Il mio viaggio in Turchia e Nord Iraq

Allegra
25 min readDec 18, 2022

Poco meno di un anno fa, guardando su instagram le foto di due ragazzi che viaggiavano il mondo in autostop, vidi le loro foto del Kurdistan Meridionale e in quel momento stesso mi sono fissata con l’idea di andarci. Ho iniziato allora a cercare informazioni su internet, trovando da una parte video dai titoli allarmistici per attirare l’attenzione e fare più visualizzazioni (“viaggio da solo nel paese più pericoloso del mondo” e roba del genere), dall’altra parlando con persone che avevano viaggiato in Nord Iraq, che mi diedero informazioni in generale molto positive della regione, dicendomi che era sicura e che la gente era molto ospitale, e che io ho ritenuto molto più affidabili. Questo autunno sono andata effettivamente nel Kurdistan meridionale, e nonostante avessi avuto la brillante idea di venirci in autostop dall’Italia, ed essendo quindi arrivata distrutta dopo un viaggio di tre mesi e senza le forze di fare più niente, è stata comunque un’esperienza interessante da cui ho imparato molto e mi fa piacere condividerla, un po’ per rompere gli stereotipi, un po’ perché ci ho messo tutta la giornata a scrivere questo articolo quindi mi sembrava doveroso almeno condividere il link. Nonostante sia scritto abbastanza superficialmente, più che altro come ricordo per me stessa, mi fa comunque piacere condividere il mio viaggio con gli altri e soprattutto smontare l’idea che il Medio Oriente non sia una regione in cui viaggiare.

I viaggi che ho fatto quest’anno sono qualcosa di cui voglio ricordarmi per tutta la vita, e a cui voglio ripensare tra molti anni, quando la mia vita sarà diversa, e ricorderò di quando viaggiavo per il mondo, solo io e il mio zaino e nessun limite. E sono felice di poter condividere la mia esperienza con tutte le persone che ho incontrato durante i miei viaggi, che mi hanno aiutata dandomi un passaggio, mettendomi un tetto sopra la testa o insegnandomi o condividendo qualcosa con me, e con chiunque abbia voglia leggere. Di 4 mesi di viaggio, ho scritto e condiviso solo una piccola parte, concentrandomi sulle parti per me culturalmente più interessanti e sui posti in generale meno conosciuti dagli italiani.

Sono partita da Trieste il 5 luglio 2022. Ho attraversato i Balcani (Slovenia, Croazia, Montenegro, Albania, Kosovo, Macedonia e Grecia) e la Turchia e poi sono entrata in nord Iraq, viaggiando in autostop. Poi, distrutta da 4 mesi di viaggio ho preso un autobus diretto da Erbil a Istanbul (30 ore di viaggio) e da lì ho trovato su internet dei passaggi per tornare a casa, passando da Budapest.
Il mio piano originale era di viaggiare anche in Iran, ma purtroppo l’inizio delle proteste mi ha spinta a posticipare il mio viaggio.

Fare autostop nei Balcani non è particolarmente difficile, a eccezione della Grecia (in cui è comunque possibile se parti presto e sei preparato a stare delle ore sotto al sole col braccio alzato), anche se è diventato visibilmente più facile una volta entrata in Turchia. Da Trieste a Istanbul ho impiegato esattamente 30 giorni di autostop, inclusi i giorni di campeggio a Samothraki, in cui ho vissuto per una settimana dormendo sotto le stelle nella mia amaca, prendendo il sole sdraiata sulle pietre e facendo il bagno nel fiume.

Questa è stata più o meno la strada del mio viaggio:

Sono entrata in Turchia dalla Grecia, dal confine di Kastanies, vicino a Edirne. Mi ha dato un passaggio fino al confine un camionista bulgaro. Al contrario di quanto molta gente pensa, è un confine estremamente facile e veloce da attraversare (anche se non è possibile farlo a piedi ma devi aspettare una macchina che ti porti). Appena entrata in Turchia ho sentito subito quell’atmosfera che mi era mancata da due anni, ed ero felicissima di vedere le scritte in turco su tutti i cartelli e sentir parlare turco per strada.

