E’ giusto dare alle macchine una personalità giuridica?

Aneddotica Magazine
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4 min readFeb 27, 2017

Cosa distingue l’uomo dalla macchina? Molti risponderebbero facendo notare che ciò che differenzia un robot da una persona è proprio la personalità, ovvero il non essere semplicemente una macchina che risponde ad ogni input sempre con lo stesso output, ma un organismo vivente complesso e soprattutto unico. Tanto unico da poter essere responsabile delle proprie azioni e degli eventuali danni che queste azioni causano su persone e cose.

C’è chi non la pensa così. Nei giorni scorsi, a richiamare l’attenzione su questo tema è stato Bill Gates, l’uomo più ricco del mondo. Molti giornali hanno riportato una sua affermazione secondo la quale i robot che prendono il posto di lavoro degli esseri umani dovrebbero pagare delle tasse. “Proprio adesso, per il lavoratore umano che fa, diciamo, 50.000 dollari di lavoro in una fabbrica, quel reddito viene tassato”, ha spiegato Gates in un’intervista durante una recente intervista. “Si ottengono tasse sul reddito, sulla previdenza sociale, tutte queste cose. Se arriva un robot a fare la stessa cosa, c’è da pensare che dovremmo tassarlo ad un livello simile”.

Gates ha riportato l’attenzione sulla “responsabilità sociale” delle macchine. Un tema di cui qualche mese fa si è occupata anche l’Unione Europea: qualche mese fa a Bruxelles c’è stato chi ha pensato di considerare le macchine come “soggetti con una personalità giuridica”.

Quella che a prima vista potrebbe sembrare una provocazione è, invece, una proposta realmente avanzata al Parlamento europeo che prevede la richiesta di adottare un piano normativo comune nel settore della robotica che, tra le altre cose, prevede il riconoscimento della personalità giuridica dei robot, della loro responsabilità civile verso terzi e dell’obbligo di versamenti previdenziali per il lavoro svolto e sottratto a lavoratori umani. La mozione presentata dal Partito Socialista del Lussemburgo al Parlamento Europeo prevede l’assegnazione di una personalità giuridica a ogni “smart” robot, operativo e capace di eseguire un certo numero di task (mansioni). L’obiettivo è arrivare a tassare il lavoro svolto dagli automi, in maniera tale da assegnare le risorse ottenute ai lavoratori umani, che, per colpa della rivoluzione tecnologica stanno perdendo l’impiego, e quindi il reddito.

Alla base di queste proposte (inclusa quella avanzata da Bill Gates) la tesi secondo la quale, a fronte di una aumento del 29% delle vendite di robot, ci sarebbe un calo dei posti di lavoro. Il problema è che secondo un recente studio commissionato dall’OECD, “Il rischio dell’automazione per gli impieghi nei Paesi OECD” sostituirebbe solo il 9% degli attuali impieghi in 21 Paesi del mondo. Per contro sono in aumento i posti di lavoro in aziende che producono i robot.

Ma allora cos’è che realmente dovrebbe permettere di considerare i robot “persone giuridiche”? Alcuni studi hanno fatto riferimento a “quali lavori i robot riusciranno a fare”. Una ricerca condotta dall’US Bureau of Labor Statistics e da O*Ne e basata su oltre 2000 mansioni lavorative e 800 occupazioni diverse ha definito un range di parametri che dovrebbero essere ritenuti fondamentali per comprendere se e come i robot potrebbero sostituire gli umani: fattibilità tecnologica, costi dell’automatizzazione, offerta di lavoro umano, abilità, costo del lavoro, benefit, svantaggi sociali etc.

Ancora una volta, però, come nel caso della proposta di Gates e di quella avanzata dagli europarlamentari di Bruxelles nessuno è riuscito a fornire risposte concrete a molti quesiti. Almeno fino ad ora. Domande come “quale macchina tassare”. L’eurodeputata Mady Delvaux che si è fatta carico di presentare questa iniziativa dinanzi alla Commissione Europea ha parlato di “regole di diritto civile in tema di robotica”. Ebbene, la parola robot venne usata per la prima volta nel 1920 dall’autore ceco Karel Čapek nel suo dramma “R.U.R. — I robot universali di Rossum”, derivandola direttamente da robota che significa schiavitù e, in quanto schiavi, queste macchine non possedevano alcun diritto. Oggi, dopo quasi un secolo, la Delvaux definisce l’epoca che stiamo vivendo una “nuova rivoluzione industriale”, nella quale sarebbe necessario concedere diritti a soggetti che per antonomasia ne sono privi: “i robot, gli algoritmi intelligenti, gli androidi e le altre forme di intelligenza artificiale”. Secondo alcuni sarebbe necessario creare una categoria giuridica per i robot intelligenti e coscienti: macchine che non sono semplici beni mobili, ma che non sono nemmeno persone, né fisiche né giuridiche. In altre parole, secondo alcuni, sarebbe il momento di cercare di definire un tertius genus a metà strada tra res e personae. Una personalità “robotica” alla quale attribuire responsabilità, sia contrattuali che extracontrattuali, incluse quelle per danni a terzi, risarcimento danni e tassazione.

È proprio qui che sta il nocciolo della questione: per attribuire questa “responsabilità” non è sufficiente fare riferimento al rapporto di causalità tra il comportamento (dannoso) del robot e il danno subito dalla parte lesa. Senza contare che si tratta di una materia tremendamente spinosa: basti pensare alla complessità dell’accertamento della responsabilità civile tra umani. Cercare di attribuire responsabilità alle macchine potrebbe ingenerare vertenze giudiziarie dinanzi ad autorità giudiziarie chiamate a giudicare “soggetti robotici”.

Problemi che forse l’umanità che ha creato macchine che sembrano uomini non è ancora capace di risolvere efficacemente. Ma forse qualcuno pensa che a dirimere questa questione potrebbero essere le macchine…..

Originally published at Aneddotica Magazine.

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