Puoi scegliere di non guardare mai, sempre.
Della storia di Tiziana non sapevo niente fino a ieri sera. Non sapevo quanti anni avesse, se avesse studiato o cosa, quanto portasse di scarpe e se al mattino preferisse una colazione dolce o salata, o magari niente. Sono certa che nei prossimi giorni saprò tutto invece, tutto quanto. La sua storia fisica ed emotiva si srotolerà sulle pagine virtuali e cartacee di comunicazione e informazione, perché ci interessano solo i morti.
Quando dico che di Tiziana non sapevo niente prima di ieri sera intendo dire che la sua morte — il suo suicidio — è stata la prima cosa che ho scoperto della sua intera esistenza. Come molte altre persone la sto scoprendo dalla fine. Tornando indietro, nelle poche righe di un articolo che si precipita a dare notizia della sua morte, ricostruisco un poco alla volta i trascorsi e mentalmente mi appunto le informazioni chiave di un caso che è proprio e specifico di questa donna ma purtroppo anche tassello di una violenza sistematica che subiamo e produciamo continuamente.
Video hard (2015) condiviso online senza consenso.
Bullismo online e in strada (seguiti da tentativo di suicidio).
Causa contro i social (vinta) e cambio nome (effettuato).
Morte per mano propria.
Si è aperta immediatamente una discussione su diversi tipi di social-media (eg. Facebook, Twitter, Snapchat) che ha visto la maggioranza delle persone spaccarsi, come spesso accade in queste circostanze, in due fronti: l’Inquisizione Spagnola e i #PrayFor.
I membri dell’Inquisizione si dilettano a ignorare la radice sessista del problema che vede una ragazza succube di violazione della privacy, bullismo e violenza mediatica, riconducendo invece il problema alla sua sfrontatezza. Come accennavo, io non ho conoscenza del video (e non la avrò mai perché mi rifiuto anche a solo scopo informativo di guardarlo, e vi invito piuttosto a non farlo neanche voi perché i dati offerti dai giornali sono ben sufficienti a farsi un’idea) che pare essere stato girato con il consenso della ragazza ripresa nel corso di una fellatio e poi inoltrato a una ristretta cerchia di amici (con scopo a me ignoto e che, ancora una volta, non mi interessa). Il video è stato poi fatto trapelare illegalmente ed è diventato virale nel web, mentre la dura battaglia legale per la rimozione dello stesso dai vari siti gravava faticosamente su una ragazza che per questa violenza aveva perso il lavoro, la possibilità di sentirsi sicura, di mostrarsi in pubblico. I membri dell’Inquisizione si affrettano a concentrarsi sul fatto che una brava ragazza non avrebbe concesso di filmare in video una fellatio, probabilmente non l’avrebbe proprio fatta: probabilmente non sarebbe proprio uscita di casa, allora dico io.
Esistono anche i #PrayFor, quelli che condividono immediatamente la notizia accompagnandola da una emoji di un abbraccio, di un fiore, di una lacrima. Se anche non pratichino con questa maniera di condivisione degli eventi l’orribile victim-blaming perpetuata dagli Inquisitori, è pur vero che questa altra categoria si concentra sulla notizia in maniera impersonale. È in loro e grazie a loro che attecchisce il principio secondo quale “È colpa del web”: un web composto non da testate mediatiche, acchiappa-click per soldi, persone in carne ed ossa che conducono una loro (apparentemente dignitosa) vita oltre la dimensione virtuale. Tutto si verifica per una causa maligna più alta che si abbatte su di noi, e allo stesso modo si risolve nella brevità di una preghiera (interessante come molte persone che si professano laiche nel quotidiano spesso si affilino a questo comportamento, se non addirittura adoperando l’hashtag internazionale).
Smarcarsi da questi due gruppi e sviluppare un pensiero critico consapevole non è facile ma è doveroso, necessario. È una fatica contro un sistema rodato che dobbiamo compiere per un cambiamento necessario, e su più fronti. L’antisessismo (come l’antifascismo, l’antirazzismo e via così) bisogna praticarlo ogni giorno, perché non ne siamo immuni in alcuna circostanza. E gli strumenti per praticarlo senza sforzo ci sono stati sottratti, negati, nascosti, raccontati come inutili e pericolosi. L’antisessismo si pratica nel quotidiano attraverso la lingua, non cadendo nel vizio di forma di frasi fatte. L’antisessismo si pratica rileggendosi e riascoltandosi dopo che ci è stato fatto notare che quel che è stato scritto, o detto, è a rischio e prendendo consapevolezza, accettando di essere fallibili e potersi e volersi migliorare. Un dialogo aperto, il desiderio di interrogarsi costantemente sugli eventi e domandarsi cosa si possa fare per cambiare queste falle strutturali (o queste colonne strutturali che sorreggono un sistema indecente): affrontando la discussione io ho avuto modo di riflettere in altri termini, ad esempio, su quanto segue.
Un intellettuale (scrittore, critico, promotore culturale) italiano ha commentato la vicenda dichiarando di sentire moti di pena e rabbia per la ragazza: per la condivisione illecita dei suoi dati (a partire da quelli anagrafici) e quanto hanno comportato, pena. E rabbia per la sua ‘stupidità’ (cit.).
