Attraverso la (mia) Via Degli Dei

gloria ferrari
20 min readMay 27, 2019

Con l’A1 si fa prima, a piedi si fa meglio

L’oscillazione è prima breve, poi più frequente, come una sorta di respiro. Grugniti qua e là. Le pareti della tenda si muovono come animate. “Gli animali tra i monti toscani e quelli emiliani prediligono tuberi e radici”, lo dicono tutti i manuali da campeggio. In quella tenda, si percepiva la paura che non fosse così.

C’è il silenzio giusto per dormire, in città raramente si ottiene. La tenda è in piedi da almeno un’ora, ma l’aria tiepida permette di star fuori ancora un po’. Ad aprile non fa buio così presto, soprattutto ai piedi del monte Adone. Intorno, nessuno cammina più. Tutti hanno trovato rifugio. Ai viandanti non è consigliato muoversi durante la notte. “A loro non interessa mangiare gli uomini, sono solo curiosi”, spiega Matteo l’indomani. A lui non è mai capitato di passare la notte circondato dai cinghiali, ma sembra sapere tutto su di loro, per certo. Deve aver affascinato anche Domenico tutta questa magia tra Monzuno, Monte Luario e Monte Venere. Secondo la leggenda, negli anni ’50 rimase talmente colpito dai nomi divini sui cartelli stradali, da rimuginarselo in testa per quarant'anni, fino a convincere alcuni compagni a tentare l’impresa: segnare un percorso a piedi da Bologna alla Futa, e poi a Firenze, mettendo in fila sentieri anonimi, non ancora indicati dal Cai. Sarebbe nata così la Via Degli Dei, attraverso gli Appennini.

1.Tre cose da sapere: cos'è, dove si parte, dove si arriva

Gli Appennini non sono come le Alpi. Lungo la spina dorsale d’Italia si muovono lenti i cinghiali, che rotolano nel fango e in piena notte si muovono in cerca di cibo. Nulla a che vedere con la leggiadria delle aquile alpine.

Uno dei modi per toccare con mano l’esperienza appenninica è avventurarsi lungo la Via Degli Dei. Il suo nome è dovuto al fatto che il percorso attraversa monti e paesi dell’Appennino che hanno nomi di Dei, come il Monte Adone, Monzuno (cioè Monte Giove), Monte Venere e Monte Luario ( Lua era la dea romana dell’espiazione). Un lungo trekking, che diventa un itinerario attraverso la storia. 130 km che collegano Bologna a Firenze, percorribili dai 4 ai 6 giorni, a seconda dell’allenamento, a piedi o in bici. Un’eternità in confronto al tempo che si impiegherebbe percorrendo l’Autostrada del Sole o saltando sul treno ad alta velocità che collega le due città in circa mezz'ora. La via degli Dei come itinerario eco-turistico ha una storia molto recente. Il percorso è stato ideato da un gruppo di escursionisti bolognesi alla fine degli anni ’80. Il cammino in sé ha, invece, un passato molto più antico. Se ne parla tanto negli ultimi anni, e nelle classifiche di gradimento stilate dagli appassionati di camminate in altura, la Via Degli Dei occupa le prime posizioni. Il percorso completo prevede che si parta da piazza Maggiore, a Bologna, per arrivare, alla fine, in piazza della Signoria, a Firenze. Le due grandi piazze sono collegate idealmente da un filo, sopra il quale i viandanti danzano, tenuti in equilibrio da una parte dalla paura e dall'altra dalla determinazione. Un vecchio detto scout dice: “Non è sufficiente avere gambe forti per andare lontano. Assicurati di aver allenato la tua forza di volontà”. Prima della partenza, gruppetti di viandanti chiedono: “Ci fai una foto? Poi la facciamo anche noi a voi”. Sembra quasi che tutti vogliano immortalare chi erano, convinti di riscoprirsi diversi all'arrivo. Alcuni ricontrollano lo zaino, tolgono via qualche maglia di troppo, poi ci ripensano e la rimettono dentro. Tutto diventa indispensabile e allo stesso tempo non così necessario. La legge dei camminatori vuole che lo zaino portato da ognuno non debba pesare più del 10% del peso corporeo dello stesso. Dunque, lo zaino di una donna di 60 kg non dovrà superare i 6 kg. Un uomo sulla cinquantina, con una birra in lattina in mano alle 9 del mattino, si complimenta con gli scalatori in partenza. A tutti chiede: “State andando a Firenze?”, per poi concludere con la stessa battuta “Con il treno ci mettete mezz'ora!”. Tutti ridono, inebriati dall'adrenalina che gli corre in corpo. Nessuno lo dice, non si usa farlo. Sui loro volti, però, si legge la paura. Chiedendo ai camminatori, a circa metà del percorso, quale fosse il motivo principale che li aveva spinti ad affrontare una fatica così grande, senza che nessuno glielo avesse imposto, la maggior parte ha risposto: “Perché voglio vedere fin dove posso arrivare”. Non è avere paura dei cinghiali, è avere paura di non riuscire a controllarsi davanti alla paura dei cinghiali.