La Turchia è un paese perfetto in cui viaggiare: oltre a essere bellissima, la gente è ospitale, gentile, e cerca sempre di essere d’aiuto. Pochissime persone parlano inglese (il che è perfetto per me per fare pratica di turco) ma sono tutti disposti a comunicare con gli stranieri, a gesti o con Google traduttore o con le poche parole che conoscono. Penso sia importante per i turchi dare alle persone un’idea positiva del loro paese e della loro cultura. Ma penso anche che per la maggior parte delle persone venga semplicemente come un gesto spontaneo quello di offrire il proprio aiuto, di invitarti, di condividere qualcosa. La cosa che più odio della Turchia sono invece le persone più nazionaliste, pronte ad arrabbiarsi alla follia se sentono qualsiasi cosa contro lo stato turco, che difendono in ogni situazione.

Ho sentito dire a volte che in Turchia tendono a fregare i turisti, ma se vedono che non sei un turista che viaggia con tanti soldi ma viaggi da solo e low budget la gente si mostra ospitale e disponibile. Ad esempio una volta ho visto un uomo che vendeva dei frutti rosa mai visti prima ad un banchino, e mi ha proposto di prenderne uno per 30 lire. Gli ho detto che era troppo costoso e che l’avrei assaggiato un’altra volta. Dopo qualche minuto mi chiama e me ne regala mezzo.

Inoltre non ho mai fatto la fatica di comprarmi una SIM. Ho viaggiato due mesi senza telefono, scroccando la wifi dove capitava o facendomi prestare il telefono da gente per strada per fare chiamate. In realtà era un’occasione per fare un po’ di conversazione in turco, spesso mi veniva offerta dell’acqua o del the.
Una volta chiamai la mia host di Gaziantep dal telefono di un uomo incontrato per strada vicino al suo appartamento. L’uomo poco dopo l’ha contattata su whatsapp e ha iniziato a provarci con lei; devo dire che anche questo tipo di cose succede molto spesso quando hai a che fare con gli uomini in Turchia.

Penso che una delle differenze culturali maggiori tra Italia e Turchia sia la colazione; in Turchia è un pasto completo, e a differenza dell’Italia è un momento sociale, ed è importante soprattutto se hai ospiti. Ogni volta che ero ospite di una famiglia e mi dicevano che la mattina dopo avremmo fatto colazione insieme andavo a dormire non vedendo l’ora di svegliarmi per sedersi a mangiare insieme.

Fare autostop in Turchia è per lo più facilissimo. Di solito il primo camion che ti vede si ferma e viaggiare con i camionisti è perfetto (anche se lentissimo): fanno tragitti lunghissimi e ti portano da tutte le parti, non sanno una parola di inglese (e per me è un’occasione per cercare di migliorare il mio turco pessimo), ti fanno vedere un sacco di foto dei loro figli (i camionisti curdi ne hanno di solito almeno 7) e ti offrono sempre da mangiare: il mio pranzo tipico in Turchia è zuppa di lenticchie all’autogrill in compagnia dei camionisti.
In realtà ho decine di esperienze bellissime che potrei raccontare; una coppia che quando sono scesa dalla macchina mi ha regalato una bottiglia di vino; un gruppo di studenti che si è fermato a comprare dei dolci e dell’uva per me; una coppia che mi ha portata a una spiaggia dove volevo andare in campeggio e la sera mi ha portato la cena. Io adoro fare autostop più di qualsiasi cosa: non solo puoi viaggiare per mesi senza spendere niente, ma riesci a connetterti in modo velocissimo con le persone e capisci che non è vero che il mondo è pericoloso come cercano di farlo sembrare i media; ma al contrario la maggior parte della gente è disponibile ad aiutare e a cercare una connessione e un modo per comunicare con te. E penso sia il modo migliore in assoluto per praticare una lingua.

Inizio il mio viaggio in Turchia visitando Istanbul, in cui mi fermo due settimane. Istanbul è enorme, e spendo tutti i miei soldi nell’Istanbul Kart dato che non è assolutamente possibile muoversi senza mezzi di trasporto. Le persone che vivono ad Istanbul sono diversissime le une dalle altre, e così le attività che la città ti offre; nel senso che puoi visitare le moschee e ritrovarti tra famiglie conservatrici e donne velate dalla testa ai piedi o andare alle feste techno e ballare e bere tutta la notte.

