Maestri del Teatro #4. Living Theatre

Appunti per un altro teatro.

Collettivo Acca Teatro
14 min readFeb 19, 2019

Primo. Organizza le cose in modo che la tua vita non sia esclusivamente dedicata al processo di far denaro; se lo scopo del tuo lavoro è il tornaconto economico, il tuo lavoro è maledetto. La santificazione dell’atto, del momento - l’atto Sacro - falliscono interamente quando l’oggetto del lavoro non è più il lavoro in sé, la passione, la creazione, ma un prodotto che è il denaro.

Quindi dimentica il denaro!

Impara vari modi di vivere che ne facciano sempre più a meno. Questo è molto importante. Solo allora puoi incominciare a creare, almeno in Teatro, qualcosa che non sia fatto all’unico scopo della remunerazione economica. Solo allora comincerai il lavoro libero.

Il secondo principio riguarda il rapporto tra individuo e collettività. Perché l’uomo possa veramente vivere creativamente in una comunità, bisogna stabilire una situazione nella quale l’individuo non sia sacrificato al collettivo, né il collettivo all’individuo. Allora devi portare l’aspetto della collettività all’interno del lavoro individuale.

Nel Living Theatre abbiamo tentato, come mezzo di salvezza personale, di eliminare l’autorità. E questo cominciando da me, eliminando me stesso: mi sono autoeliminato, come fondatore, come direttore del teatro. Mi sono cancellato. Il problema si può definire così: come fare uno spettacolo senza il dominio autoritario, la tirannia dell’autore o del direttore o dello scenografo? Come stabilire una situazione di gruppo nella quale la singolarità di un individuo, che domina il gruppo, possa essere abolita? Abbiamo tentato varie vie, seguendole in profondità, anche se non posso dire totalmente. Il Living Theatre ha elaborato in Europa tre spettacoli, due dei quali sono stati totalmente creati da un gruppo di circa 25-30 persone partendo da queste quattro domande fondamentali:

- Che cosa vogliamo fare?
- Come vogliamo farlo?
- Che cosa costituisce l’evento creativo?
- Come fare perché questo evento creativo avvenga, abbia luogo?

Abbiamo tentato di creare questi spettacoli mediante questo sistema comune e il frutto delle discussioni appassionate e delle improvvisazioni psichedeliche compite da trenta persone.

Julian Beck

Cosa si può raccontare sul Living Theatre? C’è tanto da leggere e da poter scrivere, ma il risultato sarebbe alla fine sempre mancante. Per cui ci limitiamo a riportare alcune “meditazioni” per lo più scritte da Beck, quelle che hanno maggiormente influenzato idealmente ed anche come metodo di lavoro da un certo punto in poi, il Collettivo Acca.

