McDonald’s, i gastro-fighetti, il giornalismo che non c’è

Niccolò Vecchia
5 min readApr 16, 2015

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Lo avrete letto da qualche parte. Sapete di cosa parlo: il temporary restaurant “Single Burger” in corso Como a Milano che due giorni dopo l’inaugurazione si scopre essere un McDonald’s sotto mentite spoglie, avendo ingannato gli avventori che pensavano di mangiare panini gourmet.

Ecco, dietro a tutta questa storia della presunta “beffa”, c’è una costruzione di marketing e comunicazione molto ben riuscita. A volte, non sempre, tali costruzioni hanno l’effetto di distorcere la realtà e presentarla per quello che non è. Soprattutto se la stampa, chi dovrebbe poi raccontare ciò che accade, è compiacente o semplicemente incapace di fare il proprio mestiere. Come è accaduto questa volta.

Questo pezzo pubblicato sul sito del Foglio è l’ennesimo (e purtroppo è accaduto anche su testate più valide) articolo/non-articolo scritto sulla vicenda. Ovvero un esercizio di giornalismo senza fonti proprie, senza notizie che non arrivino da un comunicato stampa, senza testimonianze o approfondimenti. Questo pezzo però, oltre ad avere queste caratteristiche poco onorevoli, dimostra assai bene, in modo fin troppo lampante, su cosa si poggi l’idea avuta dalla multinazionale del junk-food, o meglio: da chi sta curando la sua campagna di promozione/riposizionamento del marchio.

«A chi non è venuto in mente di far assaporare un Tavernello in incognito a quegli enologi che quando mettono in bocca due gocce di vino sentono erba appena falciata, aromi di gelsomino, albicocche e sentori mentolati?», scrive Luciano Capone, nel suo attacco. Mettendo subito in chiaro qual è il suo punto di partenza. Ovvero un rifiuto aprioristico di qualsiasi capacità di conoscenza, di approfondimento e di studio su una materia che qualcuno vorrebbe, evidentemente, non si capisce perché, priva di esperti. Poco importa che gli “enologi” contro cui ci si scaglia siano, spesso, professionisti che studiano anni per arrivare alla propria sensibilità gustativa. Diamogli tavernello: è già tanto che lo sdegno reazionario dell’autore non abbia proposto di correggere tale bevanda con del Guttalax, tanto per svelare fino in fondo il proprio intento di purgare il pericoloso intellettuale sovversivo.

«Una cosa del genere l’ha fatta McDonald’s che ha cercato di demolire i pregiudizi sui propri prodotti offrendo i suoi panini — da sempre considerati cibo spazzatura, roba da poveracci o da scostumati alimentari — ai palati fini della Milano chic in cerca di hamburger ricercati», ci dice poi Capone.

Proviamo ad analizzare pezzetto per pezzetto questo modo di porre la questione. McDonald’s vorrebbe demolire dei pregiudizi. Non è da oggi che la multinazionale tenta di convincere i propri clienti della bontà genuina dei panini che serve nei suoi locali: le materie prime sono in parte maggioritaria italiane, ci viene spesso detto, ad esempio. Peccato che sia i valori nutrizionali che, soprattutto, il gusto di tali panini resti quello di sempre. Ovvero…junk food, cibo spazzatura. Non è che quei panini siano “considerati tali”. Lo sono, e dovrebbero esserne consapevoli per primi coloro che li producono.

Attenzione: chi scrive ha mangiato sovente junk food, da McDonald’s e altrove. A me piace il junk food, in piccole dosi magari. Anche per questo, trovo stucchevole l’idea che il junk food tenti d’essere qualcosa di altro da sé: nella patria dell’hamburger, negli Stati Uniti insomma, laddove questo panino è un cibo dalla diffusione capillare, a nessuno verrebbe in mente di mettere sullo stesso piano un hamburger preparato in un ristorante con uno preparato in un fast food, che sia con la M gialla o meno. Non è questione di gastro-fighetteria, sono semplicemente cibi diversi, sapori diversi, campionati diversi. Che senso ha dunque porsi in antagonismo con qualcosa che non è nemmeno in diretta competizione con te?