Solitamente più la città da cui vuoi uscire è grande, più fare autostop è difficile. Uscire da Istanbul si rivela invece facilissimo, e dopo un’intera giornata di autostop in cui mi danno passaggi un camionista dopo l’altro, (con uno prepariamo il the nel camion, parte imprescindibile della giornata di un turco in ogni condizione, un altro autista mi offre del gelato, in un altro camion mi addormento per mezzo percorso distrutta dal sole rovente) alla fine di una giornata lunghissima riesco a percorrere 450 kilometri ed arrivare a destinazione a Bartın, sul Mar Nero, in cui lavoro per qualche giorno in un Hotel, prima di stufarmi (quasi subito) e decidere di andare in campeggio sul Mar Nero e poi andare ad Ankara.

Una famiglia con una macchina scassata mi porta ad Ankara. Non riesco a capire come prendere la carta per la metro perché tutte le istruzioni sono in turco, così un uomo apre il tornello per me con la sua carta.

Questo è quello che ho scritto durante il viaggio da Ankara a Eskişehir, mentre con l’autista del camion bevevamo the e ascoltavamo musica turca:
“When I arrived in Ankara I was thinking that Turkey is by far the best country for hitchhiking but today hitchhiking to Eskişehir impressed me again. I was going to take a bus that would bring me out of the city and a man saw me walking with a carton in my hands and offer me a ride and then drove me to the highway to Eskişehir, he drove until there just for me. When I left the car I saw a truck parked and I showed my sign, at the same time another truck who was in the road saw it and stopped. Total waiting time less than 40 seconds. The truck driver told me that he drove his truck through Turkmenistan. During the way he stopped to a restaurant and offered me lunch. Then in the truck we made tea and played Turkish music.
Every day here I am impressed by the hospitality of people. In every country you can meet nice and helpful people, but also when you hitchhike or when you go to a shop to ask for a box to make a sign or go in a bar to ask for wifi it can happen very often to get bad looks from people, here I know for sure that people will smile and be nice and helpful. Many people are really curious about my travel and wanna communicate with me.
I am really happy I decided to travel in Turkey, I feel totally welcomed here and I am not worried about not having internet or having problems with communication because everyone is so kind and willing to help.”

Eskişehir è la città meno conservatrice dell’intera Turchia, ci sono tantissimi studenti e stranieri, e mi sono subito sentita come se fossi in Europa. Non mi è mai capitato di vedere moschee; mi hanno detto che ci sono delle case adibite a moschee, ma da fuori sembrano edifici normali, per questo la città ha un’aria abbastanza diversa dalla maggior parte delle città in Turchia.

Poi sono andata verso la costa sud, che ho attraversato da Fethiye a Antalya. Il mare è trasparente e pulitissimo, e ci sono un sacco di posti per andare in campeggio.

Poi vado verso il centro, a Konya e in Kapadokya, dove per la prima volta in vita mia sono contenta di essermi svegliata presto e di aver visto le mongolfiere alzarsi nel cielo all’alba, uno dei paesaggi più belli che ho visto in vita mia, poi di nuovo verso sud, passando Adana ed Antakya. Anche Konya mi piace tantissimo; la notte in cui sono arrivata entro in tram e un uomo vedendo che ero una straniera mi attacca bottone dicendomi che ha una figlia della mia età che parla inglese. Così mi dà il numero di sua figlia, che il giorno dopo mi accompagna a visitare la città.

Ad Antakya ho avuto una delle tante conversazioni sulla religione avute in Turchia, ma questa la ricordo meglio delle altre perché è stata la prima volta che ho avuto notizia di quello che stava succedendo in Iran. “Sai che ieri la polizia ha ucciso una ragazza in Iran perché si è rifiutata di portare correttamente il velo”, mi hanno detto.
Non sapevamo che di lì a poco sarebbero scoppiate le proteste e che sarei stata costretta a cambiare i miei piani sull’Iran.

