INCONTRI

Una serie di fotografie che raccontano l’incontro fra un gruppo di migranti e gli italiani che hanno raccolto la storia del loro viaggio.

Teatrodeglincontri
15 min readMay 24, 2014

Quelli che vedete sono una serie di scatti di Teresa Sala e Stefano Nardi presso il Centro Rifugiati del Comune di Milano — Cooperativa Farsi Prossimo, di viale Fulvio Testi. Scatti che rappresentano un incontro, la condivisione di un’esperienza teatrale.

Teatro degli Incontri, nato nel 2010 a Milano, ha, da sempre, posto al centro della propria azione l’incontro tra un gruppo di attori e di professionisti del teatro e le comunità di cittadini: migranti, rifugiati, ragazzi e preadolescenti, senza fissa dimora; che di volta in volta sono state chiamate a dire la loro sui grandi temi della vita e della condizione della città, con il teatro.

Negli anni, a partire da un piccolo nucleo di persone, si è arrivati a coinvolgere decine di cittadini e di attori, realizzando una serie di piccoli eventi teatrali, nelle sedi delle comunità coinvolte, e grandi manifestazioni rivolte a tutta la città, che hanno sempre visto la partecipazione di centinaia di spettatori.

Un incontro tra attori professionisti e cittadini attori, tra teatro nei luoghi chiusi e teatro nelle piazze e nei parchi della città, tra italiani e migranti.

Una domanda messa in comune sulla città, le sue trasformazioni, testimonianza del presente e insieme bisogno di futuro.

Gianluigi Gherzi

MARZIA & D.

Ho fatto un viaggio lungo tre mesi, un viaggio che si ripeteva ogni mercoledì sera. Qui, dentro questo centro, ho incontrato persone che mi hanno regalato canti, danze, giochi e storie. Di questo viaggio ho conservato un incontro speciale: quello fatto con D.

D. arriva da una sottile striscia di terra che si chiama «casa», larga 110 km e lunga cinque volte tanto, è una terra secca dove non ci sono fiumi né laghi. D. arriva dal Togo. È un ragazzo alto, forte e robusto come un albero. Si sa che un grande albero ha grandi radici e più in là di dove è nato non può andare. Per molto tempo l’albero non si era domandato cosa ci fosse oltre le sue radici.

Un giorno, dopo 28 anni, l’albero deve ribellarsi al suo destino di albero, deve scappare, per motivi politici. Trova rifugio in Italia e si divide in due, perché in Togo ha lasciato la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro, il suo negozio: aggiustava computer e componenti informatici.

Un giorno D. mi dice che il regalo che vorrebbe fare all’Italia è «un po’ di lavoro». Mi racconta che quando va in giro, incontra qualcuno e gli chiede: «Cosa fai?» Sempre rispondono: Niente. «Dove vai?» In giro. «A far cosa?» Niente. D. mi ha detto che a casa sua tutti hanno un lavoro, è per questo che lui regalerebbe all’Italia: «un po’ di lavoro.»

Ma la cosa che D. avrebbe voluto davvero portare nella sua valigia è lei… la sua moto, compagna di tanti viaggi e di tante scoperte.

Poco tempo fa D. è partito di nuovo, è andato in Francia alla ricerca di un nuovo sogno. D. mi ha lasciato una cosa importante, il suo ricordo. Buona fortuna D.!!!

storia raccolta da Marzia Alati

MANUELA & S.

S. mi racconta il suo viaggio: «Questo è il viaggio che mi ha portato in Italia. Dal Senegal all’Italia. Io vengo dal Senegal. Lì facevo il calzolaio: i sandali che indosso li ho fatti io. Giocavo a basket, cosa che continuo a fare ancora adesso qui, e suonavo lo djembe con un gruppo.»

«Un giorno, mentre stavamo provando col gruppo, si è presentato un tipo e ci ha fatto una proposta: andare a fare uno spettacolo di djembe in Romania. Noi abbiamo accettato, e così siamo partiti. Abbiamo preso l’aereo e siamo arrivati in Romania.»

«Ma lì il nostro “impresario” è scomparso. Il giorno dopo il nostro arrivo si è volatilizzato. E con lui tutti i nostri documenti e tutti i nostri soldi.»

