La trasparenza amministrativa tra diritto di conoscere ed esigenze di legittimazione (con una chiosa a proposito del decreto Madia)*

Benedetto Ponti
22 min readApr 5, 2016

--

La trasparenza tra legittimazione e controllo diffuso del potere

Quando si affronta il tema della trasparenza amministrativa, si muove ormai da una nozione sufficientemente consolidata: per trasparenza intendiamo una condizione che consente (a chi ne fruisce) di comprendere: comprendere le scelte compiute, i risultati ottenuti, e prima ancora le possibilità ed i margini di scelta effettivamente a disposizione dei soggetti e dei processi che sono fatti oggetto di trasparenza, su cui — cioè — “si fa luce”, secondo la ben nota metafora della luce del sole quale “migliore disinfettante” (Brandeis, 1913), ovvero della “casa di vetro” (Turati, 1908). La trasparenza, in altri termini, costituisce il fattore che abilita la comprensione da parte del cittadino.

In questi termini, la trasparenza costituisce un fattore abilitante della cittadinanza amministrativa perché pone il cittadino a confronto con l’esercizio della funzione amministrativa e, più ancora, con gli esiti di tale esercizio. La trasparenza contribuisce a costruire una spiegazione e ad attribuire un senso alle scelte compiute dal potere pubblico, non in via preventiva/preliminare (delega/mediazione politica), ed in termini sintetici/complessivi, ma piuttosto nel farsi dell’azione amministrativa e (soprattutto) rispetto agli esiti di questa azione, ai risultati.

La chiave di lettura della trasparenza come processo di costruzione di senso (nelle relazioni della cittadinanza amministrativa) è utile in quanto illumina efficacemente le dinamiche attivate da tale processo. Infatti, nella misura in cui fornisce una spiegazione (e quindi, se del caso, una giustificazione) delle scelte compiute, la trasparenza opera (ed è anche ricercata) come fattore di legittimazione (da parte di chi esercita il potere). Allo stesso tempo, nella misura in cui essa consente di gettare uno sguardo consapevole e critico sull’esercizio in concreto del potere pubblico, sui suoi risultati, essa abilita un controllo diffuso sull’uso di tale potere (da parte della società). Del tutto conseguentemente, in letteratura la trasparenza amministrativa è stata proposta quale fattore principale di costruzione della accountability delle pubbliche amministrazioni (al punto che i due concetti formano quasi una endiadi). Più in generale, essa viene configurata come una default setting rule di un ordinamento democratico (Stiglitz; 2003), e come tale essa è stata promossa anche nell’ambito delle politiche di sviluppo, nell’epoca della globalizzazione (Word Bank; 2003).

Allo stesso modo, l’idoneità ad attivare meccanismi di controllo diffuso connette alla trasparenza ulteriori compiti/potenzialità: prevenzione/contrasto della corruzione e della maladministration; razionalizzazione della spesa pubblica; promozione dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione pubblica; presupposto della partecipazione, etc.. Tali riconosciute attitudini della trasparenza amministrativa hanno, in effetti, decretato il successo “globale” degli istituti che le danno corpo: il diritto di accesso (sub specie di FOIA) prima (Ackerman, 2006); gli istituti dell’Open Government e dell’Open Data, più di recente.

Rispetto all’evidente successo fatto registrare da questo concetto, che rischia di tramutarlo in un passpartout an apparently simple solution to complex problems, such as how to fight corruption, promote trust in government, support corporate social responsibility, and foster state accountability’ (Birchall, 2014: 77) — quasi una buzzword ricca di enfasi, apparentemente non-controversa — vale la pena — armati di sano scetticismo rispetto alle narrazioni a senso unico — porsi qualche domanda, e formulare qualche precisazione.

Trasparenza, relazione informativa e diritto a conoscere

Poiché la comprensione/attribuzione di senso implica (anzi, presuppone) una conoscenza (di informazioni, di dati, di elementi conoscitivi più in generale), i meccanismi di costruzione del senso hanno a che fare con le informazioni (in quanto materia prima per la costruzione della conoscenza), nonché con le transazioni che consentono a tali informazioni di circolare, ed abilitare così la costruzione, il trasferimento e la diffusione della conoscenza. Pertanto, i meccanismi di costruzione di senso presuppongono l’esistenza di relazioni informative.

Ora, se guardiamo agli strumenti che danno corpo a queste relazioni informative, con specifico riferimento agli istituti della trasparenza amministrativa (il diritto di accesso, la pubblicazione, la diffusione, i servizi informativi, le rendicontazioni, i rapporti, le inchieste etc.), questi possono essere articolati secondo la rispettiva, maggiore o minore, attitudine ad attivare dinamiche di legittimazione, ovvero di controllo diffuso.