I dati lo confermano. Solo nel 2018, Sono 32.338 le persone che si sono avventurate in un itinerario italiano. I numeri sono stati raccolti sulla base di un’ampia indagine, condotta da Terre di mezzo. Sono stati presi in considerazione sia i dati forniti dalle associazioni o enti che accolgono i pellegrini, sia quelli ricavati da un questionario lanciato su Facebook, al quale hanno risposto 2.930 camminatori. Tra il numero totale, 3.800 hanno percorso la Via Degli Dei. Sonia, 23 anni, ha abbandonato il secondo giorno, dopo un’intensa mattinata di pioggia. Un gruppo di sessantenni con la parlantina facile ci ha impiegato sei giorni, anziché cinque. Ma non ha mollato. Angela, partita in solitaria da Matera, ha percorso gli ultimi 8 km da Fiesole a Firenze in autobus per un problema al ginocchio. Ma non ha mollato. In percentuale, partendo da questa piccola e temporalmente circoscritta situazione, il numero di persone che è arrivato alla fine è decisamente più alto di chi è tornato a casa prima del tempo. A contribuire, come racconta un albergatore in zona Mugello, “La voglia di godersi questi paesaggi. Dal 2010, anno in cui fu inaugurata la TAV Bologna-Firenze, è stato sconvolto l’intero equilibrio idro-geologico. È paura di veder scomparire tutto”. Infatti, la Via Degli Dei, è percorribile sì a piedi, ma anche in treno, in 35 minuti. La diminuzione dell’acqua, in seguito alla creazione di gallerie artificiali, ha comportato ricadute pesanti sull'ecosistema montano, influendo negativamente sia sulla flora che sulla fauna e costringendo aziende agro-zootecniche a chiudere i battenti. Si parla di 57 km d’acqua persi a causa dei lavori di scavo. Percorrere la Via Degli Dei è uno dei tanti modi per fissare in eterno frammenti di territori che scompaiono ogni volta che il treno lascia la stazione di Bologna per approdare a quella di Firenze e viceversa. È durante i 130 km a piedi che si percepisce l’importanza dell’acqua, centellinata anche per lavarsi i denti la mattina dopo una nottata in sacco a pelo. A tal proposito, la leggenda vuole che almeno una goccia d’acqua debba essere trasportata e tenuta in serbo da piazza Maggiore a quella della Signoria, come legame simbolico. Ma è già difficile trattenersi dallo svuotare una bottiglia intera dopo i primi 5 km.

