Una notte a stelle e strisce

In dormiveglia con le elezioni U.S.A.

Stefano Pace
8 min readNov 18, 2016

Di Stefano Pace

Pane di riso con sottiletta light, la cui salubrità viene subito bilanciata da una buona dose di maionese e un leggero tocco di triplo concentrato di pomodoro. La fame notturna ha gusti strani. Oppure sono in uno stato di dormiveglia da troppe ore e sto cercando di disegnare stars di maionese e stripes di pomodoro su una fetta di pane?

In questa tornata elettorale non mi son fatto mancare niente. Ho perso un po’ dei campionissimi delle primarie, quelli che sanno che hanno pochi giorni (o a volte ore) di visibilità e vanno giù come discesisti su ogni tema. Spettacolari tribuni da cabaret che però hanno il merito di indicarti dove tirerà il vento quando le cose diventeranno serie e ci saranno due candidati veri. Poi ho recuperato, incluse due delle tre nottate dei dibattiti fra Clinton e Trump. Non posso quindi mancare all’appuntamento finale, l’all-in al tavolo da gioco chiamato elezioni presidenziali. Al tavolo siedono due giocatori noti: Trump vs. Hillary. “Sono qui per il mio budget di fine anno, ma se volete un presidente…” (Trump). “ Sì, vorremmo essere i Kennedy del nuovo millennio” (Clinton).

Mi avvicino alla nottata provando a non cedere allo stantìo senso di certezza affettato da varie fonti. Se giornali e sondaggisti normalmente documentati danno percentuali intorno al 90% di vittoria per Clinton c’è un problema epistemologico (parola grossa per dire: in fisica quantistica hanno capito da tempo che non esiste la certezza, perché i sondaggi fingono di non saperlo?). Sono tanti a dare una cifra simile? Allora il problema è talmente grosso che nessuno si prende la briga di alzare il ditino per dire che qualcosa non gira e c’è un implicito consenso a portare avanti l’errore. Trovi probabilità come il 99,9% nelle fabbriche automatizzate che producono viti e ogni tanto scartano quella col micron in eccesso o difetto. Il 98% probabilmente non esiste in meteorologia. Il 95% su una vicenda sistemica e sociale come un’elezione significa che qualcosa nei media sta scricchiolando. E infatti…

Di conseguenza, sui sondaggi in questo periodo ho provato ad affidarmi un po’ di più a Five Thirty Eight di Nate Silver, che almeno propone cifre leggermente più prudenti. Anche Nate Silver sballa e ora prova a capire cosa è successo, ma almeno dalle sue parti hanno sempre avuto la prudenza e qualche dignità metodologica nel non far mai scendere Trump a livelli inverosimili, neanche quando per gli altri era spacciato-eliminato-ma come fa a vincere?-zero tituli. E un evento che ha una probabilità di accadere di circa un terzo (29% era la probabilità di una vittoria di Trump assegnata da Five Thirty Eight prima del martedì elettorale) è un evento nel campo del possibile. Per capire se devo stare sveglio nella notte elettorale, faccio quindi un calcolo: cosa farei per un evento che ha probabilità di accadere di circa un terzo? Cambierei una lavatrice che macchia nel 29% dei casi? Certo. Mi alzerei prima al mattino sapendo che il bus potrebbe non passare col 29% circa di probabilità? Sì. Insomma, il 29% fa compiere azioni. Quindi, mi tocca star sveglio la notte (sgrunt) per vedere come evolve la storia, evitando di considerare scontato l’esito.

Partono i cavalli

Entro in assetto di gara. Ripasso la mappa per vedere dove concentrare le calanti energie ed evitare la solita deriva mediatica che inonda di dati inutili. Mi chiedo ancora perché si ostinino a suddividere il New England in staterelli che fanno solo perdere la vista e inizio la notte. Computer aperto con tutte le finestre pronte e ordinate. Cellulare connesso. Televisione accesa. Scorta di yogurt in frigo, gusti misti a seconda di come si mette la serata. Se devo fare alba, sono pronto a caffè allungato con yogurt magro al caffè. E doppio shot di latte di capra per darmi la scossa. Noi duri non facciamo sconti alla notte.

Ecco i primi dati da Kentucky e Indiana, ma non sono segnaletici, sono territorio di Trump. Se perdesse lì allora anch’io direi 98% e andrei a dormire. Ops… qualcosa si muove in New Hampshire (il New England…), lì in alto a destra. No, falso allarme: al Washington Post stanno calcolando statistiche e iniziando a colorare la mappa sulla base 61 voti. Leggasi sessantuno. Capisco che per Bezos una scatola è una scatola (1) e va contata. Un piccolo 2 messo su un piccolo 3 fa il 66,7%, sì, ma non è la stessa cosa di 2000/3000. La notte è già fonda, ma sono ancora abbastanza lucido da rifiutare numeri che non abbiano un minimo di consistenza (come il triplo concentrato di pomodoro che ora è molto consistente nello stomaco).

Quel frammento di fibra di carta è puntato verso Gore o verso Bush?

Una corsa fra cavalli un po’ lenta. Poi, dalla retrovie parte il cavallo Florida… Per me Florida ed elezioni sono un’immagine precisa: il tizio che perde non so quante diottrie per vedere i dettagli di incisioni, i cenni di incrinature, la struttura atomica della cellulosa di una scheda elettorale. Si scrive Florida, ma si legge recount. Florida è parità mossa da un refolo di vento. Avete presente la famosa farfalla il cui battito d’ali crea uragani dall’altra parte del mondo? Secondo me vive in Florida.

