Algoritmi, colonizzazioni e gabbie social-i

Ancora a margine della controversia-Facebook, per riprenderci la socialità e decentralizzare l’economia

bernardo parrella
4 min readMay 26, 2016

Proseguono i rilanci a tutto tondo sull’affaire dei Facebok Trends, ben al di là di certi clamori mediatici e della tipica distrazione dei ‘cittadini digitali’. E si riflette non solo sul potere di un monopolio di nome e di fatto, com’è Facebook, di plasmare (filtrare?) l’informazione che raggiunge i suoi utenti. Ma anche e soprattutto rispetto a una realtà innegabile: certe questioni ormai vanno ben oltre l’ambito dei social e ci costringono a riconsiderare il contesto più ampio, la società nel suo complesso, dove…

…ogni cosa viene ‘disrupted’ senza andare troppo per il sottile, e senza alcun controllo sul ‘disrupter’.

Come nel caso delle intrusioni nella privacy o della sorveglianza diffusa: se, quando emergono casi controversi o scandali concreti (per esempio, i primi ‘incidenti’ su Facebook risalenti al 2009 o le rivelazioni di Snowden del 2013, rispettivamente), li lasciamo passare come nulla fosse, magari con la scusa che «non mi riguardano» oppure «tanto io ho nulla da nascondere» — pian piano simili pratiche manipolatorie e disgreganti s’infiltrano nella trama sociale, nel pensiero comune e…il gioco è fatto.

Contesto in cui torna perciò assai utile sintetizzare una lunga analisi sulla questione dei Facebook Trends, proposta dalle ricercatrici del Social Media Collective (osservatorio indipendente sotto l’egida di Microsoft Research). Prima di tutto, perché raccoglie le decine e decine di link ai vari interventi online (in inglese) seguiti alle prime rivelazioni diffuse il 9 maggio da Gizmodo. Vista la baraonda online provocata da quelle ‘rivelazioni’, diventa cruciale farsi un’opinione personale scartabellando con calma fra le tantissime fonti diverse, e magari confrontarne le posizioni. Secondo, l’articolo smonta freddamente alcuni…

…assunti fondamentali e profondamente errati riguardo Facebook e le piattaforme di social media, assunti che hanno oscurato la nostra comprensione del loro ruolo e delle loro responsabilità.

A cominciare da un presupposto già in parte messo in evidenza, anzi scontato (giorni fa lo definivo, appunto, acqua calda), che fa il paio con quello, altrettanto vero quanto troppo spesso ignorato o dimenticato, di una presunta e impossibile neutralità dell’informazione (o della tecnologia tout court, per quel che vale:

Gli algoritmi non sono neutrali. Gli algoritmi non operano in maniera autonoma da chi li ha generati.

A scanso di equivoci, l’articolo propone un dettagliato elenco, nient’affatto esaustivo, delle «decisioni umane che vanno prese per produrre qualcosa di simile ai Trending Topics di Facebook». I ‘manovratori’ devono infatti stabilire a priori, per esempio, quali ‘trend’ occorre monitorare e includere, se a livello globale o solo regionale, come evitare news mondezza e fasulle, conviene proprio essere bi-partisan e in base a quali criteri, e infine, chi e come controlla l’andamento generale del tutto? In altri termini, spesso è proprio l’ovvietà di tali elementi e passaggi decisionali a farcene sottovalutare la portata profonda, fino a innescare il ‘wishful thinking’ per cui l’automazione non guarda in faccia a nessuno e sarebbe sempre preferibile alle scelte operate da persone in carne ed ossa.

Altro snodo cruciale:

Il problema non sono gli algoritmi, quanto piuttosto il fatto che Facebook cerca di rendere comunque cliccabili le notizie.

Ovvero, linee-guida e le modalità operative imposte agli stessi curatori dei Trending Topics (in base e in sintonia con proposte dell’algoritmo che ha preventivamente scansionato post e attività di miliardi di utenti sulla piattaforma) ne rivelano un «lavoro segmentato, uniforme e come fosse computerizzato, programmato». Puntando così a «riorganizzare i lavoratori digitali in modo da integrarsi perfettamente a livello concreto e simbolico con le attuali culture dell’ambiente dei new media». Rivelando quindi un’ovvia inclinazione per le posizioni cyber-liberiste, e soprattutto con l’obiettivo finale di attirare il click spontaneo degli utenti su certi temi e parole. E innescando, per esempio, un altro tema bollente come “chi ha il controlla della sfera pubblica nell’era degl algortimi”, che per fortuna sta iniziando a essere affrontato seriamente da alcuni ambiti e ricercatori Usa.

E se ancora non bastasse, la conclusione dello studio chiarisce bene il contesto generale e lo scopo finale di tutte queste manovre (pur se, di nuovo, chiunque può farsi una propria opinione studiando l’intero documento):

Al di là di controversie che sembrano emergere più e più volte, il filo rosso che le collega sta nell’insistenza di Facebook nel voler colonizzare un numero sempre maggiore di componenti della vita sociale (amicizie, comunità, condivisione, memoria, giornalismo) e di voler trasformare la produzione di un significato condiviso così vitale per la socialità in un processo di elaborazione d’informazioni essenziale per i suoi stessi obiettivi.

La questione, in definitiva, non è (più) quella di trovare o proporre alternative a Facebook. Ormai troppa gente si è rinchiusa (o fatta rinchiudere) all’interno di questi ‘walled garden’ e non può permettersi di (o non vuole) abbandonarne la ‘socialità’ ivi conquistata. Diventa piuttosto una scelta personale e collettiva, la consapevolezza di voler superare una ‘social media addiction’ ben più generalizzata di quanto non si voglia ammettere.

Ecco allora che i più attenti ‘critici della Rete’ propongono un esperimento per molti non da poco: disertare tali piattaforme, cancellare i nostri profili social una volta per tutte. Puntando così a ribaltare quella che finora viene sbandierata come ‘rivoluzione digitale’ in un’economia veramente di base e decentralizzata, capace di portare giovamento a tutti, non soltanto alla solita cyber-élite. Ammesso, e non concesso, che abbiamo davvero voglia di provarci, qui & ora.

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bernardo parrella

Freelance journalist, media activist & translator mostly on digital culture issues, an Italian living in the US Southwest (@berny)