«Ci siamo dispersi. Io e un mio amico del gruppo abbiamo incontrato un ragazzo senegalese che ci ha detto che era meglio per noi andarcene e partire per l’Italia: ci ha messo in contatto con un autista di pullman Romania-Italia, e così abbiamo fatto. Dopo un giorno e una notte siamo arrivati a Milano… e da qualche mese io sono ospite di questo centro in viale Fulvio Testi.»

storia raccolta da Manuela Guerrini

MARTA & L.

L. ha lasciato il Senegal senza sapere dove andare, perché mamma e papà, che non scorderà mai, erano morti e per lui era diventato pericoloso rimanere. Con un camion è andato in Mali, ma era pericoloso per i Tuareg, e quindi è andato in Niger. Dal Niger è andato in Libia passando per il deserto in un camion grande, pieno di persone, 200-300 persone.

Un viaggio difficile che non dimenticherà mai… un mese nel camion…

Qualcuno è rimasto senza mangiare, senza acqua, qualcuno è morto. Lui era rimasto senza acqua e un ragazzo maliano l’ha aiutato. In Libia ha provato a lavorare, ma era molto dura: si è ferito, gli hanno consigliato di partite per l’Italia e gli hanno procurato una barca.

La barca era stipata di donne e bambini, in mezzo e sotto, e di uomini, intorno, dove era più pericoloso. Il mare era forte, vento, sole, acqua in faccia. Gli alberi non c’erano. Due giorni interminabili, fino a quando, alle 4 del pomeriggio, il mare si stava alzando e non ci sarebbe stata più speranza. Ma in quel momento è arrivato l’elicottero dei soccorsi italiani.

L. porta con sé una foto di questo momento, ripresa dall’elicottero, in cui tutti guardano in alto estenuati, ma felici, per l’arrivo dei soccorsi. Si intravede anche il piccolo L.

Con barche più piccole, prima le donne e i bambini e poi gli uomini, sono stati portati in salvo, sulla costa di Lampedusa.

Lì gli hanno curato le ferite e poi è stato portato in un centro a Foggia e infine a Milano.

storia raccolta da Marta Rossi

SWEWA & F.

F. è sola e stanca. F. parte nel mese di dicembre. F. parte da sola dalla sua città di U. Parte con una valigia. Dentro la valigia un unico vestito. Colore verde. Verde speranza.

Viaggia verso Dakar. Sale sul treno. Si ferma in Mali. In Mali prende una «big car» e arriva in Libia. In Libia F. grida: «Help! F. no money!» «Help! F. alone!» «Help!»

F. incontra Maryama. Maryama la porta a casa sua. F. lavora per quattro mesi. F. lava, pulisce, «Take children to school.» F. cucina. F. «work.» F. «work» per quattro mesi. E guadagna 450 dollari, «450 dollars.» F. «pay boat», paga il viaggio in barca.

Cinque giorni nel mare freddo di maggio. «Five days» di «cold» e «no food». F. arriva a Genova e da Genova «pay ticket.» «Pay ticket for train.» «Milan. F.»

F. sola e stanca arriva a Milano nel centro rifugiati Sammartini. F. è sola e stanca. «F. alone. F. tired and alone.»

F. viaggia per sei mesi. «Six month.» Viaggia con una piccola valigia con dentro un unico vestito. Colore verde. Verde speranza. Verde viaggio. Verde terra fertile.

F. ha lasciato a casa sua la sua cosa più preziosa. M., 14 anni. M. occhi grandi. M. pelle nera. M. profuma di ebano…

Ti avrebbe piegato come il suo vestito più prezioso, posto con amore nella sua piccola valigia, e portato con sé per sempre.

storia raccolta da Swewa Schneider

LUANA & M.

M. mi racconta del suo bambino: «Nella mia valigia quando sono partito avrei voluto portare il mio bambino. Lui sta in Senegal, con mia mamma, ma è sempre qua con me…»

«Quando cammino penso a lui, quando vado al mercato penso a che cosa avrei comprato per lui, quando vado al parco immagino che gioco avrei fatto con lui… ricordo sempre quando giocavo con lui. In Senegal c’è sempre un adulto che gioca con i bambini, perché pensiamo che giocare sia il modo migliore per insegnare loro la vita. E così a turno ogni adulto gioca con tutti i bambini del quartiere.»

