Dal carcere nascono i fiori: il patto di collaborazione per rendere le Vallette più verde

Co-City Torino
4 min readOct 13, 2019

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Gli orti in cassone realizzati nel carcere delle Vallette

In tante città italiane, i quartieri che ospitano un carcere hanno un rapporto controverso con gli istituti di pena che spesso nel linguaggio comune diventano meglio conosciuti con il nome del quartiere stesso: un contributo inatteso, e spesso non sempre accolto positivamente, alla brand identity della zona che però dialoga poco o per nulla con questo ingombrante vicino.

È così anche nel quartiere torinese delle Vallette, quartiere operaio della periferia nord-ovest distante quasi un’ora di tram dal centro cittadino, dove una serie di terreni incolti separano il carcere dalla zona residenziale, acuendo anche fisicamente la distanza che separa ciò che sta dentro da ciò che sta fuori dal penitenziario.

Rendere la collaborazione civica e l’impegno per il verde e la sostenibilità urbana fattori capaci di creare una nuova connessione tra il carcere e il quartiere è l’intuizione alla base del Patto di Collaborazione Oltre il Muro proposto dall'Associazione Jonathan, attiva da tempo sull'educazione ambientale e l’animazione giovanile, su spinta di Gianfranco Padovano, che oltre a prestare opera di volontariato per l’associazione lavora da tre anni all'Ufficio per il Garante dei detenuti del Comune di Torino. L’attività professionale gli ha consentito di conoscere meglio la vivacità della realtà del carcere e coinvolgere altri soci di Jonathan alla scoperta di questo luogo di potenziale riattivazione di connessioni civiche.

Le piante di basilico dell’orto in cassone

“Il carcere è un pezzo di città — afferma Padovano — e vogliamo sfruttare l’occasione offerta da Co-City per metterlo in relazione con il territorio”.
La realizzazione di orti in cassone, curati dalle detenute della sezione femminile, è il primo passo di un progetto che attraverso il coinvolgimento attivo di un agronomo e di volontari dell’associazione e del Servizio Civile sta trasferendo a una decina di detenute una serie di conoscenze su giardinaggio e orticoltura, coltivando specie orticole come peperoni piccanti, pomodori e fagioli.

Non si tratta però solo di un’attività utile, che arricchisce la programmazione di attività collaterali della sezione femminile della Casa Circondariale Lorusso e Cotugno, dove risiedono solo 130 dei 1500 detenuti del carcere: Oltre il Muro sta favorendo la creazione di rapporti umani tra detenuti e volontari, offrendo a questi ultimi la possibilità di conoscere il mondo del carcere da una prospettiva particolare e orientata alla restituzione di qualcosa di bello e positivo al quartiere.

Orti in cassone dove si coltivano peperoncini

“Sono sempre stato affascinato da questa dimensione del carcere — spiega l’agronomo Giacomo — ma non ero mai entrato in un istituto di pena in Italia pur sentendo da sempre un gran bisogno di occuparmi di questo tema. Ho sempre immaginato le carceri come luoghi sovraffollati, in cui la gente fa poco o nulla per tutto il giorno, quindi ho abbracciato con entusiasmo l’idea di trasmettere e mettere in pratica delle conoscenze concrete”.

Ogni sabato mattina i volontari dell’associazione varcano le porte del carcere per insegnare alle detenute come prendersi cura degli orti in cassone, posizionati nel cortile, le cui piante vengono innaffiate tutti i giorni. Se è vero che anche la letteratura scientifica si è spesso concentrata sull'effetto benefico e calmante del giardinaggio per i detenuti, è piuttosto la condivisione di storie personali e di conoscenze l’elemento alla base di una nuova relazione di fiducia tra detenuti e volontari, che può rappresentare un punto di partenza anche per coinvolgere maggiormente il quartiere in una nuova relazione con il mondo carcerario.

Le piante di melanzane piantate nei cassoni

L’obiettivo condiviso dai volontari di Jonathan e della direzione del carcere è quello nel giro di un anno di piantare fiori e piante in aiuole e spazi pubblici del quartiere. Il giardino della scuola materna, il parco del quartiere oppure le aree degradate o abbandonate nei pressi del carcere sono alcuni dei luoghi possibili in cui effettuare tali interventi, che evidenziano in maniera concreta quanto tali azioni possano contribuire non solo al rilancio umano e sociale dei detenuti coinvolti ma anche al recupero tangibile di luoghi del quartiere.

“Il carcere non è un luogo passivo ma ospita attività e laboratori spesso sconosciuti a chi sta all'esterno” nota l’agronomo Giacomo. La cittadinanza attiva diventa così strumento di conoscenza e riabilitazione, di socialità fra mondi che coesistono nel raggio di poche centinaia di metri ma che difficilmente si incrociano ma dal cui incontro possono nascere relazioni armoniche e forme nuove di crescita sociale ed ambientale per l’intero territorio.

(Reportage a cura di Simone d’Antonio)

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