2. Vedi sulla mappa dove siamo

Il cammino, infatti, inizia mettendo alla prova i viaggiatori. Agli antichi piaceva viaggiare sopra i crinali per avere un’ampia visuale e meno problemi con le inondazioni e i guadi dei fiumi. È per questo che la prima tappa prevede la salita attraverso il portico di San Luca, noto per essere il più lungo del mondo. 3 km e 700 metri da Porta Saragozza fino al Colle della Guardia. La tradizione orale racconta di un eremita greco, giunto da Costantinopoli, con un’icona della madonna disegnata dall'evangelista Luca, in cui la Vergine indica la via e protegge i viaggiatori. I lavori per costruire il santuario iniziarono nel 1194, i portici arrivarono dopo, nel 1793, per riparare i pellegrini dalla pioggia. Le arcate sono 666 e si dice che rappresentino il demonio, che, abbracciando il colle fino ai piedi del santuario, ricorda la tradizionale iconografia del diavolo sconfitto e schiacciato dalla Madonna.

Non tutti hanno lo stesso passo. Alcuni si fermano ogni due, tre arcate a riprender fiato, facendo finta di scattare una foto. Fino al 1976 esisteva una funivia che portava fino in cima al santuario. I lavori di manutenzione erano diventati, però, troppo onerosi per la ditta che se ne occupava. Al comune non interessava farsene carico. Così, pezzo dopo pezzo, è stata smontata. Quelli più atletici credono sia un bene, perché costringerebbe a farla a piedi. Altri, in una visione più pessimistica, sono convinti che il numero di persone che sceglie l’auto sia aumentato. I ciclisti, che pedalano accanto, sull'asfalto, mettono la marcia più bassa e guardano davanti a loro. I viandanti si curvano sotto il peso dello zaino. Un gruppetto di 5 ragazzi crede già di non potercela fare. Non è avere paura dei cinghiali, è avere paura di non riuscire a controllarsi davanti alla paura dei cinghiali. La cupola verde del santuario accompagna i camminatori per almeno un giorno e mezzo di viaggio, come a vegliare su di loro e a ricordargli che la strada da fare è ancora tanta. A questo punto inizia la discesa che porta al Parco Talon, passando per il sentiero dei Bregoli, non prima di aver acquistato una schiacciata crudo e squacquerone, spalmato da Pino con una lentezza inaudita. C’è tantissima gente in coda. Il sentiero comincia qualche centinaio di metri dopo la chiesa. Un anziano a spasso con il cane spiega che il nome Bregoli deriva da Bràgguel, schegge di legno che i poveracci andavano a raccattare nel bosco, dopo che i taglialegna avevano fatto il loro mestiere. In cambio della pulizia del terreno, potevano tenersi quei residui per alimentare la stufa. Purtroppo, però, il primo tratto del sentiero non è quello originale. Nel 1981 un pezzo dell’antica strada è diventato il viale d’ingresso di una villetta appena ristrutturata, con cancello e rete protettiva. Da quel momento un comitato cittadino si batte per la restituzione del territorio. La risposta non è ancora arrivata. Da qui iniziano a comparire le piccole bandierine bianche e rosse, dipinte dal CAI (club alpino italiano), che accompagnano i viandanti in maniera più o meno precisa per tutto il percorso, segnalando deviazioni e km rimanenti. Pali, mattoni, asfalto, mura. Tutti sono alla disperata ricerca della bandiera bicolore, che sta a dire “Stai proseguendo bene, è il sentiero giusto, non stai facendo km in più”. In ogni caso, almeno un viaggiatore per coppia, si è dotato, prima della partenza, di una mappa cartacea. In pochi cercano indicazioni sul cellulare. Tutti, cartina alla mano, si sforzano di capire dove sono con esattezza, seguendo con l’indice la strada da percorrere ancora, per la tappa prestabilita. Il 75,6 % non parte senza aver prima acquistato una guida cartacea. Andrea l’ha comprata il terzo giorno, dopo che Google maps, a cui aveva chiesto di indicargli la strada per arrivare a San Piero a Sieve, da Sant’Agata, gli aveva fatto percorrere 1,5 km a a piedi sulla provinciale. Infatti, secondo uno studio condotto nel 2018 dalla storica azienda Stanfords di Londra, il principale rivenditore di mappe e libri di viaggio del Regno Unito, “Tutti hanno bisogno di una mappa, da chi cerca antichi sentieri e strade dimenticate dai servizi maps online a chi vuole partire all'avventura, o per risolvere controversie sui confini o chi, ad esempio, non riesce a ottenere delle mappe nel Paese in cui vive a causa di censure o forti limitazioni all'accesso alla rete. Una cartina è meno soggetta a manomissioni e falsità”.