Il Living Theatre è stato fondato a New York nel 1947 da Judith Malina studentessa della scuola di teatro di Erwin Piscator e Julian Beck giovane pittore della scuola espressionista. Dopo la morte di Julian, avvenuta nel 1985, Hanon Reznikov (entrato a far parte della compagnia nel 1968) diviene condirettore della compagnia insieme alla stessa Judith.
Sin dall’inizio il Living Theatre si caratterizza per il suo tentativo di coniugare l’attività teatrale con l’impegno civile e politico (intriso di una forte matrice libertaria, anarchica).
La prima fase della compagnia è contraddistinta dall’attività svolta prevalentemente a Broadway, in uno scantinato. Le loro “pieces” teatrali raccontano i conflitti con le autorità o i problemi economici di coloro (individui, strutture, locali ecc.) che non si conformano e non scendono a patti con il sistema borghese. Si tratta di un teatro ad abbonamenti, per cui il programma consente una diversificazione serale degli spettacoli, che contrasta intenzionalmente con le ossessive repliche di Broadway, incentrato per mesi sulla messa in scena della medesima commedia. Una contestazione nei confronti del teatro commerciale e istituzionale già prefigurata da Antonin Artaud secondo il quale, il processo di disintegrazione del teatro tradizionale doveva scalfire il monopolio del parlato, per riqualificare la spontaneità della tensione drammatica mediante il gesto, il suono e l’espressività corporea degli attori.
Da Artaud, il Living eredita anche la concezione crudelmente surrealista che identifica gli attori come vittime sacrificali che si “offrono” in maniera totale al pubblico nel rito tribale che è lo spettacolo. Gli attori rappresentano se stessi, basandosi sull’improvvisazione, sulla fisicità, su azioni ripetute e ripetute, sul coinvolgimento degli spettatori nell’azione scenica. Si muovono in uno spazio (una stanza, un teatro, la strada…) dove la scenografia è quasi assente, così come costumi ed effetti: ci sono corpi che si muovono e agiscono nella banalità della vita quotidiana autentica in contrapposizione alla vita quotidiana banalmente non-autentica rappresentata dal/nel teatro borghese. Negli spettacoli del non ci sono Living attori protagonisti, non ci sono ruoli; neanche scenografi, né macchinisti o elettricisti, amministratori. Tutti fanno tutto, anche scaricare le scene dai furgoni, quando esistono. Tutto per tornare al primitivo senso rituale del teatro fatto di condivisione viscerale e unica. Durante una replica di The brig (1963) “sono nato, sono cresciuto, sono stato educato per mettere in scena il brig…” il Living Theatre è chiuso dall’Ufficio Imposte. Già oberati da difficoltà finanziare, sfratto, sequestro, ostracismo delle autorità, Julian Beck e Judith Malina vengono processati per debiti e condannati al carcere. Il Living cambia continente, si trasferisce in Europa per continuare la rivoluzione teatrale immaginata da Beck e Malina come veicolo comunicativo della loro azione rivoluzionaria non violenta. Questa nuova fase definita “Off-Broadway”, è caratterizzata, oltre che dall’attività itinerante, da rappresentazioni radicalmente pacifiste e libertarie. Gli attori vivono e lavorano collettivamente, esibendosi per lo più in strada ma anche in spazi non convenzionali: carceri, cantieri, università…: il successo del Living Theatre si afferma in tutta Europa proprio negli anni della contestazione studentesca.

Per mettere in discussione chi siamo l’un l’altro nell’ambiente sociale del teatro,
per annullare i nodi che portano alla miseria,
per spargere sul tavolo del pubblico come piatti al banchetto,
metterci in movimento come un vortice che attira lo spettatore,
licenziare i motori segreti del corpo,
passare attraverso il prisma e uscire da un arcobaleno,
insistere sul fatto che ciò che accade nelle carceri è importante,
gridare “Non nel mio nome!” all’ora dell’esecuzione,
per passare dal teatro alla strada e dalla strada al teatro.
Questo è ciò che fa The Living Theatre oggi. È quello che ha sempre fatto.

Passione. Agonia. Disperazione. Lavoro. Il lavoro, i martelli, la persistenza, le scope, i chiodi mi uniscono all’umanità. Altrimenti sarei soltanto poesia e volo. Da solo non sarei capace. Il teatro è un esercizio in pura comunità. Nessuno può farlo da solo, fatto da molti, per molti.

La recitazione del Living Theatre è stata disprezzata per anni, particolarmente dagli altri attori. Abbiamo lavorato a costruire una compagnia senza i manierismi, le voci, la buona dizione, la coloratura protettiva degli attori che imitano il mondo della Casa Bianca e che rappresentano le stupidità e le sofferenze della borghesia. Il mondo dell’esperienza consapevole non è abbastanza.