In Turchia la differenza tra persone religiose e persone non religiose è più forte che in qualsiasi altro paese in cui sia mai stata. Ci sono persone atee che odiano la religione e musulmani che invece basano la loro vita sull’islam seguendo alla lettera tutte le regole della shari’a, e la gente tende a frequentare persone con le stesse idee religiose creando una divisione enorme nella società. Ovviamente ci sono vie di mezzo ed eccezioni, ma penso che chiunque viva o abbia visitato la Turchia possa capire di cosa sto parlando.

Da Antakya vado a Gaziantep. Lì mi ammalo, forse per aver bevuto l’acqua del rubinetto o forse per la stanchezza del viaggio. Per fortuna la ragazza che ospitava, Begüm, si prende cura di me, cucina per me e mi va a comprare le medicine. Dico per fortuna ma in realtà durante tutto il mio viaggio in Turchia e in Iraq non mi sono mai sentita lasciata da sola, non ho mai avuto paura di trovarmi in difficoltà perché sapevo che avrei sempre trovato gente disposta ad aiutarmi.

Poi da Gaziantep vado a Şanlıurfa. Prendo un autobus urbano per uscire dalla città, e quando mi avvicino all’autostrada un autista di uno dei piccoli autobus che connettono una città all’altra nell’est della Turchia (i Dolmuş) e che era in strada cercando di attirare più gente possibile nell’autobus per riempirlo prima di partire mi vede e mi chiede dove dovessi andare. Gli dico che sto facendo autostop e che non sono interessata a prendere l’autobus, lui mi dice di salire e che non c’era bisogno di pagare. E così faccio il mio primo viaggio in un dolmuş turco, in cui viaggiano un sacco di anziani e famiglie. Al contrario della maggior parte dei paesi in Europa, in Medio Oriente non sembra esserci un limite ai bagagli che puoi portare su un autobus, la gente ci carica di tutto finché non si riempie. L’autobus si ferma in un paesino a metà strada tra Gaziantep e Şanlıurfa. Qua devo prendere un altro autobus per Şanlıurfa, di nuovo l’autista mi indirizza verso un altro dolmuş e io gli dico che non avevo soldi con me (non era una bugia, mi erano rimaste non più di 30 lire in tasca) e mi dicono di non preoccuparmi dei soldi. Ero veramente felice e commossa nel vedere come la gente fosse così disposta ad aiutare gli stranieri.
Entro finalmente nei territori abitati dai curdi.
Era verso la fine di settembre, era tutto secco e il paesaggio era completamente giallo.

L’est della Turchia è molto più conservatore della parte ovest, e si nota immediatamente. Mentre a Fethiye puoi vedere ragazze che girano tranquillamente per strada in bikini, nella parte orientale quasi tutte le donne indossano il velo. Avevo spesso sentito dire che fare autostop nell’Est della Turchia è più semplice (da amici uomini), in realtà questo non corrisponde alla mia esperienza. è vero che le persone sono ospitali e che se hai bisogno di qualcosa ti basta chiedere per trovare aiuto, ma ho avuto l’impressione che la maggior parte della gente non veda di buon occhio una ragazza da sola col pollice alzato sul ciglio della strada, e le stesse persone che probabilmente si sarebbero fermate per dare un passaggio a un uomo non si fermavano per me, così per la prima volta da quando ero arrivata in Turchia mi sono sentita molto scoraggiata dal fare autostop.
La prima città che ho visitato è stata Şanlıurfa: Şanlıurfa è sicuramente la città più conservatrice dell’intera Turchia. Inoltre sono generalmente favorevoli allo stato turco, al contrario di altre città curde. Alla stazione degli autobus si vede un’enorme scritta “Biz Türkiye’yiz” (noi siamo Turchia) sul muro.
La famiglia con cui sono stata erano bravissime persone, gentili e ospitali, ma mi ha colpito vedere come la loro vita si basasse interamente sulla religione, come quella di molte famiglia in Turchia, soprattutto nell’est, e come cercassero di parlarmene tutto il tempo.

Şanlıurfa è bellissima, e c’è un giardino che è più o meno come ti puoi immaginare il paradiso leggendo passi del Corano. Si dice che se peschi e mangi uno dei pesci di quel lago diventerai cieco, ma non sono riuscita a capire se si intendesse letteralmente cieco o in senso metaforico.