Il criterio discriminatore è sufficientemente chiaro:

a) se il cittadino può vantare una pretesa giuridicamente protetta all’attivazione della relazione informativa (che poi, lungo una serie di passaggi, può condurre a realizzare una condizione di trasparenza), siamo nel campo del controllo diffuso. Infatti, in questo caso è il cittadino (o, comunque, il soggetto che intende attivare il controllo) a scegliere su cosa fare trasparenza e (di conseguenza) quali informazioni pretendere, ed effettivamente ottenere, a tale fine.

b) se, invece, il cittadino non ha questo diritto, se cioè l’attivazione della relazione informativa è sostanzialmente rimessa alla (buona?) volontà dei pubblici poteri, o comunque dipende prevalentemente o esclusivamente dalla loro iniziativa, siamo piuttosto nel campo della legittimazione, dal momento che — in questo secondo caso — è la stessa istituzione a scegliere l’oggetto su cui fare (ovvero, consentire che sia fatta) trasparenza.

Si tratta, evidentemente, della rappresentazione schematica di due estremi: le dinamiche reali si collocano, fisiologicamente, da qualche parte, nel mezzo. Tuttavia, essa consente di cogliere la relazione che intercorre tra il diritto a conoscere (il cd. Right to Know) e la trasparenza amministrativa. Quanto più viene riconosciuto e protetto il primo, tanto più la trasparenza potrà declinarsi come strumento di effettivo controllo diffuso sull’uso del potere, sulla gestione della cosa pubblica. Di converso, se il diritto a conoscere è debolmente (o niente affatto) riconosciuto e tutelato, allora la trasparenza verrà a declinarsi prevalentemente, ovvero esclusivamente, come (mero) strumento di legittimazione.

La necessità di disciplinare la relazione informativa come pretesa conoscitiva esigibile nei confronti dei poteri pubblici costituisce — in effetti — un dato acquisito, certamente nel contesto europeo (ma non solo: Bishop, 2011): il «Right to Know» costituisce in effetti un «common european legal standard» (Savino, 2010; Hins 2007); è oggetto di una specifica convenzione del Consiglio d’Europa[1]; è riconosciuto tra i diritti fondamentali dell’UE[2] e la Corte di Strasburgo lo ha ricondotto, di recente, entro il novero dei diritti tutelati dall’art. 10 della Carta EDU[3]. Tuttavia, le più recenti politiche di apertura dei dati pubblici (Open Data) testimoniano dell’attualità di questa lettura. Fintantoché esse sono immaginate e realizzate come iniziative (più o meno strutturate) promosse dalle istituzioni, in esse finisce per prevalere il tratto (e la ricerca) di legittimazione; in questo senso, va sottolineata l’evoluzione (pur tra notevoli resistenze) del quadro giuridico dell’Unione Europea verso il riconoscimento (per quanto imperfetto) di una pretesa giuridicamente tutelata all’apertura dei dati (Janssen, 2013)[4].

Trasparenza, accoutability e delegittimazione

Per altro, la visione a “senso unico” circa le virtù ed i benefici deterministicamente connessi alla trasparenza amministrativa(«transparency is a moral high ground and therefore it is hard to be against the pro-transparency argument» Grimmelikhuijsen, 2012: 294; «in public discourse, transparency is widely considered a “good” […] a self-evident good in Western society», Etzioni, 2010: 1), è stata di recente sottoposta ad una critica vigorosa, in letteratura. Vi si trovano argomenti più tradizionali, come quelli che — muovendo dalla stretta relazione che intercorre tra informazione e potere — mettono in guardia dai rischi di erosione del potere pubblico, per effetto di una non ponderata cessione del controllo esclusivo sulle informazioni (a vantaggio di altri poteri/interessi) (Birkinshaw, 2010: 31); o quelli che evidenziano le controindicazioni della trasparenza applicata ai processi decisionali, sia nel momento del loro svolgimento, sia in seguito (Grimmelikhuijsen, 2010: 5). Tuttavia, le critiche più interessanti, ai nostri fini, sono proprio quelle che vengono mosse al rapporto trasparenza-accountability, anche in considerazione del fatto che sono formulate mettendo a tema il ruolo del web come fattore di diffusione, circolazione, e fruizione delle informazioni. Due dinamiche, in particolare, sono ricondotte al ruolo della stampa. Per un verso, questa tenderebbe a selezionare e dare risalto solo alle informazioni «notiziabili», che tendenzialmente sono quelle negative; per altro verso, la stessa ricerca dell’accoutability verrebbe declinata in una sistematica «caccia all’errore» — e correlativa disattenzione per le buone pratiche — (cd. gotcha media culture) con potenziali rischi di deriva scandalistica o inquisitoria. In entrambi i casi, ne risultano alimentati reazioni di sfiducia, disaffezione e cinismo da parte del pubblico, con effetti contrari a quelli predicati e attesi (Worthy, 2010; Fung, 2010). A simili esiti porterebbe anche l’effetto di demistificazione che conseguirebbe (pur nella migliore delle ipotesi) dalla possibilità di verificare lo scarso tasso di razionalità delle dinamiche che si sviluppano «dietro le quinte», destinato a scontrarsi con le aspettative (elevate) dei cittadini più consapevoli e engaged. Più in generale, si sottolinea il fatto che capacità di calcolo, elaborazione e mash-up sempre più potenti, applicate ad una massa sempre più ingente di informazioni, ne rende imprevedibili gli effetti (Ponti, 2011: 316), ciò che comporta la possibilità anche di esiti indesiderati, e tali da incidere negativamente sulla fiducia dei cittadini nei confronti dei poteri pubblici (per alcune esperienze concrete: Gurstein: 2011; Teuberer 2012).

