La misoginia nel rap italiano esiste, e la colpa è anche della scena

Emilia
7 min readAug 20, 2018

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Nel caso non aveste ancora sentito parlare di ciò che è successo a CRLN, un po’ di contesto: è il 6 agosto e siamo all’Indiegeno Festival, a Patti, in Sicilia, e per la serata è in programma un concerto di Gemitaiz. Ad aprirlo, Frenetik&Orang3 e CRLN, due nomi — uno più dell’altro — decisamente indie. In particolare CRLN, che è donna e fa electro-pop, per cui non potrebbe essere più distante da Gemitaiz in termini di target e genere musicale.

Mentre CRLN è sul palco e canta, come racconta Rolling Stone, si sente rivolgere dei cori sessisti da un impreciso gruppo del pubblico. Ollellè ollallà, faccela vedè, faccela toccà. Il clima sul palco per l’artista si fa decisamente spiacevole, e l’esibizione finisce con quattro pezzi tagliati dalla scaletta e CRLN che grida “Non siamo nel Medioevo” prima di lasciare il palco a Gemitaiz. Sì, quel Gemitaiz. Quello che non si è fatto problemi a parlare di “presa di posizione” a livello politico, ma che, quando Rolling Stone Italia gli chiede una dichiarazione sull’accaduto, diventa un po’ meno deciso.

La notizia si diffonde, e a occuparsene sono principalmente i magazine di musica e, in particolare, i portali rap. Noisey Italia pubblica un articolo — che a mio parere manca un po’ il punto — in cui si parla sì di sessismo, ma anche di spirito del branco, di clima di violenza verbale a cui siamo portati dai social network, dalla politica e dalla cultura di oggi.

Ecco, lasciatemelo dire: per una volta la politica non c’entrava proprio un cazzo. Così come non c’entrano niente i social network che ci rendono kattivi. Il problema, ovvero il motivo per cui CRLN si è trovata in quella situazione, è il sessismo. E, insieme al sessismo, il modo in cui il rap si rapporta ad esso e a tutto ciò che è diverso.

Il rap italiano è fatto dagli uomini, per gli uomini

Un passo indietro. Un po’ di tempo fa, verso marzo, avevo in mente di scrivere un post in cui indagavo un po’ il rapporto tra il femminismo e il rap , tanto negli Stati Uniti quanto in Italia. Il quesito che mi aveva spinta a scriverlo era semplice: posso essere dichiaratamente femminista e allo stesso tempo amare il rap?

E mentre nel mondo anglofono qualcuno ci aveva pensato , giungendo a diverse conclusioni, non c’è tuttora nessuna traccia di articoli in italiano che ne parlino. In Italia l’idea che una donna femminista ascolti il rap non è davvero contemplata. O meglio, vuoi ascoltare questo genere? Accomodati. Ma se pensi che le tue idee sulla scena abbiano qualche peso, be’, sei fuori strada.

Fateci caso. Le donne in Italia sono tenute fuori dalla scena rap e trap mainstream. Pensare a una Nicki Minaj o una Cardi B italiane è, oggi come oggi, pura utopia.

E mentre negli Stati Uniti quanto meno si prova a dare un peso alle voci femminili del rap — con nomi come, appunto, Cardi B, Nicki Minaj, Princess Nokia, Rapsody, e prima di loro Lil’ Kim, Missy Elliot e Lauryn Hill — il caso CRLN ha fatto ben capire che in Italia non si vuole parlare di sessismo nel rap.

Il rap italiano, infatti, non è misogino solo per come parla delle donne. Se il problema fosse solo nell’uso estremo delle parole bitch, troia, cagna e simili potremmo ritenerci quasi fortunati — un linguaggio diretto e scurrile, “da strada” per antonomasia, è infatti tipico del genere, in USA come qui.

La situazione si fa pesante quando ci rendiamo conto del fatto che in realtà nel rap italiano non esiste una descrizione della donna che non rientri nel prototipo della zoccola. Il rap è maschiocentrico in quanto scritto, rappato e portato sul palco solo da uomini, e, di conseguenza, perché nella scena mainstream di oggi non ci sono donne.

Le donne rapper famose—se con famose andiamo a intendere conosciute anche fuori da una scena strettamente underground — in Italia si contano letteralmente sulle dita di una mano: La Pina, Baby K e Priestess? Fine? E chiariamo che, a livello di argomenti, le donne che rappano nell’ultimo periodo (cioè da quando il rap è effettivamente diventato pop) non si distanziano chissà quanto dai colleghi uomini. Si parla di soldi, droga, sesso e amore — e nonostante ciò nessuna rapper donna sta avendo la stessa fama o facendo gli stessi numeri di un uomo.

Appare evidente che il pubblico del rap non sia chissà quanto aperto a una voce e a uno sguardo femminile. Di nuovo, è un caso che una rapper come Leslie, lesbica, che parla di quante donne si fa, abbia avuto successo più in fretta di molte altre e, soprattutto, esista in una scena in cui tutti i rapper sono uomini ma sono casualmente tutti etero? Non è che il parlare di vagine si adatti meglio alla prospettiva da maschio etero che la fa da padrone nel rap?

