Velasca total look: così ti rivoluziono il Made in Italy

Anita Bernacchia
4 min readNov 1, 2023
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14 luglio 2023
di Anita Bernacchia*

“Entra in famiglia”: Velasca ci invita così nel suo universo dal sito web aziendale. Brand di moda milanese nato nel 2013, conquista presto Europa e USA. Oggi fattura 25 milioni di euro. La chiave del successo? Jacopo Sebastio, co-fondatore e CEO, ci svela i suoi segreti.

Velasca è un’azienda italiana atipica. Fundraising, phygital, continua evoluzione. Qual è la vostra storia?

Ho iniziato a 30 anni con l’amico Enrico Casati, che ne aveva 25. Lavoravo nella finanza, ma desideravo qualcosa di mio, come mio padre. Puntammo sul prodotto artigianale italiano. I primi artigiani dissero sì dopo 6 mesi. Ma grazie al sito Internet si aprì un mondo.

Trasformare il sogno in realtà: quanto ci vuole?

Un anno e mezzo per i primi risultati. All’inizio usavamo un apecar per le consegne. Con i primi 125.000 euro di investimenti aprimmo il primo dei 25 punti vendita in pieno quartiere della moda. Il fatturato balzò da 3.000 a 30.000 euro grazie a un modello omnicanale. Il primo brand digitale e glocale, con il 95% della produzione a Montegranaro, Marche.

Quali le difficoltà iniziali?

Il più difficile fu convertire in ordinativi le reazioni sui social. Ma è essenziale che la squadra sia coerente con i suoi valori, oggi Velasca vende più quelli che i prodotti.

Con quali scarpe avete cominciato?

Mocassini, Oxford. Poi, con nuovi fornitori, sneakers, scarpe country all’inglese, scarpe di vernice nera.

Marketingtoys.it

La pandemia: cosa è cambiato?

Nel 2020 abbiamo perso il 12%. Prima il 70% della nostra produzione erano capi formali, con un modello direct-to-consumer che taglia i costi e rafforza il rapporto con il cliente. Poi siamo passati al total look con maglieria, capi spalla, e le camicie per gli avvocati che andavano a fare southworking.

Quanto investite in pubblicità?

Il 95% della comunicazione è digitale. Il 50% Meta, il resto Google e giornali. L’anno scorso abbiamo investito 3 milioni in funnel marketing. Siamo andati su Sky per Wimbledon e il Gran Premio. Il nostro team campagne analizza effetti e ricavi per ogni paese e la nostra “media agency” interna conta 15 copy writer e graphic designer che puntiamo a triplicare.

Avete pensato agli influencer?

Lavoriamo con Fabio Attanasio e Pierpaolo Spollon che ci rappresentano con simpatia e stile. Collaboriamo con Alfa Romeo e Pininfarina.

Il 60% della produzione è sul mercato italiano, il 40% sull’estero, come Francia e USA.

E’ stato più facile acquisire prima clienti in Italia, poi all’estero. Da noi stanno sparendo mestieri tradizionali come i cucitori di tomaie. In Velasca portiamo avanti il Made in Italy che piace agli italiani, con materiali italiani all’80–90%.

Anticipazioni?

Il nostro obiettivo è ribaltare quelle percentuali. Guardiamo al nord Europa dove il Made in Italy è molto esportabile. Siamo concorrenti con tedeschi e americani, ma contiamo sul brand italiano. Poi l’Asia, mercato molto diverso. Reperire partner locali può essere la via.

E nel sud Italia?

Produciamo sneakers in Puglia, pantaloni a Salerno. Ma per alcuni prodotti i costi erano elevati e li abbiamo trasferiti a Montegranaro.

Velasca, profilo Facebook

200 euro per un paio di scarpe. Prezzo sostenibile?

Sì, e destinato ad aumentare, le materie prime sono più care. Un nostro competitor anni fa vendeva a 550 euro il paio, oggi a 940. C’è spazio.

Tra i vostri target c’è la generazione Z?

Certo. Per loro produciamo un modello di anfibi simile alle Dr. Martens. Il focus resta la fascia 35–45.

Rifareste le stesse scelte degli esordi?

I mercati che non differenziano vanno in crisi come quello russo. Oggi un business online puro ha vita difficile. Ripartirei sempre con il posizionare Velasca nei negozi multimarca. L’essenziale oggi è competere con noi stessi e basta, l’unico modo per confrontarci con altri brand.

Velasca rispetta l’ambiente?

Saremo presto benefit corporation, con responsabilità per il territorio e sostenibilità in statuto.

Perché Velasca?

Dalla Torre di Velasca a Milano, orribile per molti ma simbolo della Milano che rinasce.

Lei lavora molto?

Viaggiavo molto prima della pandemia, ora ho delegato. Abbiamo 90 dipendenti e 900 artigiani. Ho una compagna e una figlia di 6 anni.

Indossi scarpe Velasca?

Certo! Anche adesso, con camicia e pantaloni Velasca.

*Scritto nell’ambito del Master in giornalismo di RCS Academy

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Anita Bernacchia

Europe, Italy, Romania, Moldova. Communication, literature, history.