La narrazione come strumento politico per distorcere i fatti

Dagli Stati Uniti della guerra del Golfo alla Lega e al M5S, come lo storytelling politico sacrifica la verità per influenzare l’opinione pubblica

Aleph Magazine
3 min readJun 7, 2018

“Come posso fare a meno di vedere quel che ho dinanzi agli occhi? Due più due fa quattro”.
“A volte, Winston. A volte fa cinque, a volte tre. A volte fa cinque, quattro e tre contemporaneamente. Devi sforzarti di più. Non è facile diventare sani di mente”.

In Oceania, il mondo creato da George Orwell in 1984, 2+2 è uguale 5 e le dita della mano di O’Brien, uno dei membri del gruppo politico che governa il paese, sono 6: ogni cosa è capovolta, perché “qualsiasi cosa il partito ritenga vera, è vera. È impossibile vedere la realtà se non guardandola attraverso gli occhi del partito”.

Ogni partito politico, nei libri come nella realtà, dà una narrazione di sé discostandosi inevitabilmente, chi più chi meno, dalla purezza dei fatti. Ma d’altronde nessuno può fare a meno di raccontare.

Come scrive Jonathan Gottschall nel saggio L’istinto di narrare, «gli esseri umani sono creature indissolubilmente legate alle storie, e le storie toccano praticamente ogni aspetto della nostra vita». Narrare è un istinto dell’uomo, un atto involontario che facciamo ogni giorno. Abbiamo una sensibilità unica nei confronti delle storie, in particolare di quelle che rispecchiano i nostri desideri e la nostra interiorità.

«Ma la mente narrante è imperfetta — sottolinea Gottschall — La mente narrante è allergica all’incertezza, alla casualità, alle coincidenze. È assuefatta ai significati e, se non riesce a trovare degli schemi significativi nel mondo esterno, cercherà di imporveli. In parole povere, è una fabbrica che, quando può, produce storie vere, ma quando non può sforna menzogne».

La politica ha imparato a sfruttare questa nostra inclinazione. Ogni candidato si presenta all’opinione pubblica con una precisa narrazione di sé e del mondo, necessariamente limitata e parziale, ma organica e onnicomprensiva, capace di dare una precisa collocazione a tutti i tasselli che compongono la realtà.

Il risultato è l’inevitabile manipolazione della verità che a volte si spinge oltre i confini del lecito, sconfinando nella menzogna.

Così nel 2003 George Bush invase l’Iraq facendo scuotere a Colin Powell, il suo segretario di stato, una fiala di antrace davanti al consiglio di sicurezza dell’Onu, falsa prova della presenza di giacimenti di armi chimiche nel paese di Saddam Hussein.

Il presidente Bush seppe raccontare al proprio popolo una storia persuasiva. Una storia facile da comprendere, che raggiunse tutti e che, soprattutto, intercettò le emozioni, i desideri e le paure degli americani.

In Italia, il Movimento 5 stelle e la Lega, i partiti maggiormente premiati dal voto popolare, sono stati quelli che hanno prodotto una narrazione organica di sé e del mondo. Hanno individuato nemici da combattere ed eroi da salvare, dando vita ad un racconto persuasivo che risponde ai nostri bisogni, ma che ammette un’unica interpretazione e che ha come sola voce narrante quella del leader.

La narrazione univoca del partito che governa l’Oceania, che sovverte le leggi della logica senza un fine comprensibile, porta Winston Smith, protagonista di 1984, a mettere in dubbio ogni certezza.

“In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?”

La narrazione riesce a colmare i vuoti della realtà, a rendere fluida la Storia fino a confonderla con il racconto. Tutto sta nell’onestà con cui riempiamo quei vuoti, nella consapevolezza che non esiste un solo modo per mettere in ordine i tasselli della realtà e che quest’ultima è troppo complessa per essere imprigionata in una sola narrazione.

Eleonora Numico

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