Gli attori del Living sono impacciati, ineducati, inconsciamente disprezzano le convenzioni rappresentative della gente che vive in democrazia, in modo razionale, per bene, equilibrato, e pronunciando versi da museo. Gli attori del Living Theatre vogliono aver a che fare con la vita e con la morte. La recitazione del Living è solo un gesto esitante, un’implicazione di ulteriori sviluppi, come se le braccia potessero diventare ali, le gambe pinne, i corpi qualcosa di ancora non sognato. II teatro di Broadway cerca quello che desidera vedere. La realtà di quello che esiste supera ogni illusione.

Crediamo in un teatro come luogo d’esperienza intensa fra sogno e rituale, durante il quale lo spettatore perviene ad una comprensione intima di se stesso, al di là del conscio e dell’inconscio, sino alla comprensione della natura delle cose. Ci pare che solo il linguaggio della poesia arrivi a questo… la poesia o un linguaggio carico di simboli…

II teatro del nostro tempo pretende di saper troppo. La maggior parte di quanto crediamo di capire è falso. Non abbiamo abbastanza fatti, la visione è troppo limitata, non siamo liberi di vedere. Né di pensare. Quando l’attore è libero, come ogni altro uomo, è capace di creare, tuttavia andiamo a teatro e tolleriamo di vedere degli attori incatenati dalla follia della borghesia, folle nelle leggi che sono la sua vita stessa, una vita dì denaro che è anche una legge e rende pazza l’umanità!

Non sottoporsi a una lezione di recitazione qualora non sia chiaro il suo scopo specifico. Il corpo, qualora non sia stimolato da un impeto ispiratore, non reagisce con interesse. I movimenti, e conseguentemente l’espressione, sono vuoti in quanto privi di significato. Il Living a volte lavora così: troviamo un’idea che vogliamo esprimere fisicamente. Successivamente facciamo quanto è necessario per realizzarla. Se richiede speciali esercizi, poi li facciamo. Ogni volta che lavoriamo fisicamente scopriamo cose che non avremmo mai potuto trovare se non avessimo fatto altro che pensare.

Non puoi dire a un attore di muoversi verso destra o fare un passo verso il proscenio. È lui che deve far qualcosa. Non si possono dare direttive tecniche agli attori. Deve esserci una motivazione; deve essere più importante che mettersi da una parte o riempire uno spazio. Qualsiasi cosa faccia l’interprete deve creare qualcosa altrimenti spreca la sua vita. Lo stato e il capitale ripetono continuamente alla gente di circolare o riempire spazi, le loro direttive non sono creative e nessuno degli interpreti del gran dramma del mondo non fa altro che sprecare la propria vita. Ecco perché dobbiamo cambiare la mise-en-scène.

In una creazione collettiva si devono dare diversi contributi. Di peso differente e differente importanza: ciò non significa che siano tutti uguali o che quell’opera non sia collettiva.

Fare qualcosa di utile. Nient’altro interessa il pubblico, il grande pubblico.
Servire il pubblico, istruirlo, stimolare sensazioni, iniziare un’esperienza, risvegliare la consapevolezza, far battere il cuore, circolare il sangue, colare lacrime, dar voce a grida, girare intorno all’altare, nel riso i muscoli si muovono, il corpo prova sensazioni, essere liberati dai metodi di morte, deterioramento nelle comodità…

quanto sta succedendo succede perché il nostro teatro
accetta le modalità di procedura di una società omicida
e le fa apparire meravigliose
fa gran caso di banalità
in una vita di tribolazioni
fa apparire tollerabile l’intollerabile
fa sembrare la vita piacevole e divertente e da facili risposte
e quando chiedo perché il pubblico permetta a ciò di accadere
mi accorgo tristemente che è davvero
perché questa vita che meniamo sta diventando insopportabile
e l’inganno sulle scene
è una consolazione
anche se nessuno ci crede
ma la gente preferisce far finta che sia vero perché allora le cose
forse non sono tanto brutte
così il teatro del nostro tempo diventa un luogo di frode
e travisamento
quel che succede lì è inganno per il ceto medio e l’aristocrazia
cui piace essere ingannati
se vuoi vedere la verità devi essere pazzo abbastanza pazzo
da affrontare l’orrore