«La multinazionale americana ha ingaggiato Maurizio Rosazza Prin e Andrea Marconetti, due cuochi pop sfornati da Masterchef, e ha aperto sotto mentite spoglie “Single Burger”, un’hamburgeria gourmet, in una delle zone più trendy della città, corso Como. Grande successo di pubblico e di critica, con i clienti soddisfatti del gusto e della qualità dei prodotti», continua l’articolo del Foglio. E qui arriviamo al comunicato stampa, al non-giornalismo. Grande successo di pubblico e di critica, chi lo dice? Come è stato misurato, nei soli due giorni in cui questo temporary restaurant è stato aperto? Come ce lo racconta e dimostra l’articolista? Non lo fa, e basta. Ce lo comunica quale dato di fatto, riprendendo la sua precedente affermazione, intrisa di fastidio, con cui ci diceva che questi panini en-travesti sono stati offerti ai “palati fini” che avrebbero addirittura l’ardire, scostumati, di voler mangiare un panino più buono della media di un fast food.

A chi legge vengono dunque date due possibilità: o ci credi, che il pubblico era numeroso ed entusiasta di ingollare il panino di McD, convinto di star mangiando una prelibatezza gourmet, oppure ti tieni la tua sensazione di stare guardando uno spot. Son figlio di un pubblicitario, non ho mai avuto nulla contro la pubblicità, anzi. Basta solo che non me la si venda come giornalismo, come informazione. Non lo è. E sulla vicenda io so solo quello che la promozione McDonald’s ha voluto farmi sapere, tanto che l’unica “fonte” citata per dire come è andata davvero…è il video pubblicitario prodotto dalla stessa azienda.

A questo punto si torna al punto di partenza: il calderone di ingiurie generalizzate contro chi non vuol bene a McDonald’s. E dunque mettiamo sullo stesso piano l’idea che quello sia junk food con le polemiche sul fatto che McD sia sponsor di Expo. Ecco, diciamola tutta: se quelle polemiche sono - e lo sono - vuote e inutilmente ideologiche, se non ha alcun senso pensare che una manifestazione globale come Expo possa o debba rifiutare una sponsorizzazione di questo tipo, se questo è semplice buon senso…non significa che uno poi abbia voglia di dire che quei panini siano davvero buoni.

Sono cose diverse, così come è diversa e assurda la polemica del M5S (ma dai, una polemica assurda da loro, chi l’avrebbe detto) sullo spot in cui il bimbo in pizzeria vorrebbe mangiare l’Happy Meal invece di una noiosa margherita. Su una roba del genere basterebbe ridere. Chi di noi non ha visto o sentito (o non è stato in passato proprio in prima persona) un bambino che dice, davanti a un piatto di roba buonissima, che lui vorrebbe mangiare solo ovetti Kinder? Questo non significa che gli ovetti Kinder siano sani (ma come, lo dice la pubblicità, più latte e meno cacao!!!), o che sia una buona idea assecondare i desideri/capricci di un moccioso, ma far passare quella pubblicità come un attentato al prodotto nazionale e al tricolore è una stupidaggine pura e semplice.

Ecco, vorrei rassicurare il Foglio, il suo giornalista e i tanti, davvero tanti, sorprendentemente tanti, paurosamente tanti, che oggi sventolano questa iniziativa promozionale di McDonald’s come una rivincita sui “palati fini”. C’è ancora chi è in grado di discernere. Di sapere che le questioni non sono e non devono essere ideologiche. Che il junk food esiste, e che è diverso dal cibo buono. Che è bene pure che esista, che è divertente qualche volta abboffarcisi, basta tenerlo distinto dalle cose che hanno un buon sapore, oltre a essere più sane.

E dirlo e saperlo non rende né gastro-fighetti, né hipster, per chiudere con le pseudo-categorie contro cui ci si è scagliati ancora una volta: rende al massimo persone informate. Persone che dovrebbero accorgersi di come in questo caso qualsiasi rappresentazione di ciò che è avvenuto è stata distorta per puri fini promozionali. Dando triste dimostrazione di dove oggi stia il giornalismo in questo paese: attaccato, adeso, ai comunicati stampa. Fino a non poter più distinguere una cosa dall’altra.

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Niccolò Vecchia

Giornalista, autore, conduttore radiofonico, social media editor. Music & Food. Radio Popolare, Identità Golose, Il Mangiadischi. http://about.me/niccolovecchia