Sarah è mia-II

Quale conflitto esiste nella realtà?

Daniele Ciacci
3 min readApr 22, 2016

--

[vai al Capitolo I]

II

Quale conflitto esiste nella realtà? È evidente che siamo soli. Come può esserci conflitto, se non c’è niente? Partita, speranza, storia. Ultimamente lo penso spesso. Non so perché. È tutto così tranquillo, così lontano. Così triste: come le domeniche che portano con sé quel senso vago di inutilità. È questa l’intera vita.

Ieri sera non avevo fame. Ho aperto una scatoletta di tonno, mi sono seduto e l’ho guardata. Mangiavo il tonno con le mani. Guardavo la scatola, e guardavo lei. L’impercettibile movimento del seno sotto le lenzuola, la sagoma convessa delle ginocchia, la bocca rilassata, i capelli biondi raccolti da un nastro. Bella e fragile. Il respiro sottile, l’auscultazione del cuore nell’eco elettronica del cardiogramma. Bisognava difenderla dal mondo. Dall’ostilità di chi la vuole violentare. E c’ero solo io a capire questo. Medici, infermieri e primari uniti, senza speranza, nel distruggerla.

Ci sono solo io, Sarah. Ho sbagliato tutto. Non sono mai stato così lontano dalla verità. Perché per te combattere ne vale la pena. Nel mio mondo c’è conflitto e noi non siamo soli.

___

La riunione per valutare le ultime sfumature sulla identity aziendale si conclusero prima di cena. Colletti bianchi, cravatte regimental, décolletées. Nel grande complesso di uffici della zona centrale era l’ora in cui molti si riversavano in macchina per raggiungere casa. Alcuni preferivano aperitivi nei locali più à la page del momento, lì vicino. Non bisognava neanche prendere i mezzi, a meno che non piovesse. Allora, un bus ecologico percorreva l’intero boulevard più volte al giorno., procedendo a zig zag per evitare pedoni — che sempre attraversano la strada oltre le strisce — e taxi appostati, sia mai qualcuno volesse chiudere la serata lì, o proseguirla da un’altra parte.

Quella, però, non era sera per la pigrizia. Era ancora inverno ma, nel tepore del vento e nella carezza del verde delle prime foglie, era come se si fosse annunciata la primavera. Un secondo avvento di grazia nel cielo azzurro, declinante a sera, senza nuvole.

Per l’intera durata della seduta Darren si trovò a scontrarsi con i colleghi del direttivo. L’immagine ricca, sfaccettata, elevata della casa editrice faceva a pugni con la sua proposta. Un’azienda forte, ma semplice: essenziale nelle sue scelte, pulita, ordinata. Non gli era stato difficile portare l’amministratore delegato dalla sua parte. Parlava meglio degli altri, Darren. Non aveva studiato economia come i molti lì presentì, ma letteratura. E chi non conosceva i suoi studi avrebbe potuto dire il contrario, tanto maneggiava bene il materiale linguistico del caso. Sapeva quando mettere un aggettivo e quando no. Sapeva anche come smorzare il dialogo, ribattendo con statistiche mascherate sotto un velo d’ironica superficialità. Prendeva tutti alla sprovvista ma, in quel caos di idee e di dati, sembrava l’unico capace di dare ordine e coerenza. O almeno, un suo ordine e una sua coerenza. Tanto bastava.

Quando uscì dal terrazzo del suo ufficio, al trentaseiesimo piano d’un grattacielo di vetro e di acciaio, si concesse un bel respiro di quell’aria già tagliente di primavera. Gli aspettava un’altra settimana nello studio di Los Angeles. Un’altra settimana di incontri, colloqui, riunioni, strette di mano, pranzi frugali, cene di gala, caffè, grafici, bilanci, linee… Ma che bello questo cielo, no? E quella vita che andava così bene, dall’altro capo dell’America. Un unico sorriso da lassù, sotto il tramonto. Un coro di suoni saliva dalla città, immergendo Darren e chiunque ascoltasse nella sua frenetica melodia di eventi, di gioia, d’infedeltà, di costruzione, di morte, di rapimenti e di sparatorie e di risa di bambini nei parchi, nelle scuole. E il cielo, come un direttore d’orchestra, dispensava a tutti la giusta dose di armonia, di pause, di frequenze e di volumi. Adesso, la città accendeva le sue luci elettriche e le insegne, tra il verde e il rosso dei semafori, formavano dall’alto frammenti chiari sull’indefinito sfondo di una Los Angeles nera, come il fumo degli altoforni orientali e come l’oceano più a est. I lampioni ricamavano un arazzo di luci e di storie. Tutto parlava una lingua che Darren, dall’alto dei palazzi, sentiva e, nel suo mistero, comprendeva. Un mondo corrotto ma ordinato.

L’autobus che passava lungo il boulevard frenò alla fermata e impiegati in ventiquattrore e cravatta presero la via di casa. Tutto, adesso, era estremamente puntuale.

Squillò il telefono. Darren rispose.

E il mondo in un istante si fermò.

--

--

Daniele Ciacci

Content Designer @AnderGroup | Passion for Data Analysis & Content Marketing | Adoratore di libri antichi e armoniche diatoniche dal 1987.