La trasparenza come prodotto di una mediazione.

La potenziale ambivalenza della relazione tra trasparenza e accountability, per come emerge da questi studi, raccomanda di non dare per scontate le dinamiche ad essa sottese, e di conseguenza induce a valutare in termini meno meccanici e più complessi le ricadute in termini di sviluppo delle potenzialità della cittadinanza amministrativa, tenendo conto di una serie di fattori destinati ad incidere su tale relazione.

In particolare, la nozione di trasparenza come esito di un processo di attribuzione di senso si rivela una chiave di lettura particolarmente utile, tenuto conto delle caratteristiche dell’ecosistema nel quale tali relazioni si costruiscono e si dispiegano nell’epoca attuale, conformata dal paradigma della rete. Infatti, l’attribuzione di senso implica concettualmente l’esistenza di uno iato tra informazioni disponibili e comprensione effettivamente realizzata (e fruita), e tale spazio — in cui si verifica il processo di elaborazione in cui si produce l’attribuzione di senso — costituisce un momento eminente di mediazione (Hansen, 2015: 121), di cui il cittadino è solo in minima parte (anche) protagonista, ma tendenzialmente è (solo) fruitore (e, insieme, veicolo: vedi subito infra). Nell’ecosistema digitale, tale processo di mediazione acquista carattere strutturale, perché la rete costituisce di per sé una forma di mediazione (Bannister, 2011), ma soprattutto muta profondamente nei suoi caratteri: la struttura della rete comporta — infatti — una dislocazione, distribuzione e decentramento senza precedenti della capacità di accedere alle informazioni e di ri-elaborarle, ciò che comporta la moltiplicazione dei processi e dei soggetti che producono trasparenza, intenzionalmente o meno (Ponti, 2011: 317). In questi termini, il cittadino si trova di fronte una offerta variegata, molteplice, di «trasparenze», che coesistono e si pongono in concorrenza tra loro per la conquista della sua attenzione (l’unico bene scarso, nell’ecosistema digitale).

Proviamo ad evidenziare, seppure per cenni, alcune ricadute:

