In Kenya Odinga ricorrerà alla corte suprema

Il leader dell’opposizione rinuncia allo scontro e sceglie le vie legali, ma invita alla disobbedienza civile se il verdetto sarà sfavorevole

Daniele Lettig
4 min readAug 17, 2017
Raila Odinga, il settandaduenne capo dell’opposizione della National Super Alliance (Nasa), durante la conferenza stampa di mercoledì 16 agosto a Nairobi in cui ha annunciato che farà ricorso alla Corte suprema del Kenya contro l’esito delle elezioni presidenziali dell’8 agosto scorso (Foto AFP)

[Questo articolo è il quarto di una serie sulle elezioni presidenziali in Kenya: gli altri sono usciti sul sito internet del Foglio martedì 8, giovedì 10 e lunedì 14 agosto].

Roma. Dopo tre giorni di silenzio che hanno tenuto l’intero Kenya con il fiato sospeso, mercoledì Raila Odinga ha finalmente annunciato la sua prossima mossa. Lo storico leader dell’opposizione keniana — sconfitto dal presidente uscente Uhuru Kenyatta alle elezioni presidenziali dell’8 agosto — ha infatti detto che presenterà ricorso contro i risultati alla Corte suprema del paese, come aveva già fatto — perdendo — nel 2013.

A partire dal giorno successivo al voto, Odinga aveva contestato i risultati elettorali parlando di “frode”, denunciando un attacco hacker al sistema di voto — volto a favorire Kenyatta — e sostenendo di aver vinto con 300mila voti in più del suo avversario, anche se non aveva fornito prove concrete per suffragare la sua posizione. Alle accuse aveva risposto il presidente della Commissione elettorale, Wafula Chebukati, secondo cui un attacco informatico c’era effettivamente stato, ma gli hacker non erano riusciti a violare il sistema.

La decisione di Odinga di ricorrere alla Corte suprema ha fatto calare la tensione nel paese, dove dopo gli scontri dei giorni successivi alle elezioni — in cui sono rimaste uccise almeno 24 persone — era forte il timore di un ritorno della violenza: impressi nella memoria dei keniani ci sono ancora gli oltre mille morti e seicentomila sfollati del 2007–2008, una tragedia iniziata in seguito alle denunce di brogli nelle elezioni che videro Odinga sconfitto da Mwai Kibaki.

Al termine di una settimana di strade quasi deserte e negozi in gran parte chiusi, Nairobi e le altre città hanno ripreso la loro caotica normalità, compresi gli slum — roccaforti di Odinga — dove sono avvenute la maggior parte delle recenti violenze. Il governo, poi, in un ulteriore segno di distensione, ha sospeso le sanzioni amministrative che aveva comminato a due organizzazioni non governative che avevano espresso dei dubbi riguardo allo svolgimento del voto.

Fino a pochi giorni fa Odinga e i suoi più stretti collaboratori avevano escluso decisamente la possibilità di un ricorso alla Corte suprema, suggerendo di non credere all’indipendenza del potere giudiziario dopo l’esperienza di quattro anni fa: la sua istanza venne infatti respinta anche perché la Commissione elettorale non riuscì a produrre in tempo utile i risultati definitivi di tutti i seggi.

Il cambiamento di linea è un riflesso della sua posizione di debolezza: tutti gli osservatori hanno infatti detto che le elezioni si sono svolte in modo tranquillo e senza sospetti di manipolazioni, e la comunità internazionale ha riconosciuto già da sabato come legittima la vittoria di Kenyatta, invitando l’opposizione a percorrere le vie legali. Odinga sarebbe stato perciò considerato il principale responsabile di eventuali nuove violenze: perciò, dopo aver assistito al fallimento dello sciopero generale a cui aveva invitato i keniani per lunedì, ha scelto la via del ricorso, implicitamente ammettendo — seppure a denti stretti — la sconfitta.

Durante la conferenza stampa tenuta a Nairobi in cui ha annunciato il ricorso Odinga ha comunque tenuto il punto: dicendosi certo di essere il legittimo vincitore, ha escluso il ricorso alla lotta perché “i keniani non hanno bisogno di ricorrere alla violenza per ottenere giustizia”, ma ha aggiunto che “difenderemo il nostro diritto di riunirci e manifestare. Organizzeremo delle veglie, dei minuti di silenzio, faremo tutto il possibile per attirare pacificamente l’attenzione su queste evidenti ingiustizie elettorali”.

Il ricorso, per Odinga, sarà un’occasione per la Corte suprema di dimostrare la sua indipendenza: “È una seconda chance. La Corte può usarla per riscattare se stessa oppure, come nel 2013, per aumentare i problemi che il nostro paese ha di fronte” ha aggiunto in un’intervista dopo la conferenza stampa: “Vogliamo che le prove vengano fuori, così che il popolo possa sapere che [l’elezione] è stata rubata” ha aggiunto in un’intervista dopo la conferenza stampa: “Non ci interessa se la Corte deciderà in nostro favore o contro di noi”, ma se il verdetto sarà sfavorevole “i keniani saranno legittimati a esercitare la disobbedienza civile per ottenere giustizia”.

Odinga ha tempo fino a venerdì per formalizzare la sua istanza alla Corte suprema: attualmente non sono noti i tempi della decisione, che però dovrebbe arrivare prima del 29 agosto, giorno in cui è previsto il giuramento del presidente eletto.

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