Come i processi per droga rubano risorse alla giustizia

In Italia oltre 1 milione e mezzo di processi penali è pendente (di cui 400 mila a rischio risarcimento) di questi il 5% per reati legati alla droga

NonMeLaSpacciGiusta
5 min readOct 7, 2016

di Andrea Oleandri

Negli ultimi tempi capita spesso che si partecipi a incontri, dibattiti o a banchetti — in quest’ultimo caso per raccogliere le firme per la legge di iniziativa popolare Legalizziamo! — capita che qualche ragazzo si avvicini chiedendo se sia legale coltivare una pianta di marijuana in casa. La domanda nasce perché, sempre più spesso, tra le pagine di cronaca di giornali c’è la notizia di una persona assolta da una qualche sezione della Corte di Cassazione per aver coltivato quella pianta ad uso personale.

Purtroppo non è così. E le assoluzioni sono molte, ma molte meno, delle condanne. Inoltre, nel marzo scorso, la Corte Costituzionale ha respinto la questione di costituzionalità presentata dalla Corte di appello di Brescia relativa al caso di un ragazzo che aveva coltivato delle piante per uso personale, concludendo che la coltivazione personale aumenta la presenza della quantità di marijuana presente sul mercato e, di conseguenza, già di per sé questo comportamento va punito penalmente, tranne quando è di minima offensività.

Ma non è su questo che ci soffermeremo, quanto sul fatto che un comportamento non violento e di alcuna pericolosità sociale, come spesso è quello legato alle droghe, possa avere ripercussioni pesanti sul sistema dei tribunali.

Lo scorso 31 agosto il ministero della Giustizia ha pubblicato il proprio monitoraggio della giustizia penale del secondo semestre del 2016. Sappiamo così che in Italia i processi penali pendenti sono 1.643.606 e, salvo leggerissime flessioni nel 2008 e nel 2014, i dati sono in costante crescita dal 2003 ad oggi, con oltre 300mila procedimenti penali pendenti in più.

Sappiamo inoltre che la maggior parte di questi si trovano nel tribunale ordinario e, nell’ambito di quest’ultimo, oltre 700mila sono in mano al GIP/GUP, quindi in una fase pre-dibattimentale, mentre 570mila dinanzi al giudice monocratico.

Fonte: Ministero della Giustizia

Un’altra cosa che sappiamo è che 419.298 processi sono a rischio “Legge Pinto” che prevede un’equa riparazione in caso di irragionevole durata del processo. Di questi, la maggior parte, quasi 280mila sono dinanzi al tribunale ordinario. Anche se il dato che più sorprende riguarda i procedimenti pendenti in Corte d’Appello, dove il 40,6% sono a rischio risarcimento.

Fonte: Ministero della Giustizia

Cosa c’entra questo con le attuali politiche sulle droghe?

C’entra, ovviamente, nella misura in cui queste stesse politiche — attraverso leggi proibizioniste e criminalizzanti — impattano con il sistema della giustizia penale.

Il rispetto della normativa antidroga attuale porta infatti ad ingenti arresti ogni anno. Nel 2014 furono 20.752. La maggior parte delle operazioni risulta di puro controllo di spaccio locale, con pochi soggetti implicati (massimo 2 in più del 90% delle operazioni) e poche sostanze (massimo 2 nel 91% delle operazioni). Dietro questo dato si nascondono altrettanti processi penali che, tuttavia, sono sensibilmente di più. Per avere un’idea infatti, più che agli arresti, vale la pena guardare ai denunciati. Sempre nel 2014 furono 29.474. La sostanza stupefacente che ha prodotto il più alto numero di denunce è stata la cocaina (9.070 casi), tuttavia questo dato risente del fatto che, nella classificazione ministeriale, hashish (4885 casi), marijuana (8076 casi) e piante di cannabis (1527 casi) vengano conteggiate separate. Possiamo dunque dire che i reati collegati all’uso di cannabis sono in grande maggioranza con 14.488 denunce (il 49,1% del totale).

Di queste denunce solo 2.766 hanno riguardato l’art. 74 del T.U. 309/90 (associazione finalizzata al traffico di stupefacenti), cosa che lascia intendere quanto la giustizia penale vada a colpire per lo più i cosiddetti pesci piccoli, vale a dire consumatori e spacciatori.

Numeri che contribuiscono a ingolfare i tribunali italiani, in particolare proprio quelli monocratici (ovvero con un solo magistrato nella funzione decisoria), dove finiscono in giudizio la grande maggioranza di questi reati, contribuendo ad un pesante aggravio dei costi che una relazione del Dipartimento per le Politiche Antidroga stima in circa 9 milioni ogni anno. Un dato che tuttavia non tiene evidentemente conto dei processi pendenti. Nella relazione al Parlamento del 2015 infatti, lo stesso Dipartimento, segnala come i procedimenti penali per la violazione del T.U. 309/90 siano nel 2012 41.881 che, moltiplicati per 218,41 € (ovvero il costo medio di un procedimento), restituisce i 9 milioni di cui dicevamo.

Eppure, secondo le statistiche del ministero della Giustizia, al 31 dicembre 2014 i procedimenti penali pendenti per la violazione delle normative antidroga erano 82.934 e gli stessi coinvolgevano 219.019 persone. Numeri a cui ogni anno si aggiungono i nuovi processi (nel 2015, come riporta il 7° Libro bianco sulla legge sulle droghe, 16.712 di persone sono entrati in carcere per reati droga-correlati, mentre le segnalazioni sono state 27.718). Si può ben dire quindi che, al 31 dicembre 2014, il 5% di tutti i processi pendenti riguardavano reati relativi al mercato delle droghe per un costo di oltre 18 milioni di euro.

Fonte: Ministero della Giustizia

Soldi e risorse in termini di personale che serve a mandare avanti processi per i reati meno gravi, come quelli puniti dall’art. 73 del Testo Unico più volte citato, per i quali i procedimenti pendenti sono 78.535 (circa il 95% del totale).

Le soluzioni

La filiera della repressione costa ogni anno allo stato circa un miliardo e mezzo di euro tra forze dell’ordine, tribunali e carcere. Esborso che non solo non consente di contrastare il mercato illegale delle droghe, ma mette anche a serio rischio la salute dei consumatori e la sicurezza dei cittadini.

Diversi stati lo hanno capito e hanno iniziato a battere altre vie con risultati soddisfacenti come dimostrano le stesse statistiche governative di quei Paesi. Queste strade sono, da una parte la legalizzazione della cannabis e dall’altra la depenalizzazione di tutte le altre sostanze stupefacenti.

Le droghe non sono un problema penale, ma di salute. Nessun consumatore dovrebbe finire nel percorso polizia-giudice-carcere, ma essere avviato verso le strutture sanitarie.

Imboccare questa strada significherebbe liberare le attività delle forze di polizia, dei tribunali e liberare le carceri di numerosi detenuti, finiti nel circuito penale, per reati non violenti e di alcuna pericolosità sociale.

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NonMeLaSpacciGiusta

Campagna della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili - per un dibattito informato e una riforma delle politiche sulla droga.