  1. La mappa degli intermediatori-produttori di trasparenza muta radicalmente, non solo in termini quantitativi, ma anche perché il meccanismo di accreditamento e riconoscimento di questi soggetti tende a modellarsi su quelli propri della rete. La trasparenza amministrativa tende così ad essere assorbita entro le logiche della rete, ed a mutare con esse. Si pensi alla iniziale centralità assunta dai motori di ricerca (e relativi algoritmi), ed a come questa sia attualmente sfidata dagli algoritmi di selezione, aggregazione e ranking applicati da social network e social media; si pensi, ancora, a come le tecniche e le logiche di profilazione incidano sulla modalità degli utenti della rete di accedere ai contenuti (Pariser, 2011; Sunstein; 2001), ivi compresi quelli che fanno trasparenza sui poteri pubblici.
  2. All’interno di questo scenario, i pubblici poteri si muovono come uno dei mediatori della trasparenza, e sempre di più tendono ad agire (e, più spesso, a reagire) in funzione di (ri-)legittimazione, anche come risposta alle dinamiche di delegittimazione che la trasparenza può attivare. Si pensi, in questo senso, alle modalità con le quali le amministrazioni pubbliche (le più consapevoli, in particolare) organizzano e gestiscono la loro presenza nei social media network (Bonsón, 2012), ciò che appare confermato dalle analisi compiute relativamente al contesto italiano (Arata, 2014; Lovari, 2013).
  3. Lo iato tra conoscenza potenziale (abilitata dal diritto a conoscere) e comprensione realizzata può essere riempito a fini di trasparenza (e così reso disponibile e fruito dalla generalità dei cittadini, utenti, etc.), ma questo esito non è automatico, né l’unico possibile. La capacità di comprensione, infatti, può essere «capitalizzata» anche ad altri fini (produzione di beni, offerta di servizi, attività di lobbying, etc.). Di questa opportunità, per altro, sono pronti a fare uso principalmente quelle organizzazioni già attrezzate in termini di capacità operative (e di capitale conoscitivo): il rischio di empowering the alredy empowered è tutt’altro che teorico (Gurstein: 2011); gli effetti della trasparenza (meglio, dei relativi strumenti: l’esercizio del diritto a conoscere, la disponibilità di informazioni) risulterebbero così molto distanti da quelli attesi, contribuendo ad un aumento delle diseguaglianze (Zuiderwijk, 2014).
  4. Si afferma, di conseguenza, anche in questo settore la necessità (ma anche una domanda) di mediatori privi di interessi occulti, ovvero di mediatori civici. A differenza del tradizionale requisito all’imparzialità (da intendersi come neutralità dell’osservatore), nel diverso ecosistema dell’informazione digitale si dà per assunta l’esistenza di specifici punti di vista (che condizionano l’attribuzione di senso): l’importante è che il mediatore faccia propria un’istanza di «trasparenza», da intendersi in questo caso come franca dichiarazione delle finalità perseguite (Weinberger D., 2009; Hellmueller L., 2013), unita ai tradizionali requisiti del giornalismo (“checking facts, attributing accurately, uncovering new information, exposing falsehoods”) (Riordan K., 2014), ciò che però esige un elevato tasso di consapevolezza nel cittadino che ne fruisce.
  5. La riflessione sulla centralità della rete come fattore di accesso, distribuzione e riproduzione dell’informazione e della cd. computer-mediated transparency, ha posto in evidenza l’insufficienza di questo approccio, che corre il rischio di realizzare una lettura decontestualizzata della realtà su cui si intende fare luce, con rischio di creare (o fare riferimento a) una realtà differente, o una «iperrealtà». Un processo in cui è più importante la rappresentazione che viene elaborata e presentata (la comprensione, l’attribuzione di senso, secondo la nostra prospettiva), rispetto alla realtà che si intende rappresentare (ed interpretare) (Meijer, 2009). Secondo questa lettura, solo l’uso combinato con forme pre-moderne di accountability (contatto diretto, interazione, partecipazione) sarebbe in grado di restituire una trasparenza effettivamente capace di attivare processi di controllo diffuso.
  6. Infine, sono gli stessi confini del diritto a conoscere ad essere posti in questione dall’ecosistema digitale e dalle sue potenzialità. La trasparenza amministrativa, costruita sull’esercizio degli istituti propri del diritto a conoscere (e quindi soggetta ai relativi limiti: riservatezza pubblica e privata), è «doppiata» da una diversa istanza, che muove dalla rottura esplicitamente ricercata di quei limiti (wikileaks, datagate, etc.); qui il rapporto tra trasparenza e accountability è programmaticamente ribaltato, e la stessa nozione di cittadinanza amministrativa è posta in crisi (Hood, 2011) poiché ne sono negati alla radice fondamento e razionalità. In questo senso, essa rappresenta una ulteriore manifestazione della crisi della sovranità statale (in cui la tradizionale nozione di trasparenza è maturata), e della rottura del patto politico che la caratterizzava, nei termini di un reciproco rispetto di ambiti di riservatezza tra Stato e cittadini (anche rispetto a questi ultimi).

Le peculiarità del modello italiano nel contesto europeo: divergenze e convergenze.

L’esperienza italiana si segnala per il peculiare percorso di affermazione del Right to Know, percorso segnato (fin dai suoi esordi) da una “strozzatura” sul lato del diritto di accesso, in ragione della specifica declinazione di tale istituto nella legge n. 241/1990, come strumento di tutela soggettiva: una relazione informativa legittimata e vincolata dall’interesse differenziato e giuridicamente rilevante del richiedente (il cd. «Need to Know»). Un elemento affatto caratterizzante il modello, pienamente delineato con il regolamento di attuazione[5], avvalorato e perfezionato da una costante giurisprudenza amministrativa, e ancora ribadito nel 2005, quando il legislatore — pur mantenendo alcune residue ipocrisie[6] — ha chiaramente esplicitato l’estraneità del diritto di accesso rispetto al campo concettuale e funzionale della trasparenza amministrativa[7].

Tale strozzatura — che ha segnato una progressiva divergenza dal contesto europeo, mano a mano che anche le più diverse esperienze andavano allineandosi allo standard FOIA (UK nel 2000, ma l’istituto diventerà operativo solo nel 2005; Germania nel 2005, Spagna nel 2013, per citare le principali) — ha quindi privato la dimensione della cittadinanza amministrativa del canale “eminente” per l’attivazione di una relazione informativa abilitante al controllo diffuso. Da sottolineare che il modello ha mantenuto fermi i suoi caratteri anche nei confronti di alcuni attori/mediatori privilegiati (i giornalisti, e la stampa più in generale), al punto che con questi ultimi la relazione informativa si è strutturata su canali alternativi (in particolare, mediante l’istituzionalizzazione degli uffici stampa, e la riserva di ruolo in capo ai giornalisti iscritti all’albo[8]), basati piuttosto sulla omogeneità (e la solidarietà) professionale degli interlocutori (dentro e fuori dell’amministrazione), che non sull’esercizio dialettico di una pretesa conoscitiva.

