Dilemma Malacca: il ricatto del petrolio tra USA e Cina
La Cina sta vivendo la sua Quarta crisi con Taiwan, isola chiave per Pechino, ma questa sua ossessione è da inquadrare nel suo obiettivo a lungo termine: la profondità strategica nell’Oceano Pacifico. Il Paese del Dragone infatti mira al controllo delle isole che lo circondano per estendere il suo raggio d’azione, in un’ottica anti-USA.
Ma Taipei non è l’unica perla preziosa di questa collana di isole che attornia la Cina: un altro punto focale è lo Stretto di Malacca. Esso collega l’Oceano Indiano al Mar Cinese Meridionale, passando per le coste di Singapore, Malesia e Indonesia.
Si tratta di un “collo di bottiglia”, gergo tecnico che definisce uno stretto lembo di mare importante per il commercio e per le rotte marittime anche militari. Snodo cruciale quindi della via della seta marittima per l’export cinese, ma soprattutto per le importazioni petrolifere: lo Stretto fornisce la via più breve e veloce dalla Penisola Arabica al grande paese asiatico.
L’importanza economica dello Stretto di Malacca per la Cina
Il valore commerciale di questa “autostrada del mare” si può capire alla luce del volume e dal tipo di merci che vi transitano. Secondo la US Energy information Agency, nel 2016 circa 16 milioni di barili di petrolio e 3,2 milioni di barili di gas naturale liquefatto (GNL) sono passati per Malacca ogni giorno. Oltre al fatto che circa il 20% del commercio marittimo globale e il 60% dei flussi commerciali cinesi vengono spostati attraverso lo Stretto, secondo il Center for Strategic and International Studies.
La Cina, come molti altri paesi asiatici, ha estremamente bisogno di idrocarburi, data la crescente economia e l’alto fabbisogno energetico della popolazione costiera, la più abbiente. Motivo per cui il volume di petroliere che vi transitano è inferiore solamente allo Stretto di Hormuz, hub mondiale di greggio che connette il Golfo Persico all’Oceano Indiano.
L’intesa anti-Cina tra Singapore e Stati Uniti
Singapore è il soggetto che inevitabilmente trae più beneficio dallo Stretto di Malacca, data la sua peculiare posizione geografica, e proprio per questo è considerato un tassello importante dalla talassocrazia americana. La città-stato beneficia infatti del supporto della Marina USA, in particolare della VII Flotta, quella deputata al controllo dell’Indo-Pacifico.
La US Navy garantisce quindi la stabilità militare nell’area del Sud-Est Asiatico, condizione sine qua non per la prosperità dei commerci, contrastando soprattutto la pirateria. È bene ricordare che Singapore ospita sul proprio suolo una base navale americana: il Logistics Group Western Pacific. Tramite questo avamposto gli USA coordinano addestramenti militari, come l’annuale Cooperation Afloat Readiness and Training (CARAT) che comprende una serie di esercitazioni con Bangladesh, Brunei, Cambogia, Indonesia, Malesia, Thailandia, Timor Est, Filippine e Singapore.
In caso di guerra la VII Flotta avrebbe la capacità di chiudere lo Stretto, il che significherebbe negare l’accesso energetico a un colosso economico quale la Cina, con conseguenze disastrose. Ricatto che gli Stati Uniti potrebbero attuare in extremis in un’ottica di difesa di Taiwan, qualora si arrivasse a un’escalation militare cinese. Tale relazione asimmetrica tra USA e Cina costituisce un enorme punto strategico a sfavore per il paese asiatico: il cosiddetto “Dilemma Malacca”, espressione tra l’altro coniata dall’ex presidente cinese Hu Jintao.
I tentativi cinesi di aggirare lo Stretto di Malacca
Il Governo di Pechino ha tentato per anni di aggirare lo Stretto, ad esempio sfruttando l’istmo di Kra in Thailandia per la costruzione di un canale artificiale lungo circa 100 Km. In questo modo si creerebbe una rotta che farebbe risparmiare 1200 Km sull’attuale viaggio per Singapore e soprattutto renderebbe meno dipendente la Cina da Malacca.
La rotta per il Canale di Kra e la rotta passante per lo Stretto di Malacca
Alternativa difficile da realizzare però, giacché i lavori richiederebbero ingenti investimenti: si stimano infatti ben 55 miliardi di dollari per gli scavi. Nel 2020 inoltre il Governo thailandese ha respinto totalmente il progetto Kra, mandando in frantumi il sogno cinese in maniera definitiva. Bisogna infine considerare le relazioni non tanto amicali tra Pechino e Bangkok, storicamente caratterizzate da scontri e tensioni politiche.
Tuttavia il primo ministro thailandese Prayuth Chan-ocha nell’ottobre 2020 ha ordinato uno studio di fattibilità per la costruzione di un ponte terrestre fatto di autostrade, ferrovie e oleodotti che collegherebbe le due coste opposte dell’istmo e i loro rispettivi porti: il Thai Land Bridge. Il progetto è ancora nella sua fase embrionale, ma se completato gioverebbe sia all’economia thailandese e senza dubbio a quella cinese, in termini di diversificazione energetica, rendendola indipendente da Malacca.