3.Vite secolare al mattino e birra la sera

Dopo una breve discesa, che sa ancora troppo di parco cittadino, ci si addentra nella boscaglia più fitta ed umida. Gruppi diversi che si erano aggregati sullo spiazzale di San Luca tornano ad essere diversi. La gente non parla più, osserva silenziosa e marcia. Si ha, per la prima volta, la vera percezione di essere sulla Via Degli Dei. Fitti tronchi, uno attaccato all'altro, e la sensazione di immergersi in un’atmosfera surreale. Si sale e si scende, ma i dislivelli sono ancora bassi per poterli dire rilevanti. Dopo una decina di km, si sbuca sull'asfalto. I più inesperti tirano un sospiro di sollievo. Gli amanti del trekking sanno, invece, quanto faccia male alle piante dei piedi il cemento rispetto alla soffice terra fangosa. In ogni caso, ci si trova accanto colline dolci e poco abitate dall'uomo, cascine abbandonate e molte in rovina. In mezzo al prato,che a vista d’occhio sembra tutto uguale, svetta una vite, solenne. Il cartello spiega che si tratta della Vite del Fantini. È un esemplare vecchio di alcuni secoli. Luigi Fantini, nato nel 1895, fu un esploratore dell’Appennino bolognese. Nel 1965, infatti, aveva fotografato questa pianta, addossata ad un olmo, e ne aveva pubblicato la foto in bianco e nero nel suo libro sugli edifici storici della montagna bolognese. Trent'anni dopo, grazie a quella foto, un tecnico informatico di Pianoro riscopre la vite ultracentenaria. L’uomo intuisce subito che si tratta di una pianta speciale, sopravvissuta all'epidemia di filossera di fine ottocento, che sterminò gran parte dei vitigni europei. Inizia a prendersene cura e riesce a farla germogliare. Chiede aiuto al Comune ma nessuno lo ascolta. Allora taglia un grappolo di uva nera e lo porta ai proprietari dell’azienda vinicola più importante della zona. Subito si rendono conto di avere tra le mani qualcosa di raro. Grappoli, foglie e tralci vengono analizzati dall'Università di Bologna. Si scopre che la pianta appartiene ad una specie probabilmente estinta. Ogni viandante le dedica almeno uno scatto. Superata la vite, si continua lungo una strada sterrata che porta a Badolo, che si dice, prima del 1164, facesse Repubblica per conto suo, prima di giurare fedeltà al comune di Bologna. Badolo rappresenta la fine della prima tappa per molti viandanti, i primi 24 km portati a casa. Alcuni hanno portato la tenda, la montano dove capita. Non fa così freddo. Il primo giorno non si sa bene come muoversi, non si conosce il territorio, non si conoscono le regole. La maggior parte ha prenotato precedentemente un ostello in cui passare la notte. È essenziale, dopo una giornata faticosa, riposare bene. Secondo il sito Percorsiditerre.it, il 65,4% pernotta in un B&B, il 57,1% in strutture religiose, il 28,4% in agriturismi e il 23,8% in alberghi. E se il 73% pranza con i panini, il 52% poi si concede una cena al ristorante e il 27% sceglie strutture che offrono il menu per pellegrini. Tutto sommato, camminare fa bene anche all'economia dei territori attraversati. Il 45% spende in media dai 30 ai 50 euro, a cui si aggiungono le spese per l’attrezzatura: Prima di partire, il 42% ha acquistato calzature, il 39% abbigliamento tecnico e il 31% attrezzatura come zaino, borraccia o bastoncini. La sensazione di essere importanti per gli affari della Via Degli Dei ce l’hanno un po’ tutti. I paesini che ne vengono attraversati, vivono in funzione di chi la percorre. Gli ostelli e i ristoranti hanno nomi che si somigliano tutti. “Ristorante degli dei”, “Ostello via degli dei”, e in alcune piccole cittadine ai piedi delle montagne è possibile scorgere qua e là cartelli e striscioni che recitano “Benvenuti viaggiatori della Via Degli Dei”. Per un attimo ci si scorda che è nel loro interesse farti sentire a casa, e ci si sente veramente a casa. Alcune fontane sono riservate “Ai camminatori della Via Degli Dei”, altre sono intitolate agli amanti di quelle montagne. Tutto ha un senso ben preciso. Alcuni alloggi sono nati dopo la creazione del sentiero. A Monzuno, a metà tra Bologna e Firenze, il gestore di un bar ha affittato la casa di fronte per adibirla a B&B. In quello stesso bar si possono pagare le bollette e inviare le raccomandate. Una specie di ufficio postale che però prepara cornetti e caffè. A cena, nei ristoranti, ci sono solo viandanti. Quasi nessuno ha avuto la forza di ripulirsi dal fango e cambiarsi almeno la maglia. Da un tavolo all'altro si chiacchiera dei km percorsi, di quelli che si intende percorrere il giorno dopo e degli acciacchi alle ginocchia. Si ride e si scherza, a tutti importa quello che ognuno ha da dire. Si respira aria di festa. Qualcuno ordina la seconda birra. Scende giù come acqua. Quel frizzantino che pizzica la gola dà sollievo anche alle gambe. Ci si alza zoppicando, e ci si saluta, per l’ennesima volta. Da piazza Maggiore a piazza della Signoria, la quantità di “ciao” detti è fuori controllo. Dicono esista una regola tacita per cui è necessario salutare tutti quelli che si incrociano durante il tragitto, anche se li si incrocia per la decima volta nell'arco di una giornata. La Via Degli Dei è un po’ come camminare accanto alle persone.