«Il mio bambino ha una storia magica… il mio bambino dormiva sempre nel lettone con me, come faceva anche il mio papà con me quando io ero piccolo. Ogni notte mio figlio si addormentava sul mio petto e poi, prima di addormentarmi, lo prendevo e lo posavo al mio fianco. Così ogni notte mi addormentavo con il bambino al mio fianco… ma ogni mattina mi risvegliavo con il bambino sul mio petto… ed ero certo che ogni sera il mio bambino era al mio fianco, come ero altrettanto sicuro che ogni mattina mi ritrovavo mio figlio sul mio petto… ma come il mio bambino ogni notte passasse dal mio fianco al petto è sempre stato un mistero… una magia… ora che sono qui lontano da lui, so che quello era il suo posto, sul mio petto.»

storia raccolta da Marta Rossi e Luana Usuelli

ANTONIETTA & Z.

Z. viveva in Mauritania, in un piccolo paese chiamato «Rosso», in condizioni di semi schiavitù. Da quando era rimasta vedova con due figli piccoli, uno di 11 anni e l’altro di 7 anni, la situazione era peggiorata, non aveva diritti sociali né per sé, né per i figli. La discriminazione razziale non le consentiva una vita dignitosa.

Z. decide quindi di fuggire per rifarsi una nuova vita, lasciando alla madre i suoi figli nella speranza, un giorno, di potersi a loro ricongiungere. Si nasconde nel sottofondo di un camion e dopo due giorni e due notti di viaggio, senza né acqua né cibo, arriva alla sua prima tappa nel Western Sahara.

Le si illuminano gli occhi al ricordo del deserto, della sua luce e dei suoi colori. Non dimenticherà mai quell’immagine e nemmeno i meravigliosi colori dei vestiti e dei veli che quel popolo indossa per difendersi dal vento e dalla sabbia.

Avrebbe voluto fermarsi ma, ahimè, la discriminazione dilaga anche là. La cacciano, non vogliono nemmeno essere avvicinati dalla gente di colore nero. Per altri due giorni e due notti si nasconde nel sottofondo di un camion e raggiunge la Spagna, Madrid, dove facendo elemosina riesce a racimolare euro a sufficienza per pagarsi un treno per la Francia e successivamente per l’Italia.

A Milano si trova molto bene, le piace la città, la gente non la schiva, anzi, è cordiale ed educata con lei. Racconta di essere diventata a sua volta razzista: vuole trovarsi un uomo e rifarsi una vita, ma lo vuole bianco. Una cosa però le manca e qui non riesce a trovarla: il cibo del suo paese. Riso, carne e verdura: si chiama Thieboudienne.

storia raccolta da Antonietta Menna

MARZIA & F.

F. mi racconta la sua storia: «Sono nata e cresciuta in Senegal. Ho vissuto per 33 anni a Ghedauay. Sono scappata dal Senegal perché al mio paese praticano riti sacrificando i disabili. Per me il Senegal non era sicuro.»

«Così un giorno, prendo un aereo e parto, con una associazione culturale, per la Francia. Sono arrivata in stazione. Sono rimasta tre mesi in quella stazione. In stazione dormivo, non mi allontanavo mai troppo, avevo paura di perdermi.»

«Un giorno, ho incontrato una persona, un uomo Senegalese. Abbiamo parlato a lungo. Lui mi dice che la Francia non è un paese buono per le persone di colore, né per i disabili. Mi ha consigliata di andare in Italia, paese più accogliente. Lui mi dà dei soldi per prendere il treno e partire. Non ricordo il suo nome: lui per me è il mio “Bays des fay halla”.»

«“Bays des fay halla” significa “uomo che arriva dal cielo”, che ti aiuta senza voler nulla in cambio. Grazie a lui oggi sono in Italia, vivo a Milano da sei mesi. Grazie Italia.»

storia raccolta da Marzia Alati

RICCARDO & M.

M. racconta così il suo viaggio: «L’Egitto, la mia terra. È bellissima la mia terra, ma io non posso più rimanere qui. Devo partire! Devo raggiungere l’Italia… Milano! Devo trovarmi lì, davanti al “Qasr”, il castello, davanti alle sue porte.»

«Prendo la prima nave che incontro, ci salgo sopra. Inizia il mio viaggio!»

«Passa qualche giorno e inizia a farmi male lo stomaco, non mangio nulla, perché soffro il mal di mare. Mi trovo sul ponte della nave, vicino al bordo, troppo vicino… mi gira la testa, a stento mi reggo in piedi… quel bordo è sempre più vicino, mi sporgo troppo… sto cadendo in mare! Una mano mi afferra, mi riporta sulla nave. Quel signore di cui ancora adesso non ricordo il nome, mi ha salvato… Mi ha salvato la vita!»

«Sono salvo, sono ancora qua. Posso continuare il mio viaggio!»