Tuttavia, in un contesto modificato (crisi dei partiti, affermazione del legal standard FOIA, etc.) la necessità di attivare nuovi canali di relazione e di mediazione con i pubblici poteri esigeva una risposta. Di qui la progressiva affermazione (grosso modo a partire dal cambio di secolo, in coincidenza con la prima diffusione dei siti istituzionali delle PA) dello strumento della pubblicazione (doverosa) di informazioni via web (Carloni; 2005; Bonomo, 2012). Uno strumento che ha finito per acquistare una centralità assoluta (anzi, esclusiva) ai fini della realizzazione del diritto a conoscere in capo a chiunque (Ponti, 2013), ciò che ha comportato una sua evidente (sebbene spesso fraintesa: Vesperini, 2015) “sovraesposizione”.

Si è venuto edificando, così, un modello peculiare e differenziale, tutto incentrato sugli obblighi di pubblicazione, con effetti rilevanti, anche in termini di abilitazione della cittadinanza amministrativa. La pretesa conoscitiva riconosciuta al cittadino (pure di sicuro rilievo: Cudia, 2013) e la relativa tutela (mediante l’istituto dell’accesso civico: Ponti, 2013), restano pur sempre condizionati — quanto ad ambito oggettivo di applicazione — a concrete opzioni legislative, ossia alla positiva previsione di obblighi di pubblicazione/diffusione in capo alle pubbliche amministrazioni (Savino, 2013). Ciò che espone l’esigibilità del diritto ai mutevoli orientamenti del quadro positivo (tutt’altro che teorici), con ciò acuendo l’ambivalenza del modello, tra controllo diffuso e legittimazione. Inoltre, lo strumento della pubblicazione on-line, che pure soddisfa in modo immediato il diritto a conoscere, anche con riferimento al profilo dell’eguale e diffusa fruibilità delle informazioni, per la medesima ragione impone soluzioni rigide al bilanciamento con gli interessi contrapposti (diversamente dallo strumento dell’acceso, che si presta maggiormente a soluzioni flessibili, da adottarsi caso per caso). Di qui le notevoli tensioni rispetto alle esigenze di tutela, in particolare, della riservatezza e dei dati personali. Tensioni acuite dalla circostanza che il regime di pubblicazione è doppiato da quello di apertura dei dati. In effetti, le logiche dell’open data (riutilizzo aperto, decontestualizzazione, imprevedibilità dei risultati conoscitivi) sono strutturalmente incompatibili con quelle della tutela dei dati personali (necessità e pertinenza del trattamento, contestualizzazione, finalizzazione) (Carloni, 2014): con la conseguenza che la prevalenza dell’una comporta la recessione dell’altra, come efficacemente testimoniato dal susseguirsi delle discipline positive[9], e dalla loro controversa applicazione[10].

L’esperienza italiana, con le sue peculiarità, fornisce però anche significative conferme del quadro interpretativo delineato. Infatti, esempi concreti di riutilizzo — quali le piattaforme per il confronto dei dati di bilancio (openbilanci.it) o l’analisi della spesa per contratti (public-contracts.nexacenter.org) — ne rendono evidente il ruolo (e le dinamiche) ai fini della realizzazione della trasparenza/controllo diffuso. Ancora, esempi di riutilizzo promossi dalle stesse pubbliche amministrazioni — quali la piattaforma per il monitoraggio dei progetti finanziati dalla politiche di coesione (opencoesione.gov.it), ovvero la piattaforma di analisi e visualizzazione dei dati di spesa (soldipubblici.gov.it) — confermano le dinamiche della trasparenza in funzione di legittimazione, nonché la concorrenza tra amministrazioni e mediatori “terzi” quanto alla costruzione/attribuzione di senso. Infine, trova in parte conferma anche l’ambivalenza della trasparenza in termini di accountabilty: in particolare, accanto a esempi significativi di datajournalism (un esempio per tutti è l’inchiesta sulla bonifica dei siti contaminati dall’amianto: Battaglia, 2014), risulta fin qui prevalente un approccio di carattere voyeristico e scandalistico (come la spasmodica attenzione per i dati reddituali e patrimoniali di politici ed amministratori pubblici), mentre molte potenzialità restano tutt’ora inespresse, per scarsa capacità di elaborare un’offerta adeguata, ma anche per l’evidente debolezza della domanda di trasparenza espressa dalla società civile, con conseguenti ricadute sul contributo (e la direzione) della trasparenza concretamente realizzata come fattore di promozione della cittadinanza amministrativa.