4.Pale eoliche come “modifica di percezione di un paesaggio”

La seconda tappa comincia nella maniera più aggressiva: la scalata del Monte Adone. Ripida, fangosa, fatta da gradoni scomodi e alti. A lato, il vuoto. Sconsigliato per chi soffre di vertigini. In lontananza il traffico sull’Autostrada del Sole, dove in media passano 47.000 veicoli al giorno, in aumento ogni anno del 3%, secondo il sito dell’Osservatorio Ambientale sulla variante di valico. Anche per l’A1, come per la tav, c’erano state proteste e comitati in difesa dell’ambiente. In cima, svetta una croce, che domina il panorama. Alle sue spalle, una piccola cassettina tiene al sicuro un quaderno, su cui ogni viaggiatore può scrivere. Ci sono poche frasi ad effetto, poche riflessioni sulla vita. Per lo più disegni e incoraggiamenti, saluti a chi verrà e il proprio nome e cognome. Dopo così tanta fatica, viene difficile anche formulare qualcosa di unico. Basta dire “Sono stato qui”. La discesa è ripida almeno quanto la salita, e le ginocchia cigolano. L’adrenalina per il traguardo superato rimane però in circolo. Proseguendo, si arriva a Brento, un villaggio etrusco, ora rifugio per bolognesi in fuga dalla città. Da qui si inizia ad intravedere il tracciato romano della Flaminia militare, che punta verso Monzuno. Il cartello recita: “XVII miglia da Bologna”, sopra all'immagine di una moneta romana e il logo dello sponsor, Autostrade per l’Italia. In passato, i pellegrini che si recavano a Firenze a piedi, incontravano prima di Monzuno un ospitale, gestito da monaci e poi trasformato in un convento. L’edificio esiste ancora, nascosto tra rovi e piante d’acacia. Nonostante gli anni, la struttura sembra ben tenuta. Monzuno, o anche monte Giunone, è un piccolo paesino di poco più di 1000 abitanti. Alla base, la massimizzazione delle risorse. Poco lontano dalla piazzetta principale, infatti, un uomo sulla quarantina, Massimo, gestisce tre attività totalmente diverse. Tutte insieme. Orafo, ottico e parrucchiere, suddiviso in tre stanze, separate da una tenda. Lui si definisce “All'avanguardia”. In realtà fatica a fare le tre cose insieme. Per consigliare un paio di lenti a contatto, chiama la sorella al telefono, mentre lui toglie una maglia di troppo dall'orologio di un cliente. “È che ne sa più lei di queste cose. Io sono più specializzato sui bracciali e sui capelli. Prendile come un regalo di buon auspicio. Mia sorella mi ha detto di non fartele pagare”. Al supermercato, il prosciutto lo dividono in piccoli sacchetti, senza chiederlo. Non lo dicono, ma sanno che probabilmente sarà necessario che si conservi per più giorni. Non ci sono tanti market nei boschi. La mattina, la signora del bar indica la fontana più vicina. Anche lei sa, senza chiedere. Un tratto nel verde più assoluto, senza non poche difficoltà, porta a Madonna dei Fornelli, di