Quella volta che Rousseau e Mussolini si sono incontrati al bar

Aleph Magazine
7 min readOct 4, 2018

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Premessa: Salvini non è fascista, Rousseau non è grillino. Questo è solo un gioco senza pretese di accuratezza storico-filosofica, figlio di una notte e dei fumi di diverse Peroni.

Si chiama Caffè Florian, in onore del più antico del mondo. L’elegante facciata settecentesca, arricchita di pregevoli motivi floreali in stile liberty, nasconde al suo interno il classico bar di provincia: un anonimo bancone di legno da un lato e una sfilza infinita di tavolini e sedie di metallo sparsi in modo disordinato per l’amplissimo locale. Periodicamente cambiano l’arredamento, per far adattare i nuovi arrivati dicono, ma il risultato di questo pastiche di epoche non è mai un granché. Al Caffè Florian però trasmettono TG da tutto il mondo, prima con ingombranti televisori in bianco e nero, poi progressivamente con sottili plasma da 42 pollici appesi un po’ ovunque alle pareti e inoltre ormai da secoli sono distribuiti i principali quotidiani terreni. Per quelli che sono riusciti a comprendere il mezzo, o più semplicemente sono morti di recente, da poco pare ci sia anche il wifi. Il Caffè Florian così nel corso dei tempi è diventato il luogo di riunione prediletto da filosofi e politici che non si stancano di seguire l’attualità nemmeno dall’al di là.

In uno dei tavolini siede sempre da solo un uomo sulla sessantina, indossa un vistoso abito all’armena di colore rosso e un altrettanto improbabile parrucca ricciolata da ancien regime. È Jean-Jacques Rousseau. Ha litigato praticamente con chiunque in quel posto ma si ostina a venire. Il gruppo di illuministi che fa comunella poche sedie più in là non gli ha mai più rivolto la parola da quand’era in vita. Ultimamente si è appassionato di politica italiana e da anni tenta di comprendere la piattaforma a lui dedicata; a onor del vero, il primo anno lo ha impiegato solo per accendere un computer. Un giorno qualunque, perché i giorni non hanno alcun significato laddove si svolge questa storia, nel Caffè Florian fa il suo ingresso Benito Mussolini. Lui il bar lo frequenta di rado, si è rifatto una vita da quando Hitler, il suo unico vero amico, gli ha tolto il saluto: è colpa sua se ha perso la guerra dice, vatti a fidare degli italiani. Così è diventato il capotreno della stazione ferroviaria dell’al di là ed è il migliore nel suo lavoro ma è risaputo, le passioni terrene son dure a morire e così di tanto in tanto il richiamo del Florian si fa sentire.

Quel giorno qualunque Rousseau lo nota, non che abbia particolare voglia di chiacchierare ma l’eternità sa essere piuttosto noiosa. “Tu non sei il famoso Mussolini, il dittatore italiano?” esclama allora.

L’altro si fa scuro in volto, digrigna la mascella e petto in fuori gli urla contro: “Dittatore io? Intendi forse duce dell’Impero italico, che la storia ingrata scritta dai vincitori e le forze giudaico-pluto-massoniche hanno relegato al ruolo di infimo capotreno, negandomi il sacro diritto di essere ricordato come la spada a difesa della gloriosa razza latina”.

Rousseau cerca di trattenere le risate: “Un sì sarebbe stato sufficiente sai, come diavolo parli?”.

“Parlo come un italiano fiero e certamente non parlo con un francese vestito come una donnetta di facili costumi, figlio di una democrazia plutocratica e moralmente corrotta che sul campo ho sconfitto”.

“Allora primo sono svizzero non francese, secondo la Francia l’avete attaccata che era già stata conquistata dalla Germania ma non mi interessa, non ho voglia di litigare anche con te, men che mai per guerre che non m’appartengono. Volevo chiederti piuttosto se segui ancora le vicende del tuo paese, pare che tu sia tornato piuttosto di moda lì e un movimento politico mi ha dedicato un nuovo mirabolante strumento di democrazia diretta: in nome del popolo sovrano si potrebbe quasi dire che siamo alleati, o quantomeno alcune delle nostre idee”.

