Mark Zuckerberg al F8 Developer Conference (12–13 aprile 2016)

I ponti distrutti da Mark Zuckerberg

Facebook sembra volere i ponti, ma ha diviso il mondo più che mai

bernardo parrella
4 min readMay 18, 2016

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Traduzione del post in inglese di Hossein Derakhshan “Bridges Mark Zuckerberg Destroyed”.

Circa un mese fa Mark Zuckerberg ha rivelato un atteggiamento presidenziale. Nel suo intervento durante l’annuale evento globale riservato ai programmatori di Facebook (F8), ha spiegato di essere preoccupato da quanto vede succedere nel mondo: «Sto iniziando a notare che la gente e le nazioni vanno chiudendosi in se stesse—contro l’idea di un mondo inteconnesso e di una comunità globale».

Si è dimostrato sconcertanto per «le voci paurose che incitano a costruire dei muri pertenere lontani coloro che etichettano come ‘altri’». Poi, come fosse un potente leader mondiale, ha lanciato un appello a tutti: «Anziché innalzare muri, possiamo aiutare la gente a costruire ponti. E invece di creare divisioni, possiamo dare una mano a unire le persone tra loro».

Il web aperto avrebbe potuto essere il rimedio giusto per un’epoca in cui vigono le frontiere chiuse.

Tutto ciò mi sembra piuttosto ironico, e vi spiego il perché. Nel 2014 sono stato assolto e liberato dal carcere di Tehran in cui avevo trascorso sei anni con l’accusa di aver fatto attivismo online. Prima di finire in galera, nel 2008, erano i blog a convogliare il dissenso e la rabbia di internet.

I blog sono stati la cosa migliore mai capitata a internet. Hanno democratizzato la produzione e la pubblicazione di contenuti, quantomeno in molte parti del mondo. Hanno dato voce e molti gruppi e minoranze senza voce. Hanno collegato tra loro amici, famiglie, comunità e paesi di ogni regione. Hanno incoraggiato la discussione e il dibattito.

Tutto ciò è statopossibile grazie a un’innovazione tanto potente e brillante quanto semplice e modesta: gli hyperlink. Queste parole in blu e sottolineate che trasformano il cursore in una sorta di manina con il dito puntato, capaci di portarci immediatamente su fonti e materiali esterni. Il fatto stesso che nel 2016 occorra spegare cos’è l’hyperlink (o, più semplicemente, ‘link’) alle nuove generazioni è già piuttosto triste. Ma dover riconoscere che oggi i link sono praticamente bell’e defunti spezza il cuore a chiunque ricordi quei tempi passati.

Il World Wide Web è stato fondato sui link e senza questi il web non esisterebbe neppure. Privata dei link, l’esperienza della navigazione su internet diventerebbe qualcosa di centralizzato, lineare, passivo, chiusa e omogenizzato. Uno scenario già evidente, e nonostante il sermone di Zuckerberg, in gran parte Facebook e Instagram sono i responsabili di questa scomparsa del link, e quindi della morte del web aperto e delle sue potenzialità per un mondo di pace.

Mark Zuckerberg ha ucciso i link (e il web) perché ha creato uno spazio somigliante più al futuro della televisione che a internet. Diversamente da quanto predica, Facebook ci ha diviso racchiudendoci in confortevoli bolle personali. Non dobbiamo far altro che scorrere il pollice su e giù sui mini-schermi digitali (presto neppure questo, grazie ai nuovi sistemi che rilevano gli spostamenti oculari).

Gli algoritmi di Facebook hanno creato miliardi di confortevoli bolle personali persino più isolate tra loro dei muri divisori.

Tutti i video, le immagini e gli articol che compaiono nei newsfeed vengono scelti in base alle nostre abitudini, ai ‘mi piace’ e alle condivisioni precedenti, elementi da cui Facebook ha appreso le nostre preferenze. Ovviamente la maggior parte di noi apprezza soltanto coloro o cose con cui siamo d’accordo, e quindi raramente Facebook riesce a disturbarci, a sollevare dubbi, a sorprenderci.

Fa veramente male al cuore vedere il modo in cui Facebook ha trasformato internet in poco più che un portale dedito all’intrattenimento.

Mentre Zuckerberg si lamenta dei muri e ammira i ponti, il fatto è che gli algoritmi del suo Facebook hanno creato miliardi di confortevoli bolle personali persino più isolate tra loro dei muri divisori. Ed è stato lui a distruggere i ponti forse più efficaci mai esistiti nella storia, gli hyperlink.

Le manovre di Facebook per tenere sempre al suo interno gli utenti sono la molla per attirare le entrate degli inserzionisti. Così facendo, però, ci sono sempre meno ragion per abbandonare quell’ambiente e leggere un articolo o seguire un video su un altro sito.

Non soltanto Facebook dà priorità ai contenuti nativi nei nesfeed, pma sta anche introducendo opzioni quali Instant Articles o Live per trasportare sulla sua piattaforma quei contenuti sparsi in giro negli angoli più remoti del web. La visione di Zuckerberg’s non è quella di collegare tra loro quanti vivono su isole distanti, bensì quella di portare tutti su un’unica grande isola, in modo che non ci sarà mai alcun bisogno di usare un ponte per andare altrove.

Quel Zuckerberg sta facendo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, è far credere alla gente che Facebook equivalga a internet, e sta avendo un notevole successo. Oggi per oltre la metà degli utenti indiani e brasiliani internet equivale a Facebook.

La visione di Zuckerberg non è quella di collegare tra loro quanti vivono su isole distanti, bensì quella di trasportare tutti su un’unica grande isola.

Avendo trascorso sei anni in carcere in un periodo in cui navigare online rappresentava unattività importante e intellettuale, è angosciante vedere il modo in cui Facebook ha trasformato internet in poco più che un portale dedito all’intrattenimento.

Pur di far soldi, Mark Zuckerberg ha ucciso il web aperto e tutti i ponti che questi aveva creato. Ma quando, con la faccia da innocente, vuole mettere in guardia il mondo sui muri, le divisioni e l’intolleranza, sembra proprio un incubo cupo di stampo orwelliano. L’open web avrebbe potuto essere il rimedio giusto per un’epoca in cui vigono le frontiere chiuse. Ma è stato Mark Zuckerberg a distruggerlo.

Hossein Derakhshan (@h0d3r) è autore, giornalista freelance e studioso dei media iraniano-canadese. Ha curato un longform, “The Web We Have to Save (Matter)”, tradotto anche in italiano.

Testo pubblicato originariamente su www.ibtimes.co.uk il 10 maggio 2016.

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bernardo parrella

Freelance journalist, media activist & translator mostly on digital culture issues, an Italian living in the US Southwest (@berny)