“Stop Caporalato”: la comunità sikh dice “Basta!”

Silvia Costantini
7 min readMar 24, 2020

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“Stop Caporalato”: la comunità sikh dice “Basta!” — Foto di Marcello Scopelliti
“Stop Caporalato”: la comunità sikh dice “Basta!” — Foto di Marcello Scopelliti

“Dopo tre anni ci ritroviamo di nuovo sotto la Prefettura, nella stessa piazza, per dire no tutti insieme al caporalato, allo sfruttamento e alla tratta”, così Marco Omizzolo, sociologo responsabile scientifico della cooperativa In Migrazione e ricercatore Eurispes, inizia il suo intervento alla manifestazione “Stop Caporalato” del 21 ottobre 2019 a Latina.
Davanti a lui circa tremila persone:
rappresentanti dei sindacati Flai-Cgil, Uila-Uil e Fai-Cisl, ma soprattutto loro, i braccianti sikh arrivati in piazza con otto pullman da tutto il territorio dell’agropontino.

La comunità sikh dice “Basta!”

“È questo il dato molto interessante: per la prima volta è la comunità che parte, si organizza e dice “basta!”, e tutti e tre i sindacati sono presenti per sostenerla” sottolinea Omizzolo.

Era il 18 aprile 2016 quando quasi in quattromila si ritrovarono nella stessa Piazza della libertà, sede della Prefettura di Latina, per uno sciopero allora organizzato dalla cooperativa In Migrazione con la Flai-CGIL e la comunità indiana. Fu la prima grande manifestazione che accelerò l’approvazione della nuova legge contro il caporalato, la 199/2016 (legge 199 del 29 ottobre 2016, entrata in vigore il 4 novembre 2016). Il 9 agosto 2019 un altro importante passo avanti: la legge della regione Lazio per il contrasto al Caporalato “Disposizioni per contrastare il fenomeno del lavoro irregolare e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura”, redatta il 14 agosto ed entrata in vigore il 17 agosto 2019.

Com’è la situazione oggi?

La situazione è migliorata, nel senso che qualche controllo in più si è fatto: le operazioni della polizia ne sono il frutto. Sul lato economico c’è stato un aumento nel tempo che è ancora parziale: si è passati da una media 2,50 euro l’ora, a una media 4,55 euro l’ora dopo lo sciopero del 2016, il Contratto provinciale del Lavoro ne prevede 9,00 lordi, quindi siamo al 50%. Quest’ultimo sciopero è stato organizzato anche per sperare di alzare la media a 5,50/6,00 euro l’ora arrivando intono al 60%”.
Questa crescita, anche se di poco, “ha già dato loro la chiara sensazione che impegnarsi e partecipare significa migliorare le proprie condizioni lavorative e sociali”.

“Stop Caporalato”: la comunità sikh dice “Basta!” — Foto di Marcello Scopelliti

La dimostrazione evidente è la presenza di tremila persone in piazza di lunedì pomeriggio che tradotto in azioni pratiche significa l’aver comunicato al proprio datore di lavoro che si sarebbero assentanti, il raccogliersi e accordarsi per muoversi dalle campagne da Terracina a Lavinio, organizzarsi in pullman e arrivare tutti a Latina davanti alla Prefettura.
La comunità conta circa 30000 persone, c’è anche chi dice tanto è inutile e non si ottiene niente. Io frequento molto la comunità e i templi e quel che si percepisce è che c’è un’idea di chiedere i diritti, che è l’elemento centrale, poi magari ci riescono o meno ma essere visibili è un passaggio fondamentale per chi ha vissuto l’invisibilità insieme allo sfruttamento”. Un altro segno importante riguarda proprio l’ultimo triste evento di cronaca dell’imprenditore che ha sparato sui braccianti per farli lavorare di più: “certo la tutela ancora un po’ manca ma le forze dell’ordine sono intervenute in modo tempestivo e questo 10 anni fa sarebbe stato impossibile. Ma la cosa interessante è che la denuncia è stata fatta dal bracciante stesso, cioè il bracciante che viene sfruttato non si rifugia più nella sua baracca e nel suo privato accettando tutto, ma ci mette faccia e va dalla polizia. Questo significa che, al di là della situazione in sé ancora drammatica, c’è una presa di coscienza”.

Il percorso è ancora lungo soprattutto sul piano della tutela sanitaria e la conoscenza della lingua italiana, fattore determinante per garantire loro un’autonomia non solo sociale ma soprattutto una garanzia nella stipula dei contratti lavorativi. Per il primo aspetto “ci vogliono competenze specifiche, si tratta di medicina per migranti che vivono in determinate situazioni: ci vuole sensibilità e competenza. Nelle campagne è presente Emergency con la clinica mobile, che fa un ottimo lavoro ma la strada è ancora lunga”, sottolinea Omizzolo.

In piazza la presenza e l’appoggio significativo dei tre sindacati, Flai-Cgil, Uila-Uil e Fai-Cisl, che aiutano i lavoratori nella tutela dei loro diritti, ma il nodo dell’apprendimento della lingua italiana rimane fondamentale, come di nuovo evidenzia Omizzolo: “rispetto a dieci anni fa siamo molto in avanti, in tanti parlano italiano ma non ancora a sufficienza per leggere un contratto di lavoro, la busta paga o quel che scrivono quando fanno una denuncia. Questo per noi è l’obiettivo centrale: abbiamo realizzato corsi per raggiungerlo. Magari c’è scritto 10 a fronte dei 100 che gli spetterebbero e restano “fregati” sul piano legale. Accompagnarli in questo senso è fondamentale, per questo dico che non è soltanto una vertenza sindacale, ma è sociale. È molto più complessa”.