Il rap in Italia è cosa da uomini, pensata principalmente per uomini. Se c’è gente che fa rap in cui le donne non sono trattate come pezze da piedi — Mecna, Ghemon, Tedua, per fare qualche nome — si tratta di eccezioni. Peggio, è rap che ascoltano le ragazze, come diceva proprio Ghemon in un pezzo di qualche anno fa con Kiave e Mecna.

Il rap italiano e la responsabilità

Messo in chiaro che, artisticamente, per una donna non esiste un ambiente più ostile di quello del rap italiano, è ora di parlare di quello che è successo a CRLN. O meglio, di ciò che è successo dopo.

Gemitaiz, lo sappiamo, ha risposto come se non si fosse trovato in quel preciso posto quella sera. Altri, come Axos, hanno liquidato la faccenda come nonnismo e una goliardata, un qualcosa che capita a tutti, indipendentemente dal loro sesso.

Il fatto che uno come Gemitaiz, paladino del chi non si schiera è complice, ma solo quando si tratta di Salvini, non abbia detto niente è importante. È importantissimo. È un messaggio chiaro, un pugno in faccia che dice: siamo tutti d’accordo, il razzismo non va bene. Meno male che almeno le donne posso ancora trattarle come cazzo mi pare.

Internet negli ultimi mesi si è riempito di articoli da titoli come “Gli italiani sono sempre stati razzisti?”, mentre nessuno si chiede se gli italiani siano sempre stati sessisti. La risposta la conosciamo tutti. È sì.

In Italia, una paese in cui il patriarcato è radicato in maniera impressionante, il sessismo esiste, ne siamo circondati. Ce n’è così tanto che davanti a fatti come questi danno tutti la colpa a qualcos’altro.

Il fatto che Gemitaiz, coinvolto direttamente nella faccenda, commenti con “Mi dispiace per la ragazza”, senza nemmeno darle un nome, è indicativo. Significa che quello che è successo a CRLN non ha importanza.

Il fatto che Axos paragoni insulti come “devi morire” ai cori ricevuti da Caroline è indicativo. Dice che non riusciamo a percepire il sessismo, che consideriamo normale che il primo modo per degradare una cantante non sia dirle che fa schifo, ma darle della zoccola.

E parla ancora di più il fatto che nessuno nella scena si stia prendendo una responsabilità. A nessuno è venuto in mente di dire che forse la colpa è anche un po’ di chi il rap lo fa.

Non è questione di politica. Non è colpa di Salvini se l’Italia è sessista, se il rap italiano è sessista. I social network rendono la violenza verbale qualcosa di immediato e impalpabile? Certo. Questo però non spiega perché spesso (leggasi: ogni volta che se ne parla) sia proprio il pubblico del rap a fare così facilmente branco contro chiunque non incarni il prototipo del rapper. Lo racconta CRLN, sempre a Noisey, descrivendo un altro episodio avvenuto a un concerto di Tedua. Quella volta il bersaglio degli insulti era stato Frah Quintale — ironicamente, uno che arriva proprio dal rap.*

Usare termini misogini nelle proprie canzoni ha un peso, specie in una società già molto sessista. E se a tutti i concerti rap dei ragazzini si permettono di insultare l’artista di apertura — uomo o donna che sia — solo perché non è un rapper, il problema è anche di chi rappa. Perché ai concerti di qualsiasi altro genere musicale queste cose oggi non succedono.

E per chi pensa che la colpa sia del mainstream, dei numeri grossi, del pubblico che si fa sempre più becero e indistinto, la risposta è: stai solo confermando che siamo tutti dei sessisti, bravo. E, di nuovo, se gli insulti sessisti si sono fatti così frequenti proprio ora, quando il rap è pop — mentre negli Stati Uniti parte della tendenza si è mossa in senso opposto, ma d’accordo — è proprio perché nel rap mainstream le donne non ci sono mai arrivate. Perché RTL passa Fabri Fibra e non Doll Kill, tanto per fare un nome. È inutile parlare di quanto il rap fosse un genere buono e puro quando era di nicchia, e sia stato “contaminato” dal pop. La musica (come l’arte in generale) è specchio di chi la fa e della società in cui è prodotta. Prendiamone atto.

Non pretendo che i rapper educhino le nuove generazioni, ma pretendo che chiariscano che quello è un gioco, è un codice, e che quando queste cose succedono nella vita reale non sono divertenti, non è goliardia.

Perché se davvero si tratta solo dello stupido gioco del rap, e canzoni come Cantante Italiana non sono da prendere sul serio, perché quando queste cose succedono davvero nessuno parla e tutto viene ridotto? Forse siete davvero dei sessisti. Dico così, eh. Just playing.

*Note: due parole sul discorso Frah Quintale

Non esistono notizie sul web degli insulti rivolti a Frah a un qualche concerto di Tedua. Posso però immaginare che, se Frah ne avesse parlato, le reazioni della scena sarebbero state probabilmente diverse — anche e soprattutto per il diverso rapporto che il rap ha col bullismo.

E poi, diciamolo, Frah Quintale lo ascoltano le tipe indie. Mica i maschi alpha a cui piace Gem.

Lascio qui un articolo di Rebel Mag, che ha trattato davvero bene la questione.

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Emilia

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