Ho avuto diverse conversazioni con ragazze della mia età che erano originarie della Turchia orientale ma vivevano nella parte occidentale perché nell’est non si sentivano libere di vestirsi o comportarsi come volevano. Essendo una straniera io non sentivo ovviamente lo stesso tipo di pressione sociale, ma ad esempio girando per Gaziantep in pantaloncini corti ci ho messo poco ad accorgermi che tutti mi guardavano, non essendo una cosa comune.

Ad Adıyaman una famiglia mi ha visto camminare nel sito archeologico, e mi ha invitata a cena e a dormire da loro per quella notte. Nelle città meno turistiche la gente è spesso curiosa quando vede viaggiatori di altri paesi, e vuole mostrare la loro cordialità ed ospitalità. E per me è un’altra occasione per passare una serata insieme a una famiglia del posto, imparare la loro cultura e le loro idee e fare amicizia con la figlia che ha esattamente la mia età.

Il giorno dopo vado finalmente al monte Nemrut. Mi accompagna in moto un amico di Adıyaman, durante la strada ci fermiamo a vedere alcuni siti archeologici e un castello antico. La città di Adıyaman non ha niente di speciale, ma nella regione ci sono molti siti storici e paesaggi bellissimi.

Arrivata sulla cima del monte mi godo il paesaggio, e prima che tramonti il sole scendo dal lato opposto per cercare un passaggio per Malatya. L’uomo che mi aveva accompagnata mi aveva avvertita che probabilmente non sarei riuscita a trovare un passaggio e io, come sempre quando la gente mi dice che non riuscirò a trovare un passaggio e rimarrò bloccata, mi ero arrabbiata. “Basta una macchina sola”

Questa volta però aveva ragione lui. Scendo il monte dal lato opposto da cui ero salita, e arrivata alla caffetteria vedo che il parcheggio è completamente vuoto e che non sembrava esserci nessuno che sarebbe andato verso Malatya quella sera. Parlo con i due uomini che lavoravano nella caffetteria, il mio amico li aveva chiamati e li aveva avvertiti che sarei arrivata e che forse avrei dovuto dormire lì. Passo così la notte sul divano della caffetteria, in realtà non dormo molto perché il vento sbatte sulle finestre e sulle porte a vetri, facendomi pensare continuamente che qualcuno stia cercando di entrare. Passo una delle tante serate di noia che sono inevitabili quando viaggi solo, e che bilanciano i momenti di emozione ed euforia. Finalmente mi addormento, mentre il vento fuori continua a fischiare e un gatto continua a correre tutta la notte da una parte all’altra della stanza. Vengo svegliata prima delle 5 di mattina dai turisti che erano venuti a vedere l’alba. Mi faccio così dare un passaggio sulla cima del monte e assisto a un’alba incredibile, e a quel punto sono contenta di essere rimasta lì per la notte. Poi trovo una coppia che mi porta a Malatya.

Queste sono le note che ho scritto quando sono arrivata a Mardin:
“Despite the tiredness of feeling three months of non stop hitchhiking and walks with a heavy bag on my back, I decided to push myself to keep my travel in Turkey and reach the east side and I am so happy about that, first of all because I fell in love with Mardin from the first moment, second because I could experience the differences between the different parts of Turkey, in the culture, the nature, the cities. Many people say the east of Turkey is more dangerous, many of them without ever coming here. I don’t know how much my opinion is worth because I am not here since long time, but I never felt like here is more dangerous than for example Ankara, Antalya, Konya or Fethiye. People here are generally more religious and conservative. It’s true that you can meet some close minded people that will judge you for not being Muslim or not covering your head but you will also meet so many people who are respectful, open minded and everyone here is so kind and hospitable. I got some bad looks while trying to hitchhike in the street, like “what is this girl doing alone in the street”, I felt sad but then I sat in the bus and the man next to me offered me a sweet and the good mood came back. You go somewhere to ask for wifi and they tell you to sit and bring you tea. You are sitting in the park and a woman offers you sweets. Everyone is nice, smiling and trying to help. These 2 months of traveling in Turkey taught me so much about hospitality, being open minded and trusting people.”