I Sette Imperativi del Teatro Contemporaneo:

1. Nella Strada: fuori dai limiti economico-culturali del teatro istituzionalizzato.

2. Gratuito: Rappresentazioni per il proletariato, i poveri, i più poveri dei poveri, niente prezzo d’ingresso.

3. Partecipazione Aperta: Rottura, Unificazione: Creazione Collettiva.

4. Creazione Spontanea: Improvvisazione: Libertà.

5. Vita fisica: Corpo: Liberazione Sessuale.

6. Cambiamento: Aumento della Consapevolezza Consapevole: Rivoluzione Permanente: Ideologia

7. Recitare come Azione.

Non intendo dire di aver scelto deliberatamente solo cose difficili, ma che non è mai stato facile. Andare in scena è sempre difficile. Una volta pensavo che fosse per il terrore di dimenticare le battute, o di inciampare. Umiliazione. Troppo semplice come spiegazione. Pensavo anche che il terrore che l’interprete prova prima di andare in scena venisse dal fatto che il pubblico seduto nell’oscurità è qualcosa di pauroso, il bruto anonimo, il re che manda lettres-de-cachet a chi non gradisce, il pazzo che massacra senza ragione, la folla che lancia uova marce e pomodori, il plotone d’esecuzione, l’uomo in tunica nera seduto sul palco fra l’aquila d’ottone e la bandiera, l’ombra. Poi seppi che il pubblico era un amante che avevo paura di deludere. Poi il pubblico diventò la gente sulla riva a cui gli attori portavano messaggi dallo spazio esterno: potevamo forse dirgli che là fuori non c’è niente? o che non siamo riusciti ad arrivarci? o che nessuno può? Quindi l’ipotesi cominciò a venir messa alla prova; cominciai a recitare in cose dove non c’erano battute da imparare a memoria, si accesero le luci in sala e noi ci incontrammo col pubblico e gli parlammo, gli spettatori diventarono persone e quindi individui con cui noi avevamo un dialogo. Poi vennero a tirare uova e pomodori: in Francia nella primavera del 1969 quando i fascisti ci diedero un finale-omelette a una rappresentazione di Mysteries per esprimere la loro disapprovazione a quel che stavamo facendo e dicendo, e dei militanti di sinistra bombardarono la scena con pomodori e petardi per esprimere la rabbia e la delusione per il fatto che noi, che portavamo l’impronta del pensiero radicale, che portavamo la bandiera nera dell’anarchia, issavamo quella bandiera sulla scena di un bastione borghese. Noi, che dicevamo a una società: «Respingi la struttura, effettua la metamorfosi, abbandona il bozzolo, tiratene fuori», eravamo ancora lì, ancora dentro i teatri: gli studenti ci stavano aggredendo con la verità: dovevamo uscircene fuori. Difficile da fare, ma non così difficile da essere impossibile. Ciò che si deve fare è difficile e io voglio renderlo ancora più difficile, e quanto più è difficile è ancora più facile: si tratta di liberare energia.

Settembre 1969: non scontenti del lavoro, né di noi stessi, ma sappiamo che né le idee per La Città Assoluta né la loro esecuzione possono venir realizzate se non cambiamo noi stessi. Il Living Theatre è diventato una istituzione, circa trentaquattro adulti e nove bambini: una situazione non pratica. Le istituzioni vengono create dal successo e il nostro successo ci ha reso dipendenti dal guadagno che ricevevamo per il fatto di essere un’istituzione. Dipendente dal denaro degli ingressi a pagamento nei grandi teatri. Dandoci questo successo la società ci ha reso dipendenti dal suo sistema. Tutto quanto abbiamo imparato negli anni del nostro meraviglioso esilio insieme, vagando da città a città facendo spettacoli, carovana di zingari, suonatori girovaghi onorati dal tempo, tutto quanto abbiamo imparato dal viaggio di Paradise Now, ci ha portato a questo momento. Non abbiamo forse condotto gli spettatori di Paradise Now alle porte del teatro dicendo, «II Teatro È Nella Strada!»? E, non siamo stati li, sulla porta, faccia a faccia con la polizia? La polizia che non permette teatro nella strada, che non vuole che la vita raggiunga e sorpassi la posizione privilegiata occupata dall’arte, che non vuole che le strade siano libere. È stato lì, sulle porte dei Teatri, che abbiamo saputo che era nella strada che dovevamo andare.

