitt di sua iniziativa ha chiesto e portato sul primo «lem» lunare, con il volo dell’Apollo 9 una medaglia della Vergine Lauretana. Una piccola effige della Madonna di Loreto, scolpita dal Manfrini, fu posta nella cabina dell’aereo con il quale il Papa Paolo VI effettuò il pellegrinaggio in Terra Santa nel gennaio 1964: il primo volo di un Papa nella storia.

Loreto: Madonna di Loreto e l’Aviazione

Il Giro della Santa Casa nei “Solchetti”

Tra tutti i gesti devozionali della tradizione lauretana, il giro penitenziale sui gradini del Rivestimento marmoreo fatto con le ginocchia dai pellegrini, è quello che riscuote maggiore interesse. Viene descritto per la prima volta nella metà del 1500 eseguito dai pellegrini provenienti dalla Croazia imploranti il ritorno della Santa Casa a Tersatto.
A girare intorno alla Santa Casa con le ginocchia fu anche una Regina Polacca nel 1689.
Questa pia pratica fu approvata e assecondata dall’autorità ecclesiastica, addirittura Clemente XIII, il 1° ottobre 1766, concesse l’indulgenza di sette anni e sette quarantene «a chi girava in ginocchio, nella parte esterna, intorno alla Santa Casa».
Fra i pellegrini di tutto il mondo si è diffusa la tradizione di compiere questo gesto devozionale per esprimere la propria riconoscenza alla Vergine Lauretana per l’ottenimento di una grazia implorata o per ricevere protezione in casi di difficoltà fisiche e morali.
Questa tradizione popolare di religiosità testimoniata dai solchi nel marmo desta di per sé interesse e ammirazione ma, se vogliamo, raggiunge il suo apice di ammirazione e turbamento con l’intensa devozione dei pellegrini russi ortodossi, uomini e donne, che con i candidi veli cadenti sul volto, procedono lentamente e faticosamente sulle ginocchia, chini e raccolti in profonda preghiera.

Festa della Venuta della Santa Casa

La Venuta è una festa tradizionale delle Marche, diffusa anche in alcune zone dell’Umbria, che si tiene da più di quattrocento anni la sera tra il nove e il dieci dicembre, accendendo grandi fuochi in città, paesi e campagne.
Nel calendario cattolico, il 10 dicembre è la festa della Madonna di Loreto, che celebra la traslazione della Santa Casa. Nella notte della vigilia, tra il 9 e il 10 dicembre, in tutte le Marche è viva la tradizione di accendere grandi falò per “rischiarare il cammino alla Santa Casa”, si tratta dei fuochi della notte della Venuta, intendendo per “venuta” l’arrivo della Santa Casa.
Il falò acceso in occasione della festa assume nomi diversi a seconda della zona: focaraccio, fogaró, faone, foghèra, faore, focone o anche semplicemente fuoco della Venuta.
I fuochi si accendono alle prime ombre della sera nelle campagne e nei paesi. In genere sono gli scout, o i rappresentanti delle pro loco e i parrocchiani ad occuparsene. Anche nel capoluogo, Ancona, i vari rioni gareggiano per allestire il fuoco più alto e bello. Quando i focaracci sono ormai bassi i ragazzi lanciano petardi e miccette e si sfidano nell’attraversare le braci saltando, tradizionalmente per nove volte.
La tradizione vuole che i fuochi odierni ricordino quelli che nel 1294 illuminarono la strada alla Santa Casa che in volo stava giungendo a Loreto, che ancora è il centro ideale di questa festa.
I fuochi nelle Marche hanno origine nell’antichità quando erano considerati feste di rinnovamento, di buon auspicio e di purificazione per il nuovo ciclo del tempo.
Nei secoli, con l’affermarsi del Cristianesimo, le feste popolari presentano elementi pagani e cattolici fusi fra loro.
In passato si accendevano i fuochi anche all’alba del 13 dicembre per festeggiare S. Lucia, protettrice della vista, la festa organizzata dai fabbri, e il 4 dicembre per S. Barbara, protettrice dei minatori ed artificieri ma oggi è rimasta solo la festa dell’ Immacolata Concezione dell’8 dicembre.
Nelle Marche il nome antico di faugni (dal latino “fauni ignis”, cioè fuoco di Fauno), è andato perso ma non nella tradizione dialettale Abruzzese dove è ancora vivo in “li Faégnë”.
I fuochi per il passaggio della Santa Casa di Loreto, ci rimandano ai fuochi della Faunalia, la festività Romana molto sentita dai Piceni in onore di Fauno, divinità pagana associata alla fertilità della terra, protettrice di pastori, greggi e agricoltura.
Il Conte Monaldo Leopardi, padre del grande poeta Giacomo Leopardi, nei suoi scritti ci fornisce la descrizione delle prescrizioni della festa ufficializzata nel 1624:

  • accensione (ovviamente) di un grande falò;
  • sparo di mortai;
  • suono di tutte le campane (alle 3,30 della notte, ora in cui la Santa Casa avrebbe toccato terra);
  • fuochi sopra alle torri comunali;
  • lumi a tutte le finestre;
  • chi disponeva di un’arma da fuoco doveva sparare un colpo in aria, in segno di festa;
    celebrazione della “Messa della Venuta”;
  • digiuno durante la vigilia (in Ancona);
  • recitazione intorno al fuoco delle Litanie Lauretane.

La popolazione della provincia di Ascoli e di Fermo consumava un’abbondante pasto battezzato con il nome di “Nataletto” (Natalitte).

Tatuaggi sacri e i marcatori di Loreto

La tradizione del tatuaggio italiano nasce proprio di fronte una delle più maestose basiliche d’Italia più di 500 anni fa, per ragioni mistiche e devozionali.
La tradizione, che proveniva dall’uso Romano di tatuare gli schiavi, riguarderò nelle Marche i ceti sociali più bassi, spesso agricoltori e pastori.
Grande impulso all’uso del tatuaggio si ha nelle Marche come avvicinamento alle stimmate di San Francesco, da cui la tradizione di farsi tatuare principalmente mani e avambracci.
A Loreto, presso la basilica, vi era una massiccia presenza di frati, detti Frati Marcatori, che si era specializzata nell’imprimere sulla pelle dei fedeli i marchi del cattolicesimo. Erano tatuaggi semplici, come il profilo della Madonna di Loreto in Dalmatica e Bimbo Gesù in Braccio, il profilo della basilica, l’ostensorio con il Corpus Domini, simboli dei vari ordini.
Tatuarsi a Loreto era il modo di compiere sino in fondo un percorso di espiazione e possederne il ricordo. Così come oggi i pellegrini di Santiago de Compostela non rinuncerebbero mai ad un timbro per ogni tappa (sellos), così da Loreto non si tornava senza un tatuaggio.
I frati applicavano delle tavolette di bosso incise sulla pelle e le stringevano affinché rimanesse l’impronta. Rapidamente, il marcatore, con un pennino formato da tre punte d’acciaio e manico in legno, tracciava spessi puntini per i contorni. Finito il contorno, il marcatore stirava la pelle in ogni lato affinché non uscisse sangue, e poi spalmava un inchiostro di indaco tradizionalmente prodotto nelle Marche che penetrava lasciando per sempre un’impronta turchina.
La pratica, mal vista dalla Chiesa passò dai frati a poche famiglie del posto ed era ancora viva fino a qualche decennio fa. Non sono rare le foto che mostrano contadini marchigiani intenti a mietere il grano con i marchi della propria fede sugli avambracci.
Presso il Museo Antico Tesoro della Santa Casa di Loreto, sono conservate le “tavolette di bosso” conservate e gli altri utensili dei marcatori.

I TATUAGGI SACRI E PROFANI DELLA SANTA CASA DI LORETO: La perduta tradizione devozionale e profana salvata da una grande scritrice Copertina flessibile — 15 dicembre 2022 di Caterina Pigorini Beri (Autore), Mariano Pallottini (a cura di)
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Mariano Pallottini

Scrivo di patrimonio culturale, identità e rigenerazione culturale dei borghi, turismo, marketing digitale.