Poi finalmente è arrivato il momento di andare all’uscita della città e far vedere il mio cartello con scritto IRAK. Penso che quella giornata di autostop la ricorderò tutta la vita, ero felice ed emozionata perché stavo per entrare in un paese completamente nuovo di cui non sapevo cosa aspettarmi. Quando ero a Mardin avevo cambiato alcuni soldi in dinar iracheni. Il visto per la regione indipendente del Kurdistan è facilissimo da ottenere ma devi presentarti al confine con 100.000 dinar iracheni in contanti. Per entrare nella Repubblica d’Iraq bisogna fare un visto separato. In realtà il confine non è stato per niente facile da passare, tra gente che mi urlava in curdo, nessuno che mi spiegava cosa dovevo fare (tutte le persone intorno a me erano curdi, io ero l’unica straniera), la macchina su cui ero salita che smette di funzionare improvvisamente, la gente che chiede soldi per darti un passaggio per attraversare il confine (non è possibile attraversarlo a piedi e ci sono persone che stanno lì tutto il giorno col loro minibus e si fanno pagare per portarti da una parte all’altra) e le code e attese infinite. Per fortuna ho incontrato un uomo curdo che parlava inglese e che mi ha aiutata e accompagnata per i vari step (bisogna far vedere il passaporto e i bagagli in diversi check point, ma come ho detto tutte le altre persone sembrava fossero abituate a passare quel confine e nessuno spiegava cosa dovevi fare) e mi ha anche dato un passaggio a Zakho.
Entro finamente nella regione indipendente del Kurdistan all’interno dei confini dell’Iraq, sono le 5 e mezza di sera, è già buio e io sono felice e emozionatissima.

La prima città in cui sono stata è Zakho, a 20 minuti dal confine. Zakho ha un ponte storico come unica attrazione e per il resto edifici e strade abbastanza insignificanti e traffico costante. Ho avuto immediatamente l’impressione che in Kurdistan la gente guidi come se dovesse morire domani, senza preoccuparsi mai di prevenire o evitare incidenti. Ogni volta che salivo su una macchina o un autobus pensavo che sarei morta in un incidente stradale.
Un’altra cosa che mi ha subito colpita è come l’intera regione puzzi di petrolio: se viaggi in macchina da una città all’altra col finestrino aperto senti l’odore di petrolio venire da fuori. Si intuisce subito il valore e l’importanza economica di questi territori.

A Zakho sono stata ospite della famiglia di un amico curdo; ha 13 fratelli e sorelle che vivono sparsi nei territori curdi. Mi hanno accolta immediatamente a braccia aperte e nonostante le difficoltà nella comunicazione mi hanno trattata da subito come se fossi parte della famiglia, dicendomi di rimanere quanto volevo.
Vivere con loro è stato interessantissimo, perché ho vissuto in prima persona la vita di una famiglia curda di un paese del nord dell’Iraq. Meryem, la sorella del mio amico, si sposava in quei giorni. Il marito veniva a trovarla tutti i giorni insieme alla famiglia, e si preparavano cene e pranzi enormi da sistemare su una tovaglia messa per terra, intorno a cui ci sedevamo a mangiare. Al solito l’argomento principale riguardo a me era “ma questa ragazza è così magra, perché non mangia la carne?”
I legami che si formano col matrimonio sono molto forti, come se le due famiglie fossero unite in un’unica famiglia. Per questo, e perché molte coppie fanno almeno sei o sette figli, le famiglie curde sono grandissime, anche se questo sta cambiando con le nuove generazioni.

Un’altra cosa che mi è piaciuta subito del Kurdistan è che molte persone indossavano vestiti tradizionali. In generale la società è fortemente condizionata dalle tradizioni e dalla religione, come in gran parte dei paesi islamici. La società è fortemente patriarcale, gli uomini lavorano e le donne cucinano e puliscono la casa. Non vuol dire ovviamente che tutte le persone siano costrette a seguire queste regole, ma tutte le famiglie ne sono condizionate. Puoi comunque incontrare gente estremamente aperta di mente in ogni città del Kurdistan. La cosa che la gente locale mi ha dato l’impressione di apprezzare di più, oltre al fatto che la lingua e la cultura curda siano riconosciute e preservate nella regione, è la cultura basata sulla socialità e l’aiuto reciproco, per cui anche le persone che non si trovano bene in una cultura religiosa e conservatrice non cercano di andarsene dalla regione (oltre ovviamente al problema non trascurabile dei visti). “Finché sto qua so che se ho bisogno di qualcosa la gente mi aiuta. In Europa sarei da sola”