Per fare questo nuovo spettacolo, per andare fuori nelle strade, ci occorre una forza speciale. La forma del vecchio Living Theatre non può darci la forza per questo tipo di arte e lavoro. Il vecchio Living Theatre era stato formato per fare un altro genere di lavoro e qualcosa nella sua natura ci impedirebbe dal prendere le decisioni necessarie. Questo era chiaro. Nonostante ciò mentre abitavamo come comunità nella nostra vecchia conchiglia ci è stato possibile concepire La Città Assoluta, una forma da rappresentare nelle strade. Allo stesso modo, per la nostra società presente è possibile concepire una vita senza le strette del capitalismo e la burocrazia. Possibile a concepirsi ma impossibile a realizzarsi. Per la nostra società, per esempio, è possibile concepire la pace e non averla mai perché la natura della forma di vita che viviamo non lo permette e non lo permetterà mai.

La scissione del Living Theatre ha originato, fin dal 1969, altre ipotesi di ricerca: teatro di strada, teatro rituale, teatro documento e teatro di vita. Significativamente, alle soglie del terzo millennio, queste linee d’indagine sussistono non soltanto in ambito esecutivo, ossia nella messa in atto dei testi e delle opere, ma soprattutto come “codici spettacolari”, identificativi di un discorso meta-teatrale, che ha più a cuore, forse, una dilazione descrittiva sulle modalità di fare teatro, rispetto all’esperienza dello spettacolo in sé.

La struttura sta crollando. Tutte le istituzioni ne sentono i tremori. Come rispondete all’emergenza?
Per esigenze di mobilita il Living Theatre si sta dividendo in quattro cellule. Una cellula è attualmente stabilita a Parigi e il suo orientamento centrale è principalmente politico. Un’altra è situata a Berlino e ha un orientamento environmentale. Una terza è situata a Londra e ha un orientamento culturale. Una quarta è in viaggio per l’India e ha un orientamento spirituale. Se si vuol trasformare la struttura bisogna attaccarla da molti lati. Questo è ciò che stiamo cercando di fare.
Oggi nel mondo ci sono molti movimenti che cercano di trasformare questa struttura- il Complesso-Capitalista-Burocratico-Militare-Autoritario-Poliziesco - nel suo opposto: un Organismo-Comunitario-Non-Violento. Se è affrontata nel modo giusto la struttura cadrà. Il nostro scopo è di prestare il nostro aiuto a tutte le forze di liberazione. Ma prima di tutto dobbiamo uscire dalla trappola. Gli edifici chiamati teatri sono una trappola architettonica.

L’uomo della strada non entrerà mai in una costruzione simile:
l) Perché non può: gli edifici teatrali appartengo a quelli che possono permettersi di entrarvi; tutti gli edifici sono proprietà dell’establishment difesa con la forza delle armi.
2) Perché la vita che fa al lavoro e fuori dal lavoro lo esaurisce.
3) Perché all’interno parlano in cifrario di cose che né sono interessanti per lui né rientrano nei suoi interessi.

Il Living Theatre non vuol più recitare per una élite privilegiata perché ogni privilegio è violenza verso i non privilegiati. Perciò il Living Theatre non vuole più recitare in edifici teatrali. Uscire dalla trappola; la struttura sta crollando. Il Living Theatre non vuole più essere un’istituzione. È indiscutibilmente chiaro che tutte le istituzioni sono rigide e sostengono l’establishment. Dopo vent’anni la struttura del Living Theatre è stata istituzionalizzata. Tutte le istituzioni stanno crollando.

