Ern Malley: grandezza di un poeta inesistente

Marco Fulvio Barozzi
8 min readMar 20, 2016

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Una delle burle letterarie più riuscite del Novecento fu compiuta durante la seconda guerra mondiale da una coppia di soldati australiani di stanza a Melbourne, presso il quartier generale di terra del loro esercito. I due sottufficiali, il tenente James McAuley (1917–1976) e il caporale Harold Stewart (1916–1995), erano entrambi poeti di Sidney che condividevano una feroce insofferenza verso la poesia modernista e un astio particolare nei confronti della conventicola surrealista guidata dal giovane prodigio Max Harris (1921–1995), l’editore ventiduenne di Angry Penguins, lussuosa rivista dedita alla diffusione dell’avanguardia poetica nel paese dei canguri.

Un sabato pomeriggio dell’ottobre 1943, McAuley and Stewart prepararono la raccolta delle opere di un tal Ernest (Ern) Lalor Malley. Imitando i poeti moderni che più disprezzavano (non Max Harris in particolare, ma l’intera corrente letteraria modernista), i due scrissero sedici poesie prendendo versi a caso da libri e giornali che avevano a disposizione (un dizionario delle citazioni di Shakespeare, uno studio americano sui luoghi di sviluppo delle zanzare, ecc.). Poi mescolarono false allusioni e citazioni, scrissero “confusi e inconsistenti cenni a un significato” al posto di un tema coerente, e produssero deliberatamente ciò che a loro sembravano bruttissimi versi. Battezzarono la loro creatura Malley con riferimento al francese mal, ed Ernest, ricordando Oscar Wilde, perché essi non erano onesti e sinceri.

Più tardi i burloni aggiunsero un’altisonante “prefazione e avvertenza” dell’autore, fornirono Malley di una biografia romanticamente sfortunata, e crearono la sua provinciale sorella Ethel, un vero colpo di genio. Fu lei che inviò a Max Harris l’opera postuma di Malley, The Darkening Ecliptic (L’eclittica che si oscura), accompagnata da una lettera in cui diceva di aver trovato casualmente il manoscritto e che fino ad allora non sapeva dell’opera poetica di suo fratello. Confessando la propria ignoranza in campo poetico, chiedeva ad Harris se poteva interessargli.

Ern, scriveva, era nato in Inghilterra nel 1918. Fu portato in Australia dopo la morte del padre due anni dopo, e fu lasciato alle cure di Ethel dopo che la loro madre era morta quando lei aveva quindici anni. Dopo aver abbandonato la scuola, il giovane aveva lavorato in un’autofficina di Sidney e poi come assicuratore e riparatore d’orologi part-time a Melbourne. Nel 1943 era tornato a Sidney, dove era morto a causa del morbo di Graves (ipertiroidismo).

La candida Ethel, la provinciale illetterata, ebbe l’effetto di rendere credibile la breve e triste esistenza di Ern. La semplicità del suo racconto ispirò Harris a immaginarsi la commovente biografia di un poeta che, come Keats, era come una fiammella estinta prima del tempo. “Le settimane prima della sua fine furono terribili – scriveva Ethel. – A volte sembrava star bene e voleva parlare con me. Dalle cose che diceva intuii che era stato innamorato di una ragazza di Melbourne, ma che c’era stato qualche contrasto tra di loro. Non volli chiedergli di più perché era nervoso e irritabile. La crisi arrivò improvvisa, ed egli è mancato il 23 luglio. Secondo le sue volontà, è stato cremato a Rookwood”.

Ern Malley era proprio ciò che piaceva all’avanguardia: un eroe tragico. Le sue poesie erano piene della premonizione di una morte precoce e della convinzione che la grandezza poetica sarebbe stata sua se solo avesse potuto vivere altri cinque inverni. McAuley e Stewart fecero morire Malley alla stessa età di Keats, a venticinque anni. In Colloquio con John Keats, Malley scrive:

I have arranged the interstellar zodiac

With flowers on the Goat’s horn, and curious

Markings on the back of the Crab. I have lain

With the Lion, not with the Virgin, and become

He that discovers meanings.

.

Now in your honour Keats, I spin

The loaded Zodiac with my left hand

As the man at the fair revolves

His coloured deceitful board,

(…)

Like you I sought at first for Beauty

And then, in disgust, returned

As did you to the locus of sensation

And not till then did my voice build crenellated towers

Of an enteric substance in the air.

Ho decorato lo zodiaco interstellare

con fiori nel corno del Capricorno, e curiosi

segni sul dorso del Cancro. Ho giaciuto

con il Leone, non con la Vergine, e sono divenuto

colui che scopre i significati.

Ora in tuo onore, Keats, faccio girare

il ricco Zodiaco con la mano sinistra

come l’uomo della fiera ruota

la sua illusoria tavola colorata

(…)

Come te cercai per prima la Bellezza

e poi, disgustato, ritornai

come te al luogo della sensazione

e non prima di allora costruì la mia voce torri merlate

di una sostanza enterica nell’aria.

Tra le false piste sparse nelle poesie, McAuley e Stewart seminarono alcuni indizi autentici sul mistero di Ernest Malley. In Sybilline, per esempio, questi versi alludono alla natura evanescente dell’autore:

It is necessary to understand

That a poet may not exist, that his writings

Are the incomplete circle and straight drop

Of a question mark

And yet I know I shall be raised up

On the vertical banners of praise.