Preso atto dei caratteri peculiari del modello di trasparenza amministrativa affermatosi nel nostro ordinamento, occorre però anche riconoscere gli elementi di convergenza, rispetto allo standard europeo. In primo luogo, perché lo stesso «diritto a conoscere», proprio in virtù della sua attitudine ad abilitare un confronto dialettico con i poteri pubblici (e non solo con quelli pubblici), non costituisce (altrove) una acquisizione definitiva, ma è soggetto a ripensamenti, perplessità (di cui si è dato conto), tentazioni e tentativi di ridimensionamento. A questo proposito, è esemplificativo — e tutt’altro che isolato — il rincrescimento di Tony Blair (espresso nel 2010) per aver introdotto il FOIA in UK (che pure è una disciplina che si segnala per l’ampiezza delle eccezioni al regime di conoscibilità), perplessità cui il governo conservatore in carica dal 2015 ha cercato di dar seguito (Burgess, 2015), pare — tuttavia — senza successo. La stessa Convenzione di Tromsø del 2009 è il frutto di un compromesso al ribasso (sensibile alle preoccupazioni di molti governi). Le medesime (se non, più intense) resistenze ed ambivalenze sono alla base dello stallo che blocca (da più di sei anni) l’adozione della nuova disciplina del diritto di accesso ai documenti dell’UE, adeguata ai nuovi trattati (Labayle, 2013).

In secondo luogo, perché lo stesso modello FOIA viene ormai sempre più spesso aggiornato ed adeguato, in diversi contesti, mediante l’introduzione di massicci obblighi di pubblicazione e diffusione via web (cd. proactive disclosure), ciò che testimonia anche di una dinamica di convergenza rispetto al modello italiano (Ponti, 2016).

Trasparenza e legittimazione del potere nella bozza del decreto Madia.

Tale dinamica trova conferma — sul fronte italiano — con il recente riconoscimento di un diritto di accesso generalizzato alle informazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche; anche se occorre prendere atto che le intenzioni proclamate, in sede di delega[11], paiono deluse in sede di attuazione[12], al punto che si dubita della stessa rispondenza del meccanismo normativo allo standard legale Foia (Carloni, 2016).

Tuttavia, proprio nel dibattito che ha preceduto ed ha seguito l’approvazione dello schema di decreto legislativo da parte del Governo, trovano ampia conferma le diverse declinazioni che la trasparenza amministrativa può assumere. E’ significativo che le critiche della società civile si siano appuntate proprio sui meccanismi che consentono al diritto di accesso generalizzato alle informazioni di configurarsi come una pretesa efficacemente protetta dalla legge, capace quindi di assicurare effettivamente al cittadino di ottenere le informazioni richieste, a fronte di poche e ben circostanziate eccezioni, e tale da costringere una amministrazione spesso recalcitrante a consentire l’accesso.

Ancora più significativa è stata, però, la reazione del Ministro cui si deve la formulazione del testo di legge in discussione. A fronte delle osservazioni, anche molto critiche, sollevate oltre che dalle associazioni che hanno promosso l’introduzione del Foia nel nostro paese, e dagli addetti ai lavori, anche da autorevoli organi di stampa (1) (2), il ministro Madia ha puntato l’attenzione sui principi, invitando i detrattori a non attardarsi sui meccanismi di enforcement:

“se si limita il dibattito a specifici aspetti normativi, la trasparenza rimarrà materia di contrapposizione tra una burocrazia che fa resistenza e un populismo che si alimenta nel coglierla in fallo”

e poi ha esplicitato cosa (a suo giudizio) la trasparenza debba essere:

“una grande politica pubblica che serve a combattere la zona grigia che va dall’illecito allo spreco, grazie al controllo sociale di 60 milioni di cittadini”

ma

“soprattutto, un importante strumento per riavvicinare i cittadini alle istituzioni consentendo alle persone di conoscere, con semplicità, dati, documenti e modalità di gestione delle risorse pubbliche”.

Non si tratta di abilitare una libertà, il cui (libero) esercizio può risultare anche “scomodo”, per il potere. Piuttosto, il controllo sociale va indirizzato — nell’ambito di una “grande” politica pubblica — al (solo?) fine di contrastare illeciti e sprechi (la trasparenza in funzione di prevenzione/contrasto della corruzione amministrativa e della maladministration). Ma “soprattutto” (l’enfasi è nelle stesse parole del Ministro), la trasparenza, deve servire a “riavvicinare i cittadini alle istituzioni”.

