Roma fa la stupida.

Aleph Magazine
5 min readAug 30, 2018

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Roma ha un problema.

Uno solo?

D’accordo, facciamo uno in particolare: Roma è bella, bellissima, forse la più bella in assoluto ed è così da oltre duemila anni.

Non scherzo, una bellezza così arrogante è un problema serio e non solo perché attira orde di turisti paonazzi e vestiti male (che però fanno girare l’economia lo so, lo so). Quello che in qualunque altra città del mondo sarebbe la principale delle attrazioni, a Roma è una cosa tra le tante, che quasi quasi passa inosservata. Come ti giri c’è un reperto romano buttato lì a caso, come un sasso qualunque, come se avanzasse e non sapessimo bene dove metterlo. Per ogni via c’è una chiesa romanica, rinascimentale o barocca, tante che credo fossero in sovrannumero anche quando dio era ancora in voga. Imbocchi una stradina di Trastevere o Garbatella e ti sembra di essere in un antico borgo popolare, poi svolti ed eccoti la maestà di una capitale imperiale fatta di palazzi, cupole e marmo lucente. Camminando per le vie del centro si prova una specie di vertigine di fronte alla ricchezza di possibilità che si aprono agli occhi e non basterebbe una vita per intraprenderle tutte. In pochi chilometri è racchiuso buona parte di ciò che artisticamente è stato prodotto dal mondo occidentale e si viene sopraffatti dalla meraviglia e dal peso del tempo. È il palcoscenico perfetto per qualunque storia, tu non devi fare proprio niente, pensa a tutto Roma. È troppo, veramente troppo.

È un museo a cielo aperto dicono ed è vero, il punto però è che i musei non sono fatti per essere abitati. Assuefatti a tanta bellezza si tende a dare tutto un po’ per scontato, ci si sente investiti di una sorta di superiorità ed è facile perdersi nella contemplazione del proprio riflesso, dimenticando la realtà. Ci piacciamo noi romani e sotto sotto, sappiamo anche di piacere e ci marciamo non poco. Possiamo pure essere a Timbuctu ma ce lo aspettiamo che quel “Rome”, che segue al “Where are you from?”, sarà l’inizio di una sviolinata su quanto è bella la nostra città o su quanto sognano di andarci. C’è poco da fare, vinciamo in partenza e il discorso vale anche all’interno dei confini nazionali. Basta farsi un giro tra i programmi televisivi, i film, le principali serie italiane oppure ascoltare la musica indie: il romano funziona e ormai è una vera e propria egemonia culturale la nostra. La gente in giro per l’Italia conosce le differenze tra Roma Nord e Roma Sud, i quartieri, le vie perfino, dice daje e pure scialla. E poi non so perché ma se te ne esci con un , ‘ndo ‘namo, che famo, le persone si sciolgono: “oddio, non sai quanto mi piace il romano”. Ma l’avete sentito dico io? Neanche è un dialetto, è un modo per accorciare l’italiano, che nun c’amo manco voja de finì ‘e parole.

Fatto sta che noi così ci esaltiamo, non ci pare vero. Caput mundi, città eterna, il centro caldo del mondo, dove convivono il potere temporale e quello spirituale. Nulla esiste al di fuori del Grande Raccordo Anulare e naturalmente la parte migliore di qualunque altra città è il treno per Roma. Siamo un microcosmo abbastanza complesso e variegato da ritenerci totalmente autosufficienti, potremmo parlare di cose romane per ore: miti, leggende e discriminazioni tutte nostre. E non è un caso se la prima domanda che si fanno due romani che si incontrano è “ok sei di Roma ma di dove?”, perché Roma è un universo intero e senza ulteriori specificazioni è un concetto astratto. Allora ne saremo orgogliosi di questa città, saremo cittadini integerrimi che tengono alto il buon nome di Roma, lo specchio di una moderna metropoli europea e mondiale. E invece manco per niente.

Viziato dalla bellezza e dalla storia, il romano sostanzialmente passa le sue giornate a lamentarsi di Roma e di solito ha pure ragione. Il traffico, la monezza, il caos, i parcheggi in terza fila, i turisti dappertutto, il caldo, il freddo, la pioggia, talvolta la neve, le guardie, le manifestazioni, i lavori infiniti che dove scavi scavi trovi sempre qualcosa, le buche onnipresenti, le strade che crollano, i sorci, quel fascista di Alemanno, quel marziano di Marino, l’amministrazione Raggi tutta, gli altri romani, il papa che predica la carità da un pulpito dorato, i politici ladri e corrotti, i mezzi pubblici infami che non passano mai e se passano prendono fuoco.

Non è un fatto nuovo, basti pensare che fin dal Cinquecento esistono in giro per la città delle “statue parlanti” — la più famosa è quella del Pasquino vicino Piazza Navona — su cui era uso appendere critiche e lamentele anonime, spesso con dei versi satirici. Il romano si lamenta da sempre ma lo fa con indolenza, senza la pretesa di un reale cambiamento, perché in fondo è il primo a cui non va di cambiare, né di fare niente in generale, a parte magnà e beve. “Si vedi ‘a gente che lavora nun è Roma” dice una comparsa nel documentario che Federico Fellini dedicò alla sua città d’adozione (Roma 1972). Siamo innanzitutto noi a non prenderci sul serio, ci prendiamo in giro con un fatalismo e un’ironia che sono figli del nostro passivo rapporto con l’autorità. Perché è vero che Roma è sempre stata un centro di potere ma un potere calato dall’alto e mai orizzontale, dall’imperatore fino allo Stato dei piemontesi, figuriamoci col papa: che opposizione gli vuoi fare a uno che dice di essere il vicario di Cristo? Al massimo ci scherzi su, leggere i sonetti del Belli per credere.

Eccolo il problema della bellezza di Roma, è che distrae dalla vera essenza di questa città. La retorica dell’Impero Romano e della grande capitale è una storiella che ci siamo inventati per i turisti e per i fascisti. La verità è che Roma è un paesone cresciuto troppo, provinciale fino al midollo: grande, grossa e giuggiolona. Roma non sono i Fori imperiali né il Colosseo e di santo c’è solo il Vaticano, e a pensarci bene manco quello; Roma sono le borgate, i rioni, gli insulti, le risse, gli stornelli e la speculazione edilizia. Del passato glorioso non sono rimaste che le rovine e del futuro non ci è mai importato. Da romano i difetti di questa città li conosci tutti, la maggior parte delle volte ti ci arrabbi e poi ti basta un attimo, uno scorcio e si fa perdonare ogni cosa, come una ragazza che ti ha fatto male ma proprio non riesci a toglierti dalla testa. Di una città così sublime e al tempo stesso così infima, o ti innamori perdutamente o cerchi di scappare, senza mai capire se il fatto che tutte le strade portino a Roma sia una benedizione o una condanna.

Emanuele Monterotti

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