Il Living Theatre doveva crollare e cambiare la sua formula.
Come uscire dalla trappola?

1) Liberatevi quanto più possibile dalla dipendenza dal sistema economico istituzionale. Non è stato facile per il Living Theatre dividere la sua comunità, perché era una comunità viva e che lavorava sempre con amore. Non siamo stati divisi da dissensi, ma da bisogni rivoluzionari. Un piccolo gruppo può sopravvivere rischiando con astuzia. Ora Spetta a ogni cellula trovare mezzi di sopravvivenza senza diventare consumatori di prodotti.
2) Abbandonate i teatri. Create altre circostanze per il teatro per l’uomo della strada. Create circostanze che porteranno all’Azione che è la forma più alta di teatro che conosciamo. Create l’Azione.
3) Trovate nuove forme. Sfasciate la barriera dell’arte. L’arte è confinata nella prigione della mentalità dell’establishment. Cioè l’arte come è fatta funziona per servire ai bisogni delle classi dominanti. Se l’arte non può essere usata per servire ai bisogni del popolo, sbarazzatevene. Noi abbiamo bisogno di arte, se questa può dirci la verità, dimodoché possa diventar chiaro a tutti ciò che deve esser fatto e come farlo.

La Compagnia del Living Theatre
Parigi, Berlino, gennaio 1970

Nel 1985, in seguito alla morte di Julian, la compagnia trovò in Hanon Reznikov una nuova guida che aprì a Manhattan un nuovo spazio che portò il Living a realizzare una continua serie di lavori innovativi.
Nel 1999, con i fondi dell’Unione Europea, restaurarono Palazzo Spinola, un edificio del 1650 a Rocchetta Ligure in Italia e crearono il
Centro Living Europa: una residenza e uno spazio per realizzare i programmi di lavoro della compagnia in Europa.
Nel 2008 Reznikov muore. Judith Malina resta l’unica leader del Living Theatre affiancata dal direttore esecutivo
Garrick Beck (figlio di Judith e Julian Beck) e l’amministratore Brad Burgess (assistente di Reznikov).

Il 10 aprile 2015 Judith Malina ci ha lasciati.

L’ artista lavora in uno spazio vuoto, privo di luce e di dimensioni, e riempie tale vuoto di bagliori, inseguendo le tracce scintillanti della creazione - la tela vuota, la pagina bianca, il palcoscenico deserto - brancolando con gesti coraggiosi verso un risultato sconosciuto, a volte persino non conoscibileJudith Malina

Tom Walker intervista, 2010

Gary Brackett: The Living Theatre dopo Judith Malina, luglio 2015

La nostra breve, ma intensa esperienza, ad uno stage con il Living Theatre, 2008

SITOGRAFIA PARZIALE

The Living Theatre
Il sito del Living Theatre con sede a New York.

BIBLIOGRAFIA PARZIALE

  • J. BECK - J. MALINA Il lavoro del Living Theatre (materiali 1952–1969) a cura di FRANCO QUADRI - trad. G. Mantegna ed. Ubulibri, 2000
  • CRISTINA VALENTI, Storia del Living Theatre. Conversazioni con Judith Malina ed. Titivillus, 2008
  • J. BECK, Theandric. Il testamento artistico del fondatore del Living Theatre a cura di G. MANZELLA - trad. G. Mantegna ed. Socrates, 1994

Questo articolo è il quarto numero della serie Maestri del Teatro

Altri numeri:
- Maestri del Teatro #1. Eugenio Barba
- Maestri del Teatro #2. Leo De Berardinis
- Maestri del Teatro #3. Pier Paolo Pasolini
- Maestri del Teatro #5. Antonin Artaud
- Maestri del Teatro #6. Jerzy Grotowski

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