«Passano i giorni 5, 7, 9… 10 e finalmente arrivo sulla prima isola italiana, Lampedusa. Ma riparto subito, perché devo raggiungere Milano, il ”Qasr”… Vado a Messina, poi a Trapani, ma non posso rimanere neanche qua, riparto… prendo un’altra nave e arrivo a Napoli!»

«È bellissima Napoli, la pizza è buonissima, le napoletane poi sono bellissime! Ma non posso restare, devo raggiungere Milano… il “Qasr”!»

«Prendo un treno, sono giorni che non dormo, sono stanchissimo, le ore passano e passano, passano, passano… passano… e poi finalmente arrivo a Milano! Vedo quelle mura… le mura del “Qasr”, il castello, e mi trovo lì davanti alle sue porte… all’ingresso di una nuova vita!»

storia raccolta da Riccardo Gargiulo, Carlo D’Orta, Dario Mosca

ILARIA & Y.

Y. mi dice: «La cosa che non posso dimenticare è quando mia mamma mi ha detto prima di andare in Italia: “Fai il bravo, non bere e non fumare”. Vengo da Dakar, in Senegal.»

«Il giorno prima di partire mamma ha fatto la valigia per me. Lei si chiama M. T. Mi vuole molte bene. Mia mamma ha messo i vestiti sul letto e anche il mio cappellino, quel cappellino lo portavo sempre in Senegal, anche quando dormivo. Si chiama Kabbral ed è fatto a mano con cotone nero. Lo portano tutti i Baye Fall che sono i discepoli di Cheick Ahmadou Bmaba, che è una guida di un gruppo religioso che si chiama Baye Fall.»

«Quando sono partito, mentre ero in aereo pensavo: “Mamma mi mancherai, chissà se imparerò l’italiano”.»

«Poi sono arrivato a Lione e ho preso il treno per Ginevra, e a Ginevra ho preso il treno per Milano. La cosa più bella che ho visto appena arrivato a Milano è il Duomo. Poi quando ho aperto la mia valigia e ho visto che il cappellino non c’era. Ho chiamato mamma e le ho detto: “Dov’è il mio cappellino? Ho visto che non l’hai messo nella valigia!”. Lei mi ha detto: “Il cappellino tu lo hai lasciato sul letto!” Chissà se incontrerò qualcuno che sa lavorare all’uncinetto? Il Kabbral non si trova qui in Italia…»

«Ora, quando sento mia mamma al telefono, lei mi dice: “Come stai? Stai mangiando? Dormi bene? Mi manchi”.»

storia raccolta da Ilaria Caelli e Marica Moretti

SIMONA & Z.

Z. mi racconta la sua storia, che comincia con un rumore: «Bang bang gun gun.» Dalla valigia di Z. escono rumori e spari, «bang bang gun gun,» e voci che dicono: “non si può uscire, gli spari sopra sono per noi, solo la casa e l’officina sono sicure.” «Bang bang gun gun.»

Z. viene dalla Palestina, lì faceva il meccanico: gli piaceva, sapeva aggiustare ogni tipo di macchina, gli piaceva soprattutto aggiustare il motore. Ma non c’era più niente lì, solo spari e rumori che martellano la testa. «Via! Andare lontano!»

Ha lasciato la Palestina nel 2011 e ha girato «Egitto, Tunisia, Grecia e Ungheria, Europa.» Si è fermato in Romania, ci è rimasto più di un anno 1 anno: 7 mesi in un centro, 4 mesi per strada e 3 mesi in ospedale. In Romania stava male perché non si mangiava e nessuno aiutava nessuno, per strada la gente gli passava di fianco e diceva: “lascialo stare,” “quello è morto, lascialo lì.” Voci nella testa, voci per la strada, «man, not dog, man.» Un giorno per strada è passato un uomo palestinese che l’ha soccorso e portato in ospedale. «Letto e niente date: che giorno è, che mese è, che anno è? Solo spari e rumore nella testa.» Solo giorno e notte e i capelli che si staccano a ciocche.

Non ha più rivisto il passante che l’ha salvato per strada. Poi nel 2013 è arrivato in Italia, per un mese è stato in stazione centrale, binari morti, vagoni vuoti, sale d’aspetto. Poi un passante gli ha raccontato del centro di viale Fulvio Testi ed è arrivato qui. L’Italia gli piace «perché c’è aiuto».

Nella sua valigia Z. avrebbe voluto portare l’acqua, perché in Palestina tutti fuori casa hanno un pozzo o un posto dove prendere acqua. Qui in Italia invece è molto strano, l’acqua sta in bottiglie di plastica, sa di plastica e noi andiamo a comprarla… nella sua valigia Z. avrebbe voluto portare lo Zeit Palesti Asslì, l’olio originale palestinese. L’olio più buono che esista sulla terra. Finché ha vissuto in Palestina, beveva un bicchiere d’olio ogni mattina. Da bambino sua mamma gli faceva bere un bicchiere di olio ogni mattina e sua nonna faceva bere un bicchiere di olio ogni mattina a sua mamma. «Zeit Palesti Asslì.»

storia raccolta da Simona Livrieri

CARLO & M.

M. è di Kabul, Afghanistan. Decide di scappare dalla sua terra natia perché non ne può più di quella guerra e poi non c’è lavoro. Parte a bordo di un gommone stracolmo di persone: «Tremiamo abbiamo freddo e paura, arriva un’onda che ci porta su su e poi giù in uno schianto. Siamo tutti in acqua, il gommone è perso, vedo e sento piangere i miei compagni; ma dopo pochi istanti sono solo, il mare me li ha portati via. Sono in mezzo al mare agitato con su il giubbotto di salvataggio, mi faccio coraggio e per un po’ nuoto e cerco i miei compagni, ma niente non trovo nessuno. Mi stanco quasi subito, mi sento pesante e rischio di affondare, mi tolgo i vestiti e rimango con il giubbotto. Sono così esausto, sfinito e stremato che mi addormento o forse svengo, mentre il mare mi sbatte ovunque. Mi sveglio di colpo, non è un sogno: c’è una grande nave turistica che sta mandando una scialuppa a salvarmi. Appena arrivato a bordo dico che ci sono altre 14 persone in mare. Solo dopo scoprirò che nonostante la nave fosse greca ci hanno riportato in Turchia all’ospedale di Istanbul, ma la cosa peggiore è stato sapere che due di noi non sono più stati ritrovati.»

«Dopo un mese io ed altri amici ricompriamo un’altra barca con un motore e riproviamo a fare l’attraversata da Izmhir alla più vicina isola greca; nonostante la mia paura questa volta sia perché il mare era calmo e sia perché il punto dell’attraversata era migliore rispetto alla volta prima arriviamo a Kalimnòs in Grecia. La polizia greca ci prende e ci porta ad Atene in un centro di accoglienza. Comunque mi trovo bene e riesco a trovare un lavoro come falegname, a conoscere un po’ di persone e anche a trovarmi la fidanzata. Rimango in Grecia per un anno, faccio domanda di asilo ma nulla si muove e così il mio permesso di soggiorno scade e mi trovo costretto a scappare in Svezia con un volo di linea. Lì mi affidano per 9 mesi ad una famiglia perché sono minorenne, all’epoca avevo 17 anni. Durante quel periodo vado a scuola e imparo lo svedese, ma poi mi rimandano in Grecia perché avevo già fatto lì la domanda di asilo. In Grecia sono rimasto poco perché non c’era lavoro e quindi decido di nascondermi sotto un TIR che è diretto in Italia. Rimango lì sotto per 20 ore consecutive di cui una parte fermo nella pancia di una nave trasporti, una volta arrivato a Trieste salto giù e vado in questura a fare domanda come rifugiato. Dopo tre mesi a Trieste mi mandano a Brindisi al centro di accoglienza in attesa del permesso di soggiorno che arriva solo dopo 8 mesi, durante i quali mangio, dormo e gioco a palla volo tutto il giorno. Alla fine mi comunicano quali erano i posti disponibili presso i centri rifugiati in Italia tra i quali c’era Milano che ho scelto.»

storia raccolta da Carlo D’Orta

CREDITS

FOTO

Teresa Sala e Stefano Nardi

TESTI

Storie raccolte dagli attori di Teatro degli Incontri presso il Centro Rifugiati del Comune di Milano — Cooperativa Farsi Prossimo, viale Fulvio Testi

CONDUZIONE DEL PERCORSO

Silvia Baldini, Giuseppe Buonofiglio, Soledad Nicolazzi

DIREZIONE ARTISTICA

Gianluigi Gherzi

2014

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Teatrodeglincontri

Il progetto Teatro degli Incontri nasce nel 2010 dall’unione di alcuni operatori teatrali milanesi sotto la direzione artistica di Gianluigi Gherzi.