Come ognun vede, il Ministro sembra fare propria la declinazione della trasparenza in cui prevale la funzione di legittimazione. Dentro questo orizzonte concettuale (del potere), il debole grado di protezione assicurato al diritto a conoscere è del tutto coerente, e conseguenziale: il nodo politico (e prima ancora, culturale) è tutto qui. Il testo del decreto potrà cambiare (in termini sostanziali) solo se il potere (politico, burocratico, ma anche economico e finanziario) sarà disposto a consentire l’apertura di spazi effettivi di libertà.

In caso contrario, la logica della legittimazione è destinata a prevalere.

*questo saggio, in una forma più ampia ed articolata, è destinato ad essere pubblicato negli Studi per il 150° anniversario delle leggi di unificazione amministrativa del Regno, nel volume dedicato alla cittadinanza amministrativa.

[1] Cfr. Council of Europe Convention on Access to Official Documents, adottata a Tromsø, il 18 giugno 2009.

[2] Cfr. l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali UE (diritto d’accesso ai documenti): «Qualsiasi cittadino dell’Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione».

[3] C. eur. dir. uomo, 14.4.2009, Társaság a Szabadságjogokért c. Ungheria.

[4] Cfr. la Direttiva 2013/37/UE che modifica la Direttiva 2003/98/CE, relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, che opera nel senso di introdurre i principi di doverosità del riutilizzo e dell’open data by default.

[5] D.p.r. 27 giugno 1992, n. 352 (Regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell’art. 24, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241)

[6] Cfr. l’art. 22, comma 2, della l. n. 241/1990 — come modificato dalla legge n. 15/2005, ai sensi del quale “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.

[7] Cfr. l’art. 24, comma 3, della l. n. 241/1990 — come introdotto dalla legge n. 15/2005, ai sensi del quale “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.

[8] Cfr. l. 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), in particolare l’art. 9.

[9] Cfr. il regime di regime di riutilizzo dei dati personali delineato dal d.lgs. n. 33/2013 (particolarmente favorevole al riutilizzo dei dati personali dei titolari di incarichi pubblici oggetto di pubblicazione obbligatoria), con quello delineato dal d.lgs. 24 gennaio 2006, n. 36, come da ultimo modificato a seguito del recepimento della Direttiva 2013/37/UE (che, in linea con il quadro giuridico dell’Unione, fa prevalere le esigenze di tutela dei dati personali, escludendoli dal novero delle informazioni riutilizzabili).

[10] In particolare, va segnalato — perché sintomatico — il conflitto interpretativo manifestatosi tra l’Autorità nazionale preposta alla tutela della trasparenza (ANAC) e il Garante per la protezione dei dati personali, in merito alle indicazioni formulate da quest’ultima in ordine all’applicazione del d.lgs. n. 33/2013.

[11] La delega è contenuta nell’art. 7, comma1, lett. h della legge XYZ 2015 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche): “riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di ac-cesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

[12] Cfr. lo schema di decreto legislativo adottato dal Governo in data 20 gennaio 2016, AG 267, “Schema di decreto legislativo recante revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190, e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”, su cui si veda Cons. St., sez. Atti normativi, par. n. 515 del 24.02.2016.

_____________

Bibliografia

Ackerman J.M., Sandoval-Ballestreros I.E., The Global Explosion of Freedom of Information Laws, 58 Admin. L. Rev. 85 (2006)

Arata G. 2014, Enti locali e social network: il progetto #socialPA, in il Mulino, n. 2:14, Bologna

Bannister F., Connolly R. 2011, The Trouble with Transparency: A Critical Review of Openness in e-Government, in Policy and Internet, 3:1

Battaglia R. 2014, Amianto: nella mappa 4mila siti in meno da bonificare. Ma non è vero, in Wired.it, 15 luglio

Birchall, C. 2014, Radical Transparency?, in Cultural Studies — Critical Methodologies, 14 (1): 77–88.

Birkinshaw P. 2010, Freedom of Information. The Law, the Practice and the Ideal, Cambridge Univ. Press, Cambridge [4th ed].

Bishop C.A. 2011, Internationalizing the Right to Know. Conceptualizations of Access to Information in Human Rights Law, Proquest, Umi Dissertation Publishing

Bonomo, A. 2012, Informazione e pubbliche amministrazioni. Dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, Cacucci, Bari

Bonsón, E., Torres, L., Royo, S., & Flores F. 2012, Local e-government 2.0: Social media and corporate transparency in municipalities, in Government information quarterly, 29:2, 123–132

Brandeis L. 1913, What publicity can do, in Harper’s Weekly, December 20, 10

Burgess M. 2015, Cabinet Office in charge of FOI as government announces ‘Commission’ to review Act

Carloni E. 2016, Se questo è un Foia. Il diritto a conoscere tra modelli e tradimenti, in Astrid rassegna, 240:4

Carloni E. 2005, Nuove prospettive della trasparenza amministrativa: dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, in Diritto pubblico, n. 2, 573–600

Cudia C. 2013, Il diritto alla conoscibilità, in B. Ponti (ed.) 2013, La Trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33. Analisi delle normativa, impatti organizzativi ed indicazioni operative, Maggioli, Santarcangelo, 57–74

Etzioni A. 2010, Is transparency the best disinfectant?, in Journal of Political Philosophy 18(4), 389–404.