soli 500 abitanti. La strada è sterrata, gli alberi solitari e qualche casa qua e là. In un angolo, un’area picnic allestita e recintata, su cui svettano ruote di biciclette trasformate in girandole, mosse continuamente dal vento. L’arrivo in paese è trionfale. Manifesti ai lati della strada incoraggiano a non mollare. I bar sono pieni di viandanti. Svetta il campanile, sotto al quale si legge a caratteri cubitali “Madonna dei Fornelli”. Sull'origine del nome si discute ancora in paese. I più anziani sostengono derivi dalle cataste di legna ricoperte di terra che i boscaioli facevano bruciare a fuoco lento per produrre carbone. I meno fantasiosi, sostengono invece che lì c’erano le fornaci da calce della Roma imperiale, oppure un tempio della dea Fornace. Risalendo in altezza (Madonna dei Fornelli è in una sorta di valle) iniziano a comparire cartelli di vario tipo. Uno, il più ricorrente, segnala che la raccolta di funghi è possibile solo dietro pagamento. L’altro che la caccia ai cinghiali è autorizzata. Come è possibile monitorare la raccolta dei funghi se la zona non è video sorvegliata? La tassa annuale varia a seconda che l’individuo sia residente o meno nella regione stabilita. Nei boschi, non c’è nemmeno l’ombra di un porcino. Tra i cespugli, però, si intravedono bossoli di proiettili. Da qui è come se cominciassero le vere montagne. Il clima si fa più umido, attraverso i fitti boschi il sole filtra a malapena. Si sale fino al Monte dei Cucchi, a 1138 metri sul livello del mare. La ditta Agsm voleva costruirci su un parco eolico, che avrebbe comportato un impatto ambientale catastrofico. Come spiega un addetto alla manutenzione poco più in là, prima di tutto, sarebbe stata necessaria la costruzione di una strada asfaltata per permettere ai mezzi di arrivare sul posto di lavoro. Ogni turbina, poi, deve poggiare su una base di cemento armato profonda dieci metri e larga quindici. Una pazzia, se si pensa che il Monte dei Cucchi è una delle vette più franose e ricca di fauna della zona. Anche in questo caso, i cittadini si sono mobilitati con una raccolta firme, impedendone la costruzione. Molti sono i pro ed i contro di un simile impianto: da una parte reperibilità, facilità di trasformazione dell’energia e inesauribilità. Dall'altra inquinamento visivo, inquinamento acustico e abusi sul territorio. Secondo una ricerca condotta dal Gse (Gestore servizi elettrici) nel 2008 (anno in cui si voleva realizzare l’opera sul monte), gli impianti eolici della nostra penisola producevano il 16% di elettricità rispetto alle aspettative, con un lavoro di 1413 ore l’anno. L’equivalente di due mesi circa. Questo significa che le centrali realizzate fino a quel momento, non sfruttavano a dovere il vento e consumavano in territorio. Agsm, però, la definiva “Modifica nella percezione di un paesaggio”.

