Il vantaggio di giocare in casa, in numeri
“Home advantage gives you an advantage.”
Bobby Robson
Non so se Bobby Robson — calciatore e allenatore di buona fama (e di cui non avevo idea prima di scrivere questo articolo) — abbia detto sul serio questa frase, ma penso che per quanto banale questa possa sembrare, sembra spiegare il motivo del vantaggio di giocare in casa.
Abbiamo ormai socialmente assodato che la squadra che gioca una partita in casa abbia un vantaggio rispetto alla squadra avversaria. Da piccolo facevo fatica a prendere sul serio questo detto, forse perché quando giocavo a basket la mia squadra perdeva ovunque. Ad ogni modo, alcuni dati mi hanno fatto ricredere.
Per cominciare, svisceriamo cosa vuol dire giocare in casa, dividendo in fattori che possano avere un qualche effetto sui giocatori e sulla squadra e vediamo quali di questi contribuiscono realmente. E soprattutto, misuriamo il vantaggio di giocare in casa nel modo seguente:
la percentuale del numero dei punti guadagnato in casa rispetto a quelli guadagnati fuori casa in un campionato o coppa. Se l’home advantage fosse una finzione, allora dovremmo avere in media un 50% dei punti guadagnati in casa e un 50% di punti guadagnato fuori casa. Se l’home advantage è reale, allora la percentuale dei punti guadagnati in casa dovrà essere maggiore del 50%.
Per quanto riguarda il Calcio, questa misura è applicabile per tutte le leghe del mondo, poiché la FIFA ha stabilito che le sue competizioni assegnino tre punti per la vittoria, uno per il pareggio, zero per la sconfitta.
Vi tengo sulle spine mostrandovi soltanto alla fine a quanto ammonta l’home advantage nelle varie leghe europee (scroll down and you’ll be happy sooner) mentre parto dai fattori che lo determinano:
- Contributo del pubblico
- La familiarità del campo di casa
- La distanza dei viaggi
- Le regole di una competizione
- Territorialità e aggressività
Il contributo del pubblico: quando una squadra gioca in casa, generalmente sugli spalti si trova un numero maggiore di tifosi rispetto alla squadra avversaria. Per misurare l’impatto che i loro cori hanno sull’home advantage, i due economisti Michela Ponzo e Vincenzo Scoppa hanno considerato i derby tra squadre della stessa città in Serie A: le partite Inter-Milan, Roma-Lazio, Genoa-Sampdoria e Verona-Chievo, ad esempio, presentano squadre con lo stesso grado di familiarità del campo nonché spostamento nullo, e con i tifosi che si aggirano intorno allo stesso numero. Questo permette di isolare l’apporto che questi ultimi hanno sul punteggio finale: è emerso che chi gioca in casa ha una probabilità di vittoria maggiore del 13% rispetto a chi gioca fuori casa in questi derby. “Home advantage gives you an advantage”, è questo il caso: infatti pare che gli allenatori tendano a schierare formazioni più offensive e ad impiegare tattiche spregiudicate quando giocano in casa, facendo sì che la “profezia” si “autoavveri”, e l’apporto dei tifosi non sembra dunque contribuire in maniera significativa.
La familiarità col campo di casa: i campi da calcio non sono tutti uguali. Lars Magnus Hvattum, del Molde University College, ha stimato che il terreno sintetico utilizzato dalle squadre norvegesi conferisca loro un vantaggio. Allo stesso modo una variazione di quota del campo porta ad una variazione di pressione parziale dell’ossigeno: ad altitudini con quota maggiore, la respirazione ne risente. Pertanto il Sud America, che ha stadi anche a 2500 m di quota, crea un dislivello non solo geografico, ma anche tra chi è abituato a certe altitudini e chi no.
Questo porta ad una considerazione importante, visto che molte società sportive stanno acquistando uno stadio di proprietà (e quindi cambiando quello attuale): questa può essere sì una buona mossa economica, ma pare che l’home advantage possa ridursi anche del 24% nelle squadre che cambiano stadio (dati emersi dalle 37 squadre che dal 1987 al 2001 hanno cambiato casa).
La distanza dei viaggi: più lungo lo spostamento, più la condizione fisica dei calciatori ne risente. Dati alla mano, su 6389 partite della Bundesliga tra il 1986 e il 2007, Harald Oberhofer e colleghi hanno decretato che questo fatto è reale, ma solo oltre i 450 km di distanza. Pertanto, nei paesi di dimensioni maggiori come il Brasile o l’Australia, l’effetto della distanza è più marcato.
Le regole di una competizione: anche se le regole del gioco sono pressoché identiche sia che si giochi in casa che non, per quanto riguarda le coppe, qualcuno ha supposto che chi giochi in casa nella partita di ritorno abbia un certo vantaggio. Esaminando i dati di tre coppe europee, dal 1956 al 2006, uno studio del 2007 di Lionel Page e Katie Page ha mostrato che chi gioca la seconda partita in casa abbia il 55% di probabilità di passare il turno. Di contro, nel 2011 è arrivata una smentita sul Journal of Quantitative Analysis in Sports da parte di Manuel Eugster e colleghi. Questi hanno infatti evidenziato che fino alla UEFA Champions League 2003–2004, chi vinceva il proprio girone automaticamente giocava in casa la partita di ritorno degli ottavi di finale contro la seconda di un altro girone. Seppur non sempre vero, si suppone che la vincitrice di un girone sia più forte della seconda di un altro girone, pertanto l’home advantage è attribuibile a questo fattore. Inoltre, il vantaggio sembra del tutto svanire ai quarti di finale, quando si sfidano le squadre che hanno entrambe vinto il girone.
Territorialità e aggressività: e qui citiamo ancora Bobby Robson, andando a prelevare un po’ dall’Etologia e dalle Scienze Sociali. Pare infatti che nel mondo animale, gli animali maschi combattano con più vigore (dovuto ad un innalzamento dei livelli di testosterone in circolo) quando si trovano nel proprio territorio, come meccanismo di difesa dall’invasione. Nick Neave e Sandy Wolfson, del dipartimento di neuroscienze cognitive della Notrhumbria University, hanno studiato il legame tra i livelli di testosterone nella saliva degli atleti e la loro performance agonistica. Come avevo accennato nel primo articolo, chi gioca in casa ha una quantità maggiore di testosterone rispetto agli avversari fuori casa.
Questo per dare un overview dell’home advantage, che da mito socialmente accettato, ha assunto per me un qualche valore numerico. Ci sarebbero tante altre considerazioni da fare, dall’impatto che questo ha nei vari territori e perché all’influenza dei media, ma vi rimando ancora al libro di Carlo Canepa da cui queste informazioni sono tratte: “La scienza dei goal. Numeri e statistica applicati allo sport più bello del mondo”.
Vi lascio con i numeri che vi avevo promesso: prendendo 2280 partite italiane tra il 2006 e il 2012:
- nella Serie A italiana l’home advantage è del 62,25%.
In maniera simile nel resto d’Europa:
- in Spagna: 61,66%,
- in Inghilterra: 61,12%,
- in Francia: 61,08%,
- in Germania: 58,35%,
- in Olanda: 61,83%,
- in Bosnia-Erzegovina: 78,53%
- Malta: 50,56%.