Fung A., Weil D. 2010, Open government and open society, in Lathrop D., Ruma L. (eds.) 2010, Open Government: Collaboration, Transparency, and Participation, Cambridge: O’Reilly, 105–114

Grimmelikhuijsen S.G. 2012, A good man but a bad wizard. About the limits and future of transparency of democratic governments, in Information Polity 17: 293–302

Grimmelikhuijsen S.G., Transparency of Public Decision-Making: Towards Trust in Local Government? 2010, in Policy and Internet, 2: 5–35

Gurstein M. 2011, Open data: Empowering the empowered or effective data use for everyone?, in First Monday, Volume 16, Number 2, 7 February (05/15)

Hansen H.K., Christensen L.T., Flyverbom M. 2015, Introduction: Logics of transparency in late modernity: Paradoxes, mediation and governance, in European Journal of Social Theory 18(2), 117–131

Hellmueller L., Vos T.P., Poepsel M.A. 2013, Shifting journalistic capital?, in Journalism Studies, 14.3: 287–304.

Hins W., Voorhoof, W. 2007, Access to state-held information as a fundamental right under the European Convention on Human Rights, in European Constitutional Law Review, 114–126

Hood C. 2011, From FOI World to WikiLeaks World: A New Chapter in the Transparency Story?, in Governance, 24, 4: 635–638

Janssen, K., Hugelier S. 2013, Open data as the standard for Europe? A critical analysis of the European Commission’s proposal to amend the PSI Directive, in European Journal of Law and Technology, 4:3

Labayle H. 2013, Openness, transparency and access to documents and information in the European Union, EP, Policy Department: Citizens’ Rights and Constitutional Affairs

Lovari A. 2013, Networked citizens. Comunicazione pubblica e amministrazioni digitali, Franco Angeli, Milano,

Meijer A. 2009, Understanding modern transparency, in International Review of Administrative Sciences, 75 (2), 255–269

Merloni F. 2008, Trasparenza delle istituzioni e principio democratico, in Id. (ed.), La trasparenza amministrativa, Giuffrè, Milano, 3–28

Pariser E. 2011, The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You, Penguin Group, New York

Ponti B. 2016, The Concept of Public Data, in J.-B. Auby (ed.), Droit comparé de la procédure administrative / Comparative Law of Administrative Procedure, Bruylant, Paris, 578–595

Ponti B. 2013, Il regime dei dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, in B. Ponti (ed.), La Trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33. Analisi delle normativa, impatti organizzativi ed indicazioni operative, Maggioli, Santarcangelo, 75–124

Riordan K. 2014, Accuracy, Independence, and Impartiality: How Legacy Media and Digital Natives Approach Standards in the Digital Age, Oxford: Reuters Institute for the Study of Journalism, Offord University Press (07/2015)

Savino M. 2013, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giornale di diritto amministrativo, 8–9, 795–805

Savino M. 2010, The Right to Open Public Administrations in Europe: Emerging Legal Standards, Parigi, OECD-OCSE, Sigma Paper n. 46

Stiglitz, J. 2003, On Liberty, The Right To Know And Public Discourse: The Role of Transparency in Public Life, in Gibney M. (ed.) 2003, Globalizing Rights: The Oxford Amnesty Lectures 1999, Oxford University Press, Oxford, 115–156

Sunstein C. 2001, Republic.com, Princeton University Press, New York

Tauberer J. 2014, Open government data: the book, in <https://opengovdata.io/> (20122)

Turati F. 1908, in Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, sess. 1904–1908, 17 giugno 1908, 22962

Versperini G., Natalini A., Le troppe trasparenze, in Id. (eds.) Il Big Bang della trasparenza, Edizioni scientifiche, Roma

Weinberger D. 2009, Transparency is the new objectivity, Joho: the Blog (2/16)

World Bank 2003, World development report 2004: Making services work for poor people, Oxford University Press, Washington, D.C./Oxford

Worthy B. 2010, More open but not more trusted? The effect of the freedom of information act 2000 on the United Kingdom central government, in Governance: An International Journal of Policy, Administration, and Institutions 23(4): 561–582

Zuiderwijk A., Janssen K. 2014, The negative effects of open government data — investigating the dark side of open data, in Proceedings of the 15th Annual International Conference on Digital Government Research, 147–152 ACM, New York

--

--

Benedetto Ponti

Docente di Diritto dell'informazione e Diritto dei media digitali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Perugia @PontiBenedetto