Il secondo giorno sono stata malissimo forse per qualcosa che avevo mangiato o bevuto, non riuscivo a smettere di vomitare. Mi hanno accompagnata all’ospedale dove mi hanno messo una flebo e dopo qualche ora sono stata meglio. Di nuovo ero contenta di poter contare su qualcuno che mi aiutasse se stavo male in un paese di cui non sapevo quasi nulla e di cui non parlavo la lingua.
I giorni successivi ho sperimentato la parte più oppressiva dell’ospitalità curda; non era possibile convincerli che non volevo mangiare o bere qualcosa per paura di sentirmi male di nuovo, insistevano e si offendevano se rifiutavo. L’intera famiglia mi ha mostrato una gentilezza ed ospitalità incredibile, includendomi anche in eventi personali della loro famiglia nonostante mi avessero appena conosciuta.
Il problema principale è stata la comunicazione. Parlavamo un po’ in turco pessimo (io) un po’ in inglese pessimo (loro) e penso che se avessi saputo il curdo avrei potuto avere conversazioni interessanti e imparare tantissimo di più. Inoltre penso che molte persone durante il viaggio mi percepissero come una bambina, per il mio modo di esprimermi in turco che appunto non è più avanzato di quello di un bambino.
Dopo essere stata qualche giorno ospite da loro, ho preso un autobus per Erbil.

Questo è quello che ho scritto quando ho lasciato Zakho:
“Kurdish are most probably the most hospitable population in the world. Also I am really impressed from the kindness of Kurdish women.”

A Erbil sono stata ospite di una ragazza che viveva in un appartamento poco lontano dal centro, Sarwen. Anche lei mi ha subito accolto come se fossi una vecchia amica dicendomi immediatamente che ero la benvenuta e che potevo stare da lei quanto tempo volevo nonostante prima di accogliermi in casa sua non avesse idea di chi fossi e non avessimo neanche mai visto una foto l’una dell’altra. Sarwen mi ha dato un sacco di informazioni interessanti sulla società curda. Si conferma così la mia visione di una società conservatrice e patriarcale. Ad esempio mi ha detto che molto spesso quando la gente le chiedeva dove vivesse diceva di vivere con la famiglia per non rischiare occhiatacce e insulti. Nelle società musulmane più conservatrici non è comune che una persona viva da sola, soprattutto una donna; i giovani vivono con le loro famiglie fino a quando non si sposano e vanno a vivere con il proprio marito o la propria moglie, o più probabilmente con la famiglia del marito o della moglie (nel senso che non prendono una casa nuova ma si stabiliscono nella casa di uno dei due)

Il centro di Erbil mi è piaciuto subito. Ci sono una cittadella antica e un mercato coperto in cui puoi trovare di tutto.

A Erbil ho incontrato molte persone interessanti, con cui ho avuto un sacco di conversazioni sul Kurdistan e sul Medio Oriente in generale.
Una cosa che ho sentito da diverse persone è la loro sensazione che la situazione possa cambiare da un momento all’altro. L’Iraq ha una lunga storia di guerre e scontri civili che hanno segnato psicologicamente la gente del posto. Sarwen mi ha detto una cosa tipo: “Oggi è tutto tranquillo ma magari domani scoppia una guerra. Noi non sappiamo mai cosa può succedere da un momento all’altro”
Un’altra conversazione che mi ha colpito è stata quella col mio host di Soran, che mi disse che due donne curde erano state uccise da soldati di un altro paese nel nord della regione.
“Why?”
“In the Middle East we don’t ask why.” Come a dire “succede e basta”

Sono andata a Soran da Erbil con un minibus locale. Dato che in Iraq, come in Turchia non mi ero disturbata a comprarmi una SIM non avevo modo di chiamare il mio host una volta arrivata. Chiedo alla donna accanto a me di prestarmi il telefono (in realtà le mostro la frase “posso usare il tuo telefono per fare una chiamata” che mi ero fatta scrivere in curdo sulle note del mio telefono da Sarwen). Quando la chiamata per qualche motivo si interrompe e non riesco a contattarlo, tutto l’autobus si mobilita per aiutarmi (e soprattutto capire cosa volevo dato che la comunicazione era il problema principale). Alla fine un ragazzo apre l’hotspot per condividere internet e ancora una volta sono felice di vedere come tutti fossero disponibili ad aiutarmi e cercassero di comunicare con me nonostante solo una o due persona sull’autobus sapessero un po’ di inglese.