5. Un piede in Emilia, uno in Toscana

Proseguendo, si percorrono gli ultimi metri in Emilia-Romagna. A breve la parlata delle persone che si incontrano tenderà ad aspirare la “c”. È a questo punto che si intravedono i primi scavi sulla Flaminia Militare. L’antica strada, nelle fonti romane, è nominata soltanto da Tito Livio, che attribuisce al console Gaio Flaminio junior la decisione di collegare Bologna ad Arezzo, nel 187 a.C. Si sale e si scende. La vegetazione si alterna. Distese erbose lasciano spazio ad altissimi abeti misteriosi. Terreni fangosi si sostituiscono alle secche vie di campagna. La nebbia, a volte, impedisce di vedere fino in fondo al sentiero. In particolare, la discesa verso la Futa è immersa in un bosco di faggi. Alla fine, si impone davanti, appena metti piede fuori dal bosco, il cimitero militare tedesco più grande dei dodici italiani. Quasi 33.000 salme, l’ultima trovata nel bosco e portata lì nel 2007: sono le ferite ancora aperte della parte di Appennino più violata dalla Guerra. Ufficialmente, ci si trova in Toscana. Una volta attraversato il confine, anche se una gamba è ancora in Emilia, ci si sente effettivamente in un’altra regione. Il paesaggio non cambia immediatamente, e alcune cose rimangono uguali: attenti al cane e la religione. Ogni casa che si incontra durante il cammino, ha affisso il cartello “Attenti al cane”. Ciò implica che tutti abbiano un cane. Mario, trasferitosi in “campagna” da 4 anni, dice di sentirsi più sicuro così. Il suo Pinscher scodinzola ogni volta che avverte i passi di un viandante. Non abbaia mai, però “Sì, mi sento proprio più sicuro. E poi guarda com'è felice in mezzo ai prati”. Lungo il tragitto, alcuni hanno appeso al cancello di casa anche il cartello “Attenti al gatto”. Emiliani e toscani sembrano concordare sull'importanza di un animale domestico. Un altro elemento che avvicina le due regioni è la fede. Disseminate lungo tutto il tragitto, Madonne rappresentate in ogni modo e con ogni arte, dalla pittura alla scultura. La via Crucis accompagna i viandanti lungo tutti i portici di San Luca e spesso le mura delle case celano delle nicchie custodi della Natività.

A pochi km da Fiesole, vicino ad una villetta apparentemente disabitata, un mezzo tronco scavato dall'interno racchiude la statuina della Madonna con in braccio Gesù appena deposto dalla croce. Qualcuno ci ha messo delle margherite. Clara, 81 anni da poco, dice che è il posto. Dice che non si può che finire così. Vivere lontano da tutto e da tutti riconcilia il tuo spirito. “Non ti viene difficile credere che ci sia qualcuno, dall'alto, che ha permesso tutta questa armonia e che la garantisce. Non senti che pace? E poi che male fa. Da qui ci sono passati i Santi”. Clara racconta ai viandanti che la incontrano un altro aneddoto, che molti hanno già letto sulle guide, ma riascoltano volentieri: la storia dell’Osteria bruciata. Ci si arriva dopo una ripidissima discesa, sulle rocce bianche, di Monte Gazzaro. È la parte più difficile, soprattutto quando piove. Sembra di camminare su una saponetta. È l’unico tratto in cui ai viandanti vengono in aiuto funi a cui reggersi per la discesa. Prima della salita, infatti, una segnaletica indica la possibilità di aggirare il monte, proseguendo per la via riservata alle mountain bike. Angela da Matera si è seduta per terra, dopo la discesa, per scaricare la paura al suolo, come si fa con le scosse elettriche. Pochi metri più avanti, ancora con lo stomaco in subbuglio, una grossa pietra triangolare emerge dal nulla. È tutto ciò che rimane dell’antica osteria riportata alla memoria da Clara, un tempo ristoro per molti viandanti. Esausti, i pellegrini cercavano riposo nella locanda, ma erano attesi da un terribile destino: l’oste li derubava, li uccideva e poi serviva la loro carne come portata principale agli ospiti del giorno successivo. E così via. Scoperta l’orribile usanza, l’Osteria venne bruciata. Accanto allo stonehenge toscano, cattura l’attenzione una grossa scatola richiudibile ed un fogliettino affisso ad un tronco. Il poster racconta la storia di Billy, un cagnone bianco e nero che il mese prima si era perso lungo la Via Degli Dei. Aveva fatto tutta la strada a ritroso e dopo giorni di continuo vagare aveva ritrovato la sua padrona. La stessa, augura ai viandanti di fare come il suo cane: non demordere mai per arrivare dove si vuole andare. La scatola in basso, invece, è un box degli oggetti: lascia quello che non ti serve, prendi quello che potrebbe servirti. Carta igienica, mappe, caramelle, bustine di zucchero. C’è un po’ di tutto.

