Stanno tutti benissimo

Martina Montague
7 min readDec 5, 2017

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Hasta su Abuelo — Francisco De Goya

Se già il concetto di stupro viene messo costantemente in discussione, quando si tratta di abusi da parte di persone con cui lavoriamo, scherziamo, frequentiamo romanticamente, si entra in una zona grigia piena di fraintendimenti in cui è sempre la donna a capire male o a fare qualcosa che invita involontariamente l’uomo alla molestia, insomma è sempre la donna a cercarsela.

Un ragazzo con cui uscivo all’università — lo stesso che mi recitava le poesie di Dino Campana e con cui avevo già fatto sesso regolarmente — una sera, mentre guardavamo un film di Cronenberg, ha avuto l’esigenza di torcermi un braccio dietro la schiena e farmi fare quello che non volevo fare. Non c’è riuscito e mi ha lasciato qualche livido sui polsi. Sono uscita da casa sua all’alba senza pensare veramente all’accaduto. Poi non mi ha più richiamata e ho passato i giorni successivi a scandagliare i momenti passati insieme pensando a cos’avessi sbagliato. Mi sono ritrovata a evitare gli amici in comune perché mi sentivo giudicata e mi vergognavo; ancora oggi non potrei rivedere nessuna di quelle persone.

Episodi di questo tipo (dolori ignorati, repressi, addolciti) si stanno addensando nella mia memoria e ne parlo perché ho bisogno di fare chiarezza, di dirle ad alta voce certe cose.

Ricordo perfettamente di avere avuto attacchi di panico nei mesi successivi a quell’episodio e di non aver capito cosa mi stesse succedendo. Non capivo come mai un ragazzo che avrebbe potuto avere accesso al sesso con me in ogni momento avesse bisogno di quel tipo d’interazione. Come si è arrivati a considerare l’abuso sessuale come un gioco di ruolo e l’esercizio del potere come una dinamica di coppia?

El vol de la libèl·lula davant del sol — Joan Miró

La narrativa che i maschi stanno costruendo, cioè che non hanno capito bene, che hanno frainteso il consenso, è coerente con la spiegazione grazie cui oggi vanno in rehab per evitare il carcere, cioè che sono malati; ed è coerente anche con un quel discorso di comportamento pseudo biologico dove l’uomo è un predatore, noi la preda.

Quest’idea ci ha talmente lavato il cervello che ne sono stata convinta per tanto tempo e ne sono convinte tante delle donne che conosco e che subiscono piccole, continue, costanti microaggressioni fisiche e psicologiche. Dalla mano sul fianco alla palpatina casuale in discoteca, ci hanno raccontato che stava a noi dire no, che l’uomo ci prova sempre, che probabilmente se ci siamo trovate in situazioni pericolose o semplicemente sgradevoli è perché ci siamo finite per nostra volontà, abbiamo mandato segnali e ci abbiamo creduto.

Così oggi, anche grazie a questa pseudo biologia, davanti a un’accusa di molestia l’uomo può reagire negando qualsiasi tipo di rapporto non consensuale e ammettere che se ha ferito qualcuno, questo è un problema che riguarda più la sua salute mentale che la giustizia. L’unica cosa che rimane da fare è mettere a tacere la donna, e siccome non tutti possono permettersi di assoldare ex agenti segreti del Mossad per neutralizzarci, allora le opzioni più sicure per ottenere il silenzio delle vittime sono quelle tradizionali: manipolazioni che mirano a creare insicurezza, lo sfregio dell’immagine pubblica, lo screditamento intellettuale (per cui è sempre nelle nostre teste che ci stupriamo) e la condivisione delle colpe con la vittima dell’abuso. (Questo meccanismo in particolare si mette in scena grazie a una narrazione che non avviene solo a posteriori ma già nel corso dell’atto, durante il quale l’uomo racconta e si racconta una storia che vede lui vittima delle circostanze e non artefice.)

Dopo l’estorsione del consenso, dopo aver sfracellato la psiche della donna e averla fatta dubitare di se stessa, sulle dita dell’uomo resta un’antipatica doratura che occorre scrollarsi alla svelta di dosso, prima che la malcapitata possa usare quella come prova dell’accaduto. È lì, alla fine, che il predatore sonda il paesaggio interiore individuandone le fragilità e si lava le mani nell’autostima della donna, perché se tu smetti di avere consistenza non lo avranno neppure le tue parole.

Exorcism of the Last Painting I Ever Made (detail) — Tracey Emin

Se una vittima di violenze sessuali (Asia Argento) viene degradata da un noto presentare TV (Piero Chiambretti), che suggerisce una certa partecipazione allo stupro subito da Weinstein, è perché quello che si vuole mantenere è uno status quo dove è la vittima a doversi vergognare e possibilmente stare zitta, ancora di più a difendersi. Non credere a Asia è non credere a nessuna donna; ridicolizzare lei, umiliarla, è umiliarle tutte.