Intorno a Soran ci sono dei posti bellissimi tra cui un canyon e delle cascate che ho visitato col mio host, purtroppo in quel periodo era tutto secco, ma spero di poter tornare la prossima volta in primavera e vedere i paesaggi verdi che ho visto solo in foto.

Da Soran vado a Sulaymaniyya. Ho provato per la prima volta da quando ero arrivata in Iraq a fare autostop. Scrivo Solemani in curdo sul mio cartello, vado in strada e appena mostro il mio cartello si fermano due macchine nello stesso momento. All’inizio va tutto per il meglio, la gente che mi vede mentre cammino in strada col cartello è incuriosita e cerca di parlarmi e di aiutarmi, facendomi solo perdere tempo in realtà, ma comunque un gesto gentile e un modo per comunicare con la gente. Una macchina con due uomini si ferma, l’uomo alla guida mi dice di salire. Durante il viaggio un sacco di persone salgono e scendono dalla macchina, capisco così che la macchina è in realtà un taxi, ma l’uomo che mi aveva invitata a salire mi rassicura che non avrei dovuto pagare. Scoprirò alla fine che aveva approfittato del fatto che non parlassi curdo e che sarei dovuta scendere dopo di lui per dire all’autista che avrei pagato io per l’intera corsa, e che la persona che mi è venuta a prendere una volta arrivata a Slemani aveva pagato il taxi per me. E scopro così che anche in una delle culture più ospitali del mondo si trova gente che cerca di fregarti, ed è così che il mio tentativo di viaggiare in autostop in Kurdistan è stato stroncato sul nascere dalla stanchezza e dalla tristezza dell’essere stata imbrogliata. Eppure tutte le esperienze che avevo sentito di autostop in Kurdistan erano estremamente positive, e penso la prossima volta che lo visiterò andrà tutto per il meglio. Inoltre nelle strade che connettono una città all’altra ci sono un sacco di posti di blocco, normalmente la polizia non controlla i documenti ma si limita a guardare velocemente dentro la macchina mentre passa. Ma nel caso controllino i documenti è quasi sicuro che se sei straniero ti facciano scendere dalla macchina, ti facciano qualche domanda e ti controllino lo zaino, facendoti perdere un sacco di tempo. Ho sentito che è comune in tutto l’Iraq, non essendo un paese turistico.

Slemani è la città meno conservatrice di tutto l’Iraq. Mi è piaciuta subito l’atmosfera della città. La famiglia da cui sono stata era estremamente aperta di mente, e mi ha colpito la differenza con le altre famiglie che avevo incontrato.

Purtroppo mi sentivo distrutta fisicamente ed emotivamente da 4 mesi di viaggio con uno zaino più grande di me sulle spalle, e a malincuore ho deciso di interrompere il viaggio nonostante non fossi riuscita a visitare alcune parti del Kurdistan in cui volevo andare come Halabja e Aqre.

I miei ultimi appunti prima di lasciare il Kurdistan:
“When you travel for a long time you keep falling in love with people and places until at one point you look back and you realise that you left a piece of yourself in each of these places, which also means you are left with your hearth ripped apart.
These last days I kept saying how much I miss Italia and my friends and my university but today on the bus to Erbil I actually realized my travel is over and I just wanna cry and cry. It’s in these moments that I think: I never wanna travel again. But in the back of my mind I am planning my next trip at the same time.
It’s true that when you travel alone you have many moments of boredom and loneliness, but in exchange you get emotions and memories that I believe nothing else in the world can give.
I am happy I came to Kurdistan and I broke the European stereotypes about the Middle East, I’ve discovered an incredible region where I’m definitely gonna come back. About the Middle East, never believe what media say, never believe stereotypes and definitely don’t believe people who gave you suggestions about a country they’ve never been in.”

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