Accadrà qualcosa di simile anche quest’anno? Il colore della Florida inizia ad alternare blu clintoniano e rosso trumpiano. “Trump sta vincendo la Florida!” da una parte, mentre qualche minuto dopo “Clinton in testa!” Si va avanti così e a ogni cambiamento di colore si avvicina il battito d’ali, il refolo che potrebbe assegnare la vittoria a Hillary Sanders era simpatico ma Clinton oppure a Donald ‘La sparo più lontana, andatela a prendere Trump? E invece non è recount. Le diottrie dei funzionari sono salve e col tempo si vede che Florida è di Trump. I sondaggisti del 99% iniziano ad aggiornare la loro (chiamiamola così) statistica.

[Fonte: New York Times]

Firewall

Ma tanto si sa: un battleground state di può perdere per Clinton, l’importante per lei è mantenere il firewall di stati sicuri. Talmente sicuri che da candidata alcuni neanche li visiti durante la campagna elettorale. Talmente firewall che giochi con l’idea che magari punti qualche dozzina di milioni di dollari in advertising non su questi stati, ma sui cavalli trumpiani, giusto per fargli paura. Ma il termine firewall ha evidentemente due componenti. Se uno considera solo wall, allora compare l’idea di un muro alto e che nessun candidato sia abbastanza scattante da scavalcare il muro di stati tradizionalmente democratici. Se però uno si concentra su fire, la prospettiva cambia. Le porte tagliafuoco funzionano, ma devono essere chiuse. La campagna di Clinton ha usato nella propria mente il concetto di wall (concetto eminentemente trumpiano…) e si è lasciata andare. Le porte tagliafuoco funzionano, ma se hai una piccola apertura altrove, il fuoco entra e si diffonde. Ed è quello che accade. Il fuoco di Trump trova un pertugio in una fascia dell’elettorato (suggerimento: lasciate stare per un attimo i white non-college di cui discettano tutti; concentratevi anche sui cubani della Florida e su altri micro-strati elettorali) e si espande per tutta l’America, colorando gli stati, prima con un pallido rossino, poi in modo più decisamente rosso.

Nate Silver

Nate Silver

Non solo si rompe la diga del firewall clintoniano; avviene anche la rottura della diga dei sondaggi del 90%. In questa rovinosa caduta, va dato atto a Nate Silver — che pure è uno dei protagonisti della sconfitta del sondaggismo — che aveva provato a mettere in guardia da un effetto: se un candidato avesse sotto- o sovra-performato in uno stato rispetto alle previsioni, bisognava considerare la possibilità che tale divergenza fra voti e sondaggi si estendesse anche ad altri stati. In pratica, Silver aveva ricordato che gli errori di stima fra stati non sono indipendenti. Un errore sistematico può coinvolgere più di uno stato. E ciò si è verificato (pur non esaurendo le possibili spiegazioni degli errori nelle previsioni). Il problema era sistemico, non legato a errori indipendenti nei diversi sondaggi. Non è una questione di un sondaggista che non ha voglia di chiamare al telefono in una contea, mentre un altro preferisce in modo eccessivo andare nei centri commerciali in un’altra contea. C’è stato da qualche parte un errore ricorrente e presente in ogni sondaggio. Strati elettorali poco propensi a raccontarsi ai sondaggisti? Difficoltà sistemiche con alcune modalità di raccolta dati? Si vedrà col tempo, ma si vedrà parlando alle persone e osservandole, non interrogandole col questionario in mano.

Red (meat) stripes

I caveat non hanno trovato eco, le prudenze su come leggere un numero non sono state enfatizzate adeguatamente, perché, come scrive danah boyd, oggi i numeri nei media non sono numeri, ma sono spettacolo. Lo spettacolo ha mangiato il potere dei Big Data, oppure ne ha fatto emergere un’ineludibile debolezza interna.

“Io me te magno”, versione Trump

I dati si spostano verso ovest, negli spazi aperti dove si vota di base qualunque candidato somigli vagamente a un cowboy solitario e repubblicano. Prima di arrivare agli stati solidamente clintoniani della costa pacifica, la notte elettorale ha ormai preso la sua piega. Vagheggio idee di spaghettate fantozziane, ma sembra poco in linea con la dieta americana e rinuncio. Per capire meglio cosa sta accadendo in America, dovrei mangiare una Trump steak, lo so. Ma improvvisare un BBQ domestico a notte fonda mi distrarrebbe dai miei schermi, sorry Donald.

“A che punto è la notte? — Ormai contende con il mattino chi dei due debba essere”.

Ok, se uno deve aspettare la California per vedere chi ha vinto, significa già che c’è già un vincitore. Non tiriamola troppo in lungo. “A che punto è la notte?” si diceva in Macbeth. So solo che per me è ora di stendermi. L’azione diplomatica di succhi gastrici pronti a tutto provano a sedare la guerra atomica fra maionese e pomodoro. Il pane di riso vegano inizia a protestare contro la maionese iper-industriale e fa picchetti nello stomaco. Tutto si mescola, succhi gastrici e idee. Sullo schermo inizia la sfilata delle prime analisi: rabbia, voto di protesta, America profonda. Ok, ma sono cliché che valgono per ogni elezione americana. Per capire bene queste elezioni bisognerà aprire meglio la scatola americana e guardare dentro. Ma per stanotte, il gran teatro delle elezioni americane chiude il sipario.

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Stefano Pace

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