(Da notare che segue l’uso di questi stessi termini per descrivere la rabbia e lo sconforto nei confronti di chi quei video li ha fatti circolare, li ha lasciati circolare e ne ha usufruito). Ma come può suscitare rabbia la presunta stupidità della vittima, l’incoscienza di cui la tacciano per aver permesso che quel video esistesse in primissimo luogo? In che maniera ha questa ragazza contribuito alla sua (così detta, e tristemente percepita) vergogna? La nostra rabbia e il nostro sdegno deve rivolgersi solo e unicamente verso chi ha approfittato a più livelli di queste circostanze, una cosa che avviene sistematicamente (le statistiche di revenge-porn come forma di punizione — delle donne — fanno rabbrividire).
Ho discusso con una persona che stimo fortemente anche del tema della “ridistribuzione delle colpe”. Personalmente, prima e dopo la discussione, rimango fortemente dell’idea che ognuno di noi debba riflettere sull’accaduto ponendosi il problema del se e come ha contribuito a questa massiccia esposizione mediatica di un soggetto inconsapevole (e poi in disaccordo): ogni click, ogni condivisione, ogni visualizzazione e ogni battuta fatta con superficialità — anche se non con cattiveria — sono risultato di una società che dobbiamo mettere in discussione, e sono allo stesso tempo motore della stessa. La decolonizzazione comincia da ogni singolo soggetto. La scelta di fare ammenda nel privato delle proprie stanze, o addirittura in pubblico (come ha fatto un’amica conosciuta tramite Snapchat, che ha scelto di commentare criticamente di aver goliardicamente fatto circolare il video in passato, interrogandosi sui motivi che l’avevano spinta a farlo a suo tempo) e riflettere con serietà e coscienza è il vero principio rivoluzionario che potrà salvarci dai mostri maggiori. Mostri maggiori quali i media, che ci istruiscono e si nutrono di questo diffuso linguaggio e atteggiamento sessista (e non solo, ovviamente). Manifestare intolleranza per il sistema odierno di informazione attraverso il rifiuto netto di sottostare alle sue regole. Educarci con costanza a rifiutare l’informazione come ci viene confezionata e venduta. Venduta, soprattutto, perché si tratta anche di un sistema capitalistico di arricchimento finanziario anziché morale: non solo i click portati dal nome e cognome della ragazza erano il pane dei media, addirittura la catchphrase di rappresentanza sulla quale si era tanto spinto il pedale per la resa virale era stata stampata su delle magliette. (Con una breve e vaga ricerca potrete rendervene conto voi stessi, vi prego però di fidarvi e non alimentare ulteriormente, appunto, le pagine che vi hanno lucrato: ho compiuto una veloce ricerca per immagini e non clickando alcun link sperando di arrecare il minimo danno).
La mia (e come sono orgogliosa di dirlo, ogni volta) amica Sonia ha fatto luce su un aspetto linguistico e strutturale che è un evidente esempio di quanto ho cercato, tra le altre cose, di segnalare anche io a mio modo (qui e altrove). Cito testualmente:
sto leggendo tanta indignazione a destra e sinistra per il suicidio di Tiziana e ovunque leggo tale indignazione accompagnata dal verbo “sputtanare”. La ragazza è stata “sputtanata”. che, per una donna insultata con “troia” e “puttana”, rende veramente bene il livello culturale in cui versiamo. quando poi ridete come gli stronzi quando vi si rompe il cazzo con “ste menate del politically correct”, ricordatevi che utilizzare un determinato linguaggio è un esercizio per decostruire certe concezioni, che siano maschiliste, abiliste, razziste o fasciste.
Penso che non vi sia nulla che io possa aggiungere a quanto già detto da lei con perfetta chiarezza, ne approfitto invece per fare da ponte con questo ben a mente a un altro stimolo per la riflessione suscitatomi da una discussione online sul tema. Si tratta della vergogna legata al sesso, una condanna tutta femminile.
Un aspetto ignorato dai più, nelle disamine più o meno attente, è la vergogna e la colpa che sono associate al sesso praticato dalle donne. Con consapevolezza, per scelta, dove-come-quando-con chi vogliono nella bellezza del consenso. Fiumerosso con tono allibito mi dice in una nota vocale dell’orrore di una società entro la quale una donna che fa sesso debba scontare addirittura con la morte (indotta dalla pressione di giudizi trasversalissimi): questo è l’Occidente che vogliamo esportare con la forza in ogni angolo di mondo, credendolo illuminato. E ancora una volta questo discorso, legato a doppio nodo a tanti altri anche qui già toccati, è espressione ennesima di un sessismo che danneggia indistintamente il genere umano in ogni suo genere. È insito il pensiero che vuole il maschio sempre felice di poter vantare un certo machismo, un certo profilo pubblico che fonda sul disrispetto e l’anaffettività il rapporto con l’alterità. (“La sposa in bianco / il maschio forte” cantava Rino Gaetano nel 1978, ed era già tardi per dirne “Nun te reggae’ più”).
Una proposta che ho sentito provenire più recentemente da Gloria Baldoni ma che aveva preso spazio in diverse occasioni della mia vita nelle ultime settimane, è di riportare umanità e affettività nel mondo. Lo deduco dal fatto che Gloria dice che chi si scaglia contro Tiziana o si smarca da possibili responsabilità acriticamente non ha perso solo la propria dignità, bensì il proprio cuore. Come si educa il cuore delle persone? Come si riceve un’educazione sentimentale?