“Stop Caporalato”: comunicare e creare strumenti di integrazione

Dal 2011 seguo la questione del caporalato in stretto contatto Marco Omizzolo realizzando dei documentari. Avevo l’esigenza di raccontare quel vedevo così, anche se di formazione non sono un documentarista, lo sono diventato. Poi ho capito che non bastava perché bisogna agire e così mi sono messo in prima persona a parlare dei problemi: io sono sikh e sono coinvolto ovunque ci sia una comunità indiana”, parla Harvinder Kapil Singh, designer e film-maker, tra i fondatori di “Cara Italia”.

Nel gruppo “Cara Italia”, che ha come obiettivo creare strumenti di integrazione, come l’apprendimento della lingua italiana, Harvinder si occupa del parlare proprio alla sua comunità. “Abbiamo riscontrato che la prima esigenza è proprio quella di imparare la lingua italiana, perché non è automatico che chi lavora nelle campagne riesce a imparare italiano. Se non sai la lingua alcuni meccanismi non li capisci anche perché sei cresciuto in un contesto culturale diverso: un italiano spesso questo lo ignora per questo è importante che sia uno di loro a raccontarglielo. Soltanto dando loro la possibilità di esprimersi possiamo anche combattere la malavita interna”.
Quando parliamo di caporalato spesso non prendiamo in considerazione che il caporale possa essere un appartenente alla comunità sikh, un interno. È per questo che la situazione è ancora più complessa di quanto appare. “Il caporalato indiano nasce dalla legge Bossi-Fini, da quella parte che dice che il datore di lavoro può assumere direttamente una persona di conoscenza e questo, unito ai centri di impiego che non funzionano, ha creato un sistema dove il datore sceglie un suo “fidato” della comunità che a sua volta sceglie i braccianti da coinvolgere”, spiega Harvinder e prosegue “Capita che il caporale sia un indiano che vuole fare soldi: si attiva così un meccanismo colluso interno. Occorre smantellarlo e metterli fuori. Ma non è facile”.
Altro fattore importante è la comunicazione, quel che arriva del sistema Italia in India: “Ieri parlavo con un ragazzo che in India era proprietario di una farmacia. Si è venduto tutto, ricavando 20.000 euro per venire qui in Italia pensando di trovare “l’America”. Ora fa il bracciante. Serve una seria comunicazione tra il governo indiano e italiano per informare bene nel paese di origine su quello a cui vanno incontro, altrimenti questi ragazzi partono con la speranza e si ritrovano in queste condizioni. Poi una volta qui chi ha investito i soldi, tutto quello che aveva, non ha il coraggio di chiedere aiuto a casa: come fa? Non parla la lingua e rimane incastrato nel caporalato interno che sommato al grande si “mangia tutto””.

“Stop Caporalato”: la comunità sikh dice “Basta!” — Foto di Marcello Scopelliti

Contrastare il caporalato significa quindi anche più azioni di integrazione, più comunicazione e informazione: è, come più volte ha sottolineato nei tanti anni di lotta Marco Omizzolo, comprendere situazioni “che definiscono un modello sociale, prima ancora che lavorativo che comprende condizioni, a volte gravi, di emarginazione e discriminazione”.
Un percorso lungo ma che muove passi anche su questo piano, come documenta la scelta di Harvinder: “Personalmente ho messo da parte il realizzare documentari proprio per andare in prima persona a parlare. Sto facendo corsi di italiano e c’è in cantiere un progetto per la ripopolazione dei paesi abbandonati chiedendo terreni da coltivare per dare lavoro alle persone della comunità. Così si tirano fuori le persone dalla schiavitù e dal caporalato e diventano loro stessi imprenditori”.

“Stop Caporalato”: le promesse della Prefettura

Tremila persone radunate delle ore 16,00, si confrontano, ascoltano. In piazza sventolano le bandiere dei sindacati, i turbanti colorati di ogni dimensione e fattura contano la maggioranza di chi ha portato con sé le proprie tradizioni vivendole nel quotidiano non sempre con facilità. Non mancano lavoratori di altre nazionalità, provenienti dall’Africa e dall’Est Europa, perché “L’Italia è un Paese multietnico e non dobbiamo fare distinzioni: il lavoratore è unico, senza colore”, ricorda Cati Didi Boboc, Presidente dell’Anolf (Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere) di Latina-Cisl.

Al microfono a turno si alternano interventi per ricordare il motivo dell’esser tutti qui, tutti insieme verso un nuovo passo avanti. Gurmukh Singh, presidente della Comunità Indiana del Lazio, traduce ogni intervento e invita a sedersi per dare la possibilità di seguire a tutti, anche a chi è più lontano. Ci siamo è il momento di entrare in Prefettura e chiedere al prefetto, Maria Rosa Trio, un’applicazione più stringente e integrale della legge del caporalato 199/2016, un nuovo passo avanti: “maggiori e più qualificati servizi sociali di sostegno, più protezione e riqualificazione delle persone sfruttate, controlli più diffusi e avanzati, il sostegno economico e politico alle imprese di qualità che producono senza sfruttare, un contrasto preventivo e repressivo nei riguardi di caporali, padrini e padroni di ogni genere e nazionalità”.
Una delegazione composta da Gurmukh Singh, Marco Omizzolo e i rappresentanti dei tre sindacati varca l’ingresso della Prefettura alle 17.30 per uscirne alle 18.30 con le risposte: “il Prefetto si è impegnato a partecipare al prossimo incontro presso l’INPS del 30 ottobre della “Rete della sezione del lavoro agricolo di qualità” per organizzare meglio il sistema del lavoro. Si è impegnato a migliorare il servizio per quanto riguarda i permessi di soggiorno e a presentare alle istanze superiori, quindi al governo, anche una richiesta di sanatoria”.
Un piccolo passo avanti!

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