“Sebbene gli italiani mi abbiano per lungo tempo voltato le spalle, mai ho abbandonato le sorti della mia Patria e mai potrei. La mia Italia autarchica e ariana è perduta ormai ma seguo con simpatia le vicende di questo Capitano, nome che perde un po’ di latina virilità ma funziona. Ora che ha preso il potere deve avere l’ardore di mantenerlo e per farlo ci vuole la forza, non basta il consenso che ha ottenuto attraverso la propaganda: una volta era la cinematografia, ora sono le reti sociali l’arma più forte, le avessi avute io forse ora non farei il capotreno. La moderazione è il suo vero problema, la tipica mollezza del parlamentarismo: troppi partiti, troppe libertà. Ho letto il suo cosiddetto Decreto Sicurezza ed è il minimo, siamo noi a dover riprendere l’Africa, non certo loro a invadere noi. La purezza della razza è a rischio ma ho sentito che ha intenzione di occuparsi anche degli zingari adesso. Dico bene, molto bene, se la sua vuole essere una strategia progressiva per non scandalizzare i pietisti che non pensano agli italiani, spero tocchi presto anche agli ebrei e ai bolscevichi, che a giudicare da quel che sento ancora infestano la penisola come ai tempi di Stalin. La prospettiva insomma è quella giusta: Dio, Patria, Famiglia. Non mi dispiace nemmeno questo movimento con cui governa, anch’io entrai in Parlamento col sostegno dei liberali, pur turandosi il naso può essere un male necessario. Di buono questi grilli hanno capito che i politici di professione sono lontani dallo spirito del popolo ma ora devono scegliere di schierarsi apertamente dalla parte della Patria o che sia guerra anche a loro”.

“L’esperienza da capotreno non è che ti abbia cambiato così tanto eh? Guarda, io di tutte queste menate nazionaliste non mi sono mai occupato e non mi interessano: la civiltà che tu pretendi di difendere e persino di esportare ha generato solo abomini e disuguaglianze, è un prodotto storico non un assoluto, ciò che mi sta a cuore è che il popolo a prescindere da chi lo formi sia padrone di se stesso. Non è la razza a fondare la comunità ma la volontà di ognuno di darsi agli altri, accettandone comuni diritti e doveri. Poi intendiamoci il parlamentarismo non piace nemmeno a me, quello della rappresentanza è un imbroglio: l’unica sovranità è quella della Volontà Generale. È meraviglioso dunque che esista uno strumento attraverso il quale i cittadini possono discutere e votare le proprie leggi direttamente, come accadeva nell’antica Assemblea del popolo ateniese: questo internet può essere davvero lo strumento per realizzare finalmente la mia utopia. Certo però se su una popolazione di 60 milioni di persone votano sulla piattaforma a malapena in 40.000, mi risulta un po’ difficile parlare di Volontà Generale e di certo essa dovrebbe essere di pubblico dominio, non proprietà di un’associazione privata. Diciamo che l’idea c’è ma forse solo quella”.

“Me ne frego delle tue disquisizioni filosofiche. A star dietro alla giustezza dei meccanismi della tua democrazia perdi di vista i bisogni del popolo, che necessita di essere condotto da un uomo forte che ne incarni le aspirazioni e si preoccupi di difenderlo dai nemici esterni. Io non avevo alcuna maggioranza ma me la sono presa lo stesso e per vent’anni l’ho mantenuta: io ero la Volontà Generale. Il popolo non sa che farsene della libertà; ha bisogno di certezze, di pane e di terra. Deve riconoscersi in ideali più grandi del proprio miserabile voto, diretto o indiretto che sia”.

“Tu parli di forza ma la forza non fonda alcun diritto, nessun uomo può essere alienato dalla propria libertà. Certo, la minoranza deve essere costretta ad obbedire alla maggioranza, questo sì ma deve esserci una maggioranza libera e consapevole”.

“E converrai con me che questa sacrosanta maggioranza di cui tanto ti riempi la bocca oggi è dalla mia parte: vuole ordine, sicurezza e tutela dell’identità italiana”.

“D’accordo, su questo possiamo convenire. Diciamo che se si estendesse questo sistema di democrazia diretta a tutti i cittadini e davvero la volontà del popolo andasse in quella direzione, non potrei dissentire. Io credo nel popolo, il popolo ha sempre ragione ma il giudizio di chi lo guida non è sempre altrettanto illuminato. Appellarsi alla volontà popolare è facile ma bisogna rispettarne i principi, che devono sempre mirare alla maggiore uguaglianza possibile, mai alla difesa di gruppi particolari”.

“Avremo divergenze in quanto alla gestione del potere ma io non sono stato altro che la voce del popolo che anche tu difendi, un’alternativa alla democrazia rappresentativa che anche tu combatti. Io non volevo altro che il bene degli italiani e ad esso mi sono sempre attenuto”.

“Beh oddio con quella storia della guerra suicida con Hitler e poi diciamo pure che non hai difeso proprio tutti tutti gli italiani… ma vabbè lasciamo perdere, come non detto. Senti, abbiamo tutta l’eternità per discuterne e sono stanco di passare le giornate da solo. Tra poco inizia Quinta Colonna su Rete Quattro, che ne dici se ce lo guardiamo insieme? Ti offro una birra”.

“Solo se è una birra italiana”.

Così in quel giorno qualunque al Caffè Florian, Rousseau e Mussolini, per una volta, non furono soli.

Almeno per i dieci minuti successivi, poi pare che Rousseau abbia spaccato un bicchiere in testa a Mussolini e i due non si siano più parlati.

Emanuele Monterotti

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