Ma se Chiambretti, come tanti, disprezza le donne palesemente (il suo sketch, disgustoso, dice che una donna brutta può fare sesso solo con lo stupro), ci sono altri maschilisti che invece sostengono pubblicamente le cause femministe e fanno mea culpa a nome del loro genere. Questi pseudo-femministi sono uomini che partecipano al dibattito pubblico col solo scopo di avere una reputazione, come se combattessero una guerra preventiva che non li farà mai stare dalla parte sbagliata della barricata. Questa particolare categoria di uomini cela il disprezzo per le donne gridando accanto a loro per la parità dei diritti e la rivoluzione culturale. La loro immagine è estremamente credibile nel ruolo di femministi, come per esempio quella di Luis C.K., che ha preso tutti alla sprovvista e non smette di essere dalla parte delle donne neppure mentre le costringe a guardarlo masturbarsi. Da buon pseudo-femminista ammette l’abuso ma non si scusa mai, e se la sua facciata di femminista non si scalfisce allora la colpa sarà di chi subisce quello spettacolo. Ha costruito una carriera raccontandoci di come fossero brutali e pericolosi gli uomini, mostrato la pochezza di una certa umanità dalla quale non si è mai tirato fuori e creato così una condivisione delle colpe su scala globale che, fra l’altro, non coinvolge solo le sue vittime ma chiunque abbia guardato le sue espressioni goderecce nella simulazione di quell’atto.

Recentemente ho avuto la sfortuna di frequentare un uomo così, altrettanto impegnato sul fronte delle battaglie di genere. Ogni suo abuso psicologico privato era seguito da un facciamo schifo rivolto alla totalità degli uomini, che sentivo ripetermi mentre ammetteva le sue incompletezze. Quest’uomo, che mi ha maltrattata, usata e umiliata in privato, il 25 Novembre manifestava nel corteo di #nonunadimeno e raggiungeva migliaia di condivisioni smascherando il linguaggio sessista dei media e la collusione di questi col patriarcato mentre glorificava la sua immagine pubblica.

Rokurokubi [Ghost of Pussy Head] — Utagawa Kuniyoshi

Lo scherno che mette in scena l’attrice che si è prestata a fare la caricatura di Asia merita empatia: non ha controllo sulle sue scelte perché è intrappolata nel linguaggio sessista, lo stesso linguaggio di Guia Soncini che vede nello stupro la punizione per aver invitato e poi cambiato idea.

Al centro del contenzioso c’è un corpo che provoca e che, agli occhi di Soncini, come di tanti maschilisti, non vuole farsi carico delle conseguenze. Perché ti sei messa quella gonna corta se non vuoi che nessuno ti dia noia? È la domanda che fa Guia a tutte ma la fa soprattutto alle attrici: voi usate il corpo per esprimervi, non è stata conveniente quell’espressione in termini di rendita lavorativa? NO.

Sono sempre stata una donna vistosa, mi è sempre piaciuto esserlo e giocare con la mia sessualità: questo non fa di me una complice, fa di me una che usa il corpo per dire qualcosa della propria libertà, non di quella che potrebbero prendersi gli altri: e se il messaggio recepito è stupro allora non sono certo io a essere rotta…

Siamo di fronte a quella che Umberto Eco aveva definito “comunicazione aberrante”, che si può esprimere come un’incomprensione basata sulla delegittimazione dell’emittente. Quando un uomo guarda una donna non si relaziona alla pari né può concepire un rifiuto, e questo perché ha tutta la tradizione maschilista dietro di lui. Qualsiasi no nella sua direzione, anche se viene totalmente compreso, verrà decodificato come un sì in base a quel sistema di credenze.

“I used to misread people back then”, dice Luis C.K. a una delle sue vittime, ponendo un ulteriore interrogativo su come una concezione distopica dell’altro sesso, che è un problema culturale, possa trasformarsi in un’epidemia mentale… E adesso i molestatori vogliono farsi aiutare. Entreranno da uomini liberi in centri di recupero di lusso e, accuditi da infermiere cui palperanno di tanto in tanto il culo per ribadire il loro status di malati, di vittime, ripercorreranno i traumi che hanno inflitto: ciò che hanno fatto ha lasciato segni su di loro e delle vere vittime non ci si ricorderà neppure il nome. Ma non stanno male, a soffrire è una società che pur di non guardare in faccia i suoi problemi li ha già relegati a patologia. Usciti da queste cliniche, rinvigoriti dalla scoperta esaltante delle proprie incompletezze, staranno tutti benissimo.

Tutto lascia intuire che qualunque parvenza di dialettica tra i sessi si sia sgretolata, e quando ne parlo con amici o colleghi, mi fanno notare che se ogni contatto non richiesto fosse considerato un abuso, se ogni manipolazione una molestia allora tanto varrebbe smettere di frequentare l’altro sesso e spaccare il mondo a metà.

La verità è che, se nella cultura condivisa dalle donne l’uomo è un interlocutore, un partner, di cui aspettiamo un cenno che ci sveli la mutua accettazione, allora creare una realtà comune è forse possibile. Ma prima di tutto, bisognerebbe inventare un linguaggio diverso nel quale Asia Argento è l’eroina della storia e non una puttana.

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