6.Le ultime due salite non contano

Da qui, una continua lotta contro il fango. La boscaglia fitta non lascia scampo fino a Sant’Agata in Mugello, da cui comincia una piccola stradina asfaltata che porta a San Piero a Sieve, quando ormai mancano 36 km a Firenze. Ancora le ultime due vere salite: quella che porta al convento di Monte Senario e l’ultima lunga ascesa verso Poggio Pratone, ad un’altitudine di 702 metri. Una piccola libreria mobile, a forma di casa, vicino al Monastero di Monte Senario, invita a fermarsi un attimo. Dentro, libri lasciati dai viaggiatori. Accanto, una sedia su cui riposarsi e leggere davanti ad un panorama di quiete. Tra questi, “Sempre meglio che lavorare”, di Luca Goldoni, insieme a Peter Pan. La varietà non manca. Chi vuole, può lasciare un libro e prenderne un altro. Il cartello spiega: “Facciamo rivivere la bellezza delle piccole cose”. Firenze inizia ad intravedersi. L’imminenza della meta offusca fatica, ambiente circostante, arbusti e monumenti. C’è una strana pace. Non si incontra più quasi nessuno. Ognuno mette il turbo e segue il proprio passo. Nel mezzo solo Fiesole, a 8 km dal traguardo. Il percorso non prevede di passarci all'interno, ma sono in molti a decidere di visitarla, nonostante la fatica. In piazza, di fronte al comune, i tavolini del bar si riempiono di zaini. Alcuni si lamentano della difficoltà di arrivare dalla periferia al centro di Fiesole: non ci sono marciapiedi. Se ci sono, sono larghi a malapena per farci stare una persona. Si sorride. Le gambe procedono seguendo l’abitudine. Da Fiesole a Firenze quasi tutto asfalto, seppur nel verde. Iniziano ad incrociarsi più case, più macchine, più persone comuni. Piazza della Signoria è a poco più di 3 km dall’ entrata di Firenze.

Anche se ufficialmente non finisce qui, per i viandanti rimettere piede nella civiltà è porre mentalmente la parola fine. Due bastoni di legno, appoggiati al muro, mostrano un bigliettino: “Per i viandanti che vorranno ripercorrere i nostri passi”. Un altro foglietto è appeso al cancello di una casa:”Anche se siete arrivati a Firenze, non scordatevi di tutta la bellezza che avete visto”. Ad un albero, un acchiappa-sogni fatto con una lattina di fagioli. Tutti vogliono lasciare un segno, una traccia del loro passaggio, una parte di loro che rimanga in eterno lì, preservata. Una signora imbellettata chiede:” Non mi dite che arrivate da Bologna?”. Nessuno ricorda più da dove è partito, solo cosa ha attraversato.

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