È necessario comprendere

che un poeta potrebbe non esistere, che le sue parole

sono il cerchio incompleto e cadente

di un punto di domanda

e tuttavia so che sarò innalzato

dai vessilli verticali della lode.

Malley possiede anche una voce profetica e una seria visione storica, come in questi indimenticabili versi da Petit Testament:

But where I have lived

Spain weeps in the gutters of Footscray

Guernica is the ticking of a clock

The nightmare has become real, not as belief

But in the scrub-typhus of Mubo.

Ma dove ho vissuto

la Spagna piange nelle fogne di Footscray*

Guernica è il ticchettio di un orologio

l’incubo è divenuto reale, non come pensiero

ma nel tifo fluviale di Mubo**

*Una frazione di Melbourne

** Località di una battaglia durante la campagna dell’esercito australiano contro le basi giapponesi in Nuova Guinea, nel 1943.

Harris abboccò all’esca di nome Malley, che gli sembrava un poeta della stessa levatura di W. H. Auden o Dylan Thomas. Altrettanto fecero anche i suoi protettori e amici, tra i quali Sidney Nolan (1917–1992), che sarebbe diventato il pittore australiano più celebrato della sua generazione. Essi dedicarono il numero successivo di Angry Penguins alla loro eccitante scoperta. Scriveva estasiato Harris:

“(Yet) I am firmly convinced that this unknown mechanic and insurance peddler is one of the most outstanding poets that we have produced here. Yet this is not based on any romantic reaction to the circumstances by which his poetry has come into possession, nor by the great artistic self-possession with which he treated his forthcoming death. It is the perfection and integration of his poetry”.

“Sono fermamente convinto che questo sconosciuto meccanico e venditore di assicurazioni sia uno dei poeti più notevoli che questa terra abbia generato. Tuttavia questo giudizio non è basato su una qualsivoglia reazione romantica alle circostanze con le quali la sua poesia è venuta in nostro possesso, né sulla grande consapevolezza artistica con la quale egli ha affrontato la sua morte imminente. È la perfezione e completezza della sua poesia”.

Tale entusiasmo fece sì che essi caddero subito vittime dell’imboscata quando la burla fu rivelata dalla stampa nel giugno 1944. Anche se le notizie della guerra avevano sempre il primo posto (lo sbarco in Normandia avvenne in quello stesso mese), la storia si diffuse rapidamente in Inghilterra e in America, dovunque con le stesse reazioni: la generale derisione di Angry Penguins, l’umiliazione di Max Harris, un colossale colpo per il modernismo in Australia. La burla fu un atto estremo di critica letteraria, una brillante parodia al servizio di una dura polemica. Se, come McAuley e Stewart ribadirono, le poesie erano prive di valore artistico, allora gli estimatori di Malley avevano accusato se stessi di giudizio poco sensato e di mancanza di gusto.

Ma la storia non finisce qui. E accaddero cose ancor più strane. La polizia dell’Australia del Sud confiscò il numero di Angry Penguins dedicato a Malley con l’accusa che le sue poesie erano oscene, nonostante il loro contenuto erotico fosse trascurabile rispetto, ad esempio, a Tropico del Cancro o a Ulisse. L’udienza di settembre fu il palcoscenico delle testimonianze involontariamente spassose di un poliziotto idiota di nome Vogelsang, che non conosceva il significato delle parole che riteneva fossero indecenti.

Ci fu anche il colpo di scena della sorprendente e davvero eroica intransigenza di Max Harris e del suo gruppo, che, perseverarono ad onta del ridicolo a credere nel genio di Malley. “Il mito talvolta è più grande che il suo creatore” giunse a dire Harris, che nel frattempo aveva assunto un investigatore privato per verificare se davvero Ethel Malley fosse una persona reale o un’invenzione. Il poeta, critico letterario e filosofo Sir Herbert Read (1893–1968), instancabile patrocinatore dell’arte d’avanguardia, fece giungere il suo appoggio dall’Inghilterra. Gli sembrava che i burloni fossero stati “colpiti dal loro stesso petardo”. Era possibile, così argomentava, arrivare all’arte vera attraverso falsi mezzi, anche con un imbroglio. Con il tempo altri giunsero a condividere questo punto di vista e il vento in Australia girò di nuovo in loro favore. Gli editori del Penguin Book of Modern Australian Poetry (1992) scelsero di inserire tutte le poesie di Malley nella loro antologia.

Si può proprio dire che la creatura è sfuggita al controllo dei suoi artefici e gode di un’esistenza autonoma, al di là, e nonostante, le intenzioni critiche e satiriche di McAuley e Stewart. Essi ebbero successo molto più di quanto potessero desiderare o immaginare. Le poesie di Ern Malley hanno eclissato tutto ciò che è stato scritto dai due inventori con il loro vero nome.

Petit Testament, l’ultima poesia di Malley, si conclude con questi versi:

I

Who have lived in the shadow that each act

Casts on the next act now emerge

As loyal as the thistle that in session

Puffs its full seed upon the indicative air.

I have split the infinitive. Beyond is anything.

Io,

che ho vissuto nell’ombra che ogni atto

getta su quello successivo, ora emergo

fidato come il cardo che quando è il momento

soffia il suo seme pieno nell’aria indicativa.

Io ho diviso l’infinito. Al di là non c’è nulla.

Un errore di stampa nella prima edizione cambiò infinitive (modo infinito del verbo) in infinite (infinito